L’adattamento al clima caldissimo e umidissimo della bella e stupefacente città di Cartagena richiede un certo tempo di latenza così come ci vuole tempo per orientarsi nei meandri della ricca offerta scientifica proposta dal 53esimo congresso IPA in Colombia «Mind in the line of fire».
Nella giornata del 27 luglio ho partecipato ad uno «Small discussion group» sul tema del congelamento degli embrioni.
Un panel interamente in spagnolo che ho potuto seguire bene grazie alla proiezione del testo sullo schermo.
Le due presentatrici sudamericane lavorano da anni sul tema della fecondazione assistita.
Attraverso i loro papers riflettono sul divenire degli embrioni congelati ed in particolare su quelli soprannumerari. Ma dobbiamo chiederci innanzitutto: che cosa sono gli embrioni? La loro rappresentazione antropologica è indefinita anche se oggi, grazie alle nuove frontiere biotecnologiche della riproduzione, è usuale osservare la separazione degli embrioni dal corpo materno e la loro dislocazione in contenitori “altri”, in qualche modo estranei. Non possediamo ancora un background storico consistente riguardo alla clinica del congelamento e alle ricadute psichiche sulle persone coinvolte, tuttavia la necessità di accedere ad una qualche forma di simbolizzazione si impone sia per gli embrioni che per tutti i passaggi che sostanziano la pratica della fecondazione assistita. Ad esempio, il tema del lutto per gli embrioni che non attecchiscono e quale sia il possibile impatto sulla psiche del bambino che ha condiviso l’ambiente uterino insieme agli altri “fratellini in utero” che non ce l’hanno fatta, rappresentano alcune tra le questioni poste dalle due relatrici del panel. E ancora, che cosa succede nella mente delle madri e dei padri?
La riflessione delle relatrici si centra dunque sul destino degli embrioni congelati e di come questi vengano percepiti dai genitori. La due presentatrici sottolineano in generale l’intenso investimento degli embrioni, tuttavia nella loro pratica clinica notano come se ne parli ben poco e ancor meno si sviluppino pensieri o riflessioni attorno alla loro esistenza. E prosaicamente gli embrioni assumono una dimensione più reale quando ai genitori giunge il conto della clinica che li conserva! Il lavoro delle analiste sembra essere volto a “scongelare” la mente congelata dei genitori e a cercare in qualche modo le parole per simbolizzare assieme tale peculiare presenza/assenza.
Poiché questi embrioni sembrano far l’occhiolino ad una sorta di zombie silenti: non nati, non vivi ne’ morti, essi rappresentano una potenzialità di vita come emerge nella ricca discussione finale, un’idea di vita non così astratta e che ha una sua concretezza, una forma di vita incarnata… Gli embrioni sono entità che tendono a sfuggire al processo di rimozione o di elaborazione del lutto, ci sono e non ci sono, hanno qualche affinità coi dispersi… per certi versi Sono in attesa di … e qui assistiamo allo sconvolgimento della temporalità…
La paziente x ad esempio realizza che sono già passati dieci anni e che deve decidersi riguardo al suo embrione… Quale strada intraprendere? Le relatrici notano che se nella donazione di embrioni questi ultimi vengono disinvestiti dai soggetti che li cedono, nel caso in cui si opti per l’impianto l’embrione appare carico di aspettative ed è già quasi un figlio. Gli embrioni sono il supporto di molteplici e talvolta contrastati proiezioni, dal tutto al nulla! Infine viene affrontato il tema del segreto circa l’origine, che cosa dire ai nati da congelamento in vitro? Pare che i famigliari minimizzino l’importanza di questo dato (soprattutto i padri) e tendano all’omissione spesso con conseguenze spiacevoli, come sottolineano le relatrici. Nel caso riportato della terapia di un bambino, unico nato da un impianto multiplo e che aveva smesso di mangiare, le relatrici osservano sul filo delle sedute lo svolgimento della sua interpretazione della gravidanza materna. Nel gioco con le bamboline russe e attraverso ripetute dinamiche contenuto/contenitore o passaggi centrati sulla comparsa/scomparsa di oggetti le relatrici ravvisano l’identificazione del piccolo paziente con una parte “morta” del grembo materno. Il bimbo, che dimagriva a vista d’occhio, non sembrava aver propriamente voglia di morire quanto piuttosto appariva intrappolato nella sua messa in scena dello “scomparire” in linea con quanto trasmesso inconsciamente dalla coppia genitoriale relativamente al lutto non elaborato (e non chiaramente riconosciuto) della perdita degli altri embrioni.

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