La Galleria de’ Foscherari, che per decenni ha periodicamente ospitato la produzione artistica di Mario Ceroli, celebra i suoi ottant’anni con una mostra di disegni e lo stesso Ceroli, intervistato, ne commenta il titolo: la «grande occasione» è quella di rileggere la propria opera nel suo evolversi attraverso forme diverse - spesso inattese - fino all’attuale punto d’arrivo.
In compagnia di questo semplice bagaglio d’informazioni affronto la visita e proprio all’inizio della mostra mi trovo davanti a una sorta di scarabocchio: simile agli scribilli “circolari” che i bambini prendono a tracciare in successione a quelli “pendolari”. Di solito a partire dal secondo anno di vita: indizio per gli psicologi di una maturazione delle loro capacità percettivo-spaziali. Scribilli che, al di là dei possibili significati simbolici, sono espressione immediata di un intenso piacere motorio, cui si aggiunge la soddisfazione di cogliere all’esterno tracce concrete e permanenti di sè.
Più complesse e singolari, ovviamente, le opere che seguono. Sono disegni al limite dell’astratto, tracciati con pastelli a cera su tela cruda. Presentano insiemi di linee curve colorate, pressoché parallele, che sembrano riprodurre alcuni segni grafici tradizionali (parentesi tonde e graffe) oppure gli anelli concentrici che si rendono visibili nelle sezioni trasversali dei tronchi d’albero.


Per quanto si resti nell’immediato sorpresi della novità di questi disegni rispetto alla precedente produzione dell’artista, capita ad un esame più attento di ravvisare aspetti di continuità col passato: soprattutto per via della “serialità”, una caratteristica costantemente messa in rilievo dai critici come sua peculiare e spesso interpretata in chiave socio-politica.
Nell’antica produzione scultorea veniva realizzata nelle sequenze di profili di uomini, donne o animali parzialmente sovrapposti: ora intagliati su tavole di legno, ora scolpiti a tutto tondo nel medesimo materiale (Figure 1-2).
Nella nuova produzione grafica la serialità viene comunque riproposta nei gruppi di linee che rimandano a delle parentesi, nonché nei tracciati anulari di tronchi d’albero visti in sezione (Figure 3-5).

E’ facile ritrovare nelle serie di parentesi un’eco degli antichi profili di volti. Quanto agli anelli concentrici degli alberi e ai nodi che qua e là affiorano sul loro tronco, svelano i diversi gradi della crescita, la successione delle età, le fasi di vita che nel tempo si giustappongono. Come per l’albero e la sua chioma, così per l’uomo: di volta in volta con la perdita di qualche elemento e il germogliare compensatorio di altre ramificazioni.
Sovviene un’opera recente di Giuseppe Penone, tra i primi esponenti del nucleo storico dell’Arte povera e, come Ceroli, artista del legno e della natura. Mi riferisco ad “Albero porta-cedro”: un tronco di cedro su cui è incisa una finestra rettangolare che mette in evidenza la “memoria” del processo di crescita interno; una sorta di memoria fossile. Ma proprio quel fossile ormai sepolto resta la matrice prima della creatività dell’artista. E per le tante possibilità perdute - rami spezzati, rami potati o rami secchi ormai esausti - compaiono inattese nuove vene di linfa pronta a gemmare. Nuove “grandi occasioni”…

Da quest’angolo prospettico viene naturale rivisitare le antiche serie di profili così tipiche della produzione scultorea dell’artista non solo come espressione di una relazionalità molteplice e di una coesistenza pacifica tenacemente perseguite e talora propagandate (si ricordi “La grande Cina” del 1968), ma anche come rappresentazione dello stratificarsi delle immagini individuali (proprie o altrui) lungo la dimensione temporale. Al di là delle variabili, tutte “equazioni” della stessa identità.
Cifra caratterizzante della mostra attuale resta comunque la levità delicata delle tracce lasciate sulla tela dai mazzi di pastelli multicolori branditi dall’artista come pennelli. Quasi che all’abbandono dell’opera lignea sia corrisposto un senso di felice liberazione dal peso greve della materia, consonante con quella tonalità giocosa che si avverte fin dall’ingresso in galleria.

Senonché gli stessi disegni si prestano a molte altre letture se adottiamo un modo diverso di organizzarne i tracciati: collegandoli ad esempio a elementi macroscopici del mondo naturale che vengono osservati come da una grande distanza.
Le linee curve sembrano allora rappresentare carte geomorfologiche di paesaggi emersi o sommersi. Si flettono come curve di livello che indicano percorsi di crinale, avvallamenti, sentieri di mezzacosta; e nel contempo danno forma e dimensione a picchi e depressioni, ad accumuli ed erosioni, a fluide continuità in alternanza a interruzioni improvvise.
Accumuli ed erosioni, pieni e vuoti, continuità e discontinuità della crosta terrestre, certamente; ma forse anche dell’energia vitale dell’artista e della sua ispirazione creativa …
E’ il mondo esterno a essere indagato o, ancora una volta, il microcosmo dell’interiorità?
Forse la natura in generale, suggerisce Ceroli. La natura che, nelle sue varie sembianze, continua a presentare “nodi” problematici: una sorta di misteriosi buchi neri i quali chiedono anzitutto di essere percepiti e poi accendono curiosità e voglia investigativa.
Gabriella Bartoli