
Tra i molti mezzi che usiamo per esprimerci l’arte occupa una posizione particolare: consente di comunicare e, allo stesso tempo, contribuisce a suscitare nell’altro un potente effetto di incantamento: l’esperienza estetica.
Freud, pur riferendosi soprattutto al motto di spirito, aveva ben colto l’inventività di chi riesce a veicolare realtà complesse e non sempre piacevoli attraverso forme seducenti. Gombrich, a sua volta, aveva indicato - tra i fattori che contribuiscono a rendere attraente un’opera - un certo grado di indefinitezza, di ambiguità e, di conseguenza, di enigmaticità.
Psicoanalisti e psicologi si sono in seguito cimentati nell’interrogare le creazioni degli artisti con gli strumenti del mestiere (a impronta psicoanalitica o gestaltista o semplicemente fenomenologica), e si sono spinti a indagare i fondamenti dei processi creativi, le qualità formali delle opere prodotte, nonché le dinamiche psichiche che queste attivano nel fruitore.
In questo spazio, compatibilmente con le opportunità che musei, gallerie ed eventi d’arte a vario titolo offriranno nell’ambito del territorio sul quale gravita il nostro Centro, ci occuperemo soprattutto di arti visive, proponendo sintetiche presentazioni degli eventi di volta in volta prescelti, secondo un’ottica psicoanalitica.
Di recente Vittorio Sgarbi ha intitolato un suo scritto su Caravaggio "Il punto di vista del cavallo". Il riferimento è alla “Conversione di San Paolo” (1601), una delle opere intorno alle quali il critico conduce le sue analisi tese a evidenziare la modernità dell’artista lombardo. Nel quadro, Paolo, colpito da una luce fortissima, viene disarcionato da cavallo; si ritrova a terra accecato e con le braccia aperte rivolte verso l’alto: privo della sua posizione di potere e addirittura quasi in balia dell’animale che prima cavalcava. Ma proprio da questo ribaltamento di posizioni gli deriverà la capacità di una nuova visione; e il cavallo, per l’appunto, sembra cogliere Paolo in quell’attimo.
Con analogo sguardo naïf ci accosteremo al fenomeno arte: “per forza di levare” più che di “porre”, ma avendo cura di non impoverire semplificando, allo scopo di penetrare per quanto possibile quell’aura di mistero e sacralità di cui l’opera d’arte si ammanta. Talora semplicemente accontentandoci di interrogarla nel corso della visione.