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Il 5 maggio 2019 si è svolto a Rimini, al Teatro degli Atti, l’evento “Frammenti, voci di stra/ordinaria umanità”, una lettura scenica nata dall’incontro tra studenti liceali e migranti, ospiti di progetti di accoglienza, guidati dagli attori Maria Costantini e Francesco Montanari.

La serata conclude un progetto annuale realizzato dalle colleghe SPI Cinzia Carnevali, Mirella Montemurro, Laura Ravaioli e Gabriella Vandi, in collaborazione con le colleghe di SIPsA (Società Italiana di Psicodramma Analitico)-COIRAG: Rita Arianna Belpassi, Silvia Cicchetti, Stefania Fabbri, Lidia Mulazzani, Sonia Saponi, Roberta Savioli e Roberta Secchiaroli; hanno condiviso il lavoro anche l’Associazione Margaret e Istituto Scienze dell’Uomo- progetto Interazioni nonchè l’Associazione Arcobaleno.

Le colleghe hanno ideato, coordinato e supervisionato il progetto, che ha previsto un lavoro condiviso tra gli studenti dei Licei classico e scienze umane G.Cesare-Manara Valgimigli di Rimini e scientifico ed artistico Volta Fellini di Riccione e i giovani migranti, studenti della scuola di italiano dell’Associazione Arcobaleno e ospiti delle cooperative Cad e Cento Fiori.

Il Progetto “Adolescenti e Migranti: Narrazione e Identità” ha come obiettivo la prevenzione contro tutte le forme di violenza nei confronti dell’altro, il diverso, attraverso un intervento che renda consapevoli gli stereotipi e i pregiudizi personali, ai fini di creare un pensiero critico sui temi della migrazione, dell’interculturalità e dei diritti umani.

Scriveva Freud: “Nella vita psichica del singolo, l’Altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, pertanto la psicologia individuale è al tempo stesso sin dall’inizio psicologia sociale”.

Le classi delle diverse scuole, grazie all’intermediazione dei loro insegnanti, sono state invitate a lavorare su alcuni testi narrativi: narrazione di Sé, del viaggio e dell’identità attraverso brevi racconti, poesie, testi musicali, video. Nel corso dei mesi scolastici, i giovani, studenti e migranti, si sono incontrati e hanno lavorato insieme con la voce e  le parole, con il corpo e il movimento.

Il percorso ha mirato a creare uno spazio espressivo attraverso vari linguaggi, che realizzassero un’esperienza di incontro e ascolto, rivolta alla conoscenza dell’Altro, mediante la produzione di opere individuali e/o di gruppo, a partire dalla lingua materna originaria usata nel racconto di sé e dell’esperienza del viaggio.

Una parte del progetto si inserisce all’interno della Rassegna “ Da qualche parte tra musica e Psicoanalisi. Narrazioni e Identità”, che ha previsto, in alcune delle serate allo Spazio Tondelli di Riccione, gli interventi di colleghe psicoanaliste e psicoterapeute e le rappresentazioni sceniche dei testi dei giovani alunni e migranti.

Alla serata del 5 maggio 2019 hanno partecipato circa duecento persone, per lo più studenti e genitori; erano anche presenti il vice-sindaco di Rimini Gloria Lisi e alcuni operatori sanitari ed educatori che lavorano nel settore dell’accoglienza dei migranti.

La serata si è aperta con la sintesi del progetto e la definizione dei suoi obbiettivi fatta dalla dott.ssa  Cinzia Carnevali. La collega ha ribadito l’importanza di aiutare i giovani a dare un senso alle parole Integrazione ed Inclusione, nonchè ai sentimenti che esse generano, per evitare che essi siano giudicati e per cercare invece di capirli e orientarli.

Il desiderio di mantenere viva l’attenzione su ciò che è “umano” passa attraverso una conoscenza di sé e dell’altro che si realizza sia sul piano della consapevolezza che su quello dei moti interiori inconsci, che possono divenire pericolosi e “disumani” nella misura in cui non sono riconosciuti e contenuti.

Dopo l’introduzione e i ringraziamenti ha avuto la parola la dott.ssa Maria Assunta Giannini, responsabile nazionale del gruppo PER (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati), che ha fatto una bella relazione rivolta agli operatori del settore accoglienza, purtroppo non molto numerosi.

La dott.ssa Giannini ha ribadito l’obbiettivo del gruppo PER, che nasce dal desiderio di dare una risposta al bisogno sempre più crescente, di aiutare gli operatori a stare e sostare nel dolore, quello delle persone di cui si prendono cura, da cui sono inevitabilmente coinvolti.

Citando Kaes che scrive: “La funzione del mediare si oppone all’immediato”, la collega ha ribadito l’universalità della mediazione nelle professioni di aiuto, i cui operatori sono chiamati a offrire spazi di pensiero che possano contenere le emozioni generate dalla relazione ed evitare perciò l’agire impulsivo di chi è sommerso dal proprio dolore. Fondamentale è creare un ponte tra i sentimenti consci e quelli inconsci attraverso cui il dolore parla, permettendo a questi ultimi di essere riconosciuti ed elaborati.

Perchè questo sia possibile, è importante aiutare i professionisti ad avere non solo competenze tecnico-scientifiche ma anche relazionali. Poter stare nel dolore di coloro di cui ci si prende cura è possibile se viene riconosciuto quanto il dolore altrui  solleciti e generi angosce, che, per essere tollerate, contenute ed elaborate, devono prima essere accolte.

Nell’esercizio dell’arte del mediare, che ogni relazione implica, il professionista deve  lasciarsi contaminare dall’altro, accettando di rendere temporaneamente aperti i propri confini, per ricevere qualcosa e assumersi la responsabilità di scegliere cosa restituire all’altro. Questa funzione, che gli operatori della salute devono poter svolgere per aiutare le persone con cui lavorano, non è semplice ed è favorita dalla costituzione di gruppi di supervisione o intervisione.

La dott.ssa M.A.Giannini ha portato la sua esperienza di lavoro, realizzata con la collega psicoanalista Luisa Cerqua, con un gruppo di mediatori transculturali; questi svolgono la loro attività nell’ambulatorio di un Istituto Nazionale di assistenza sanitaria per le malattie della migrazione e della povertà a Roma.

Questo intervento molto interessante ci ha permesso di entrare nel vivo della fatica del mediatore transculturale, facendoci intuire come questa sia una professione emotivamente molto impegnativa, forse rappresentativa di quella funzione di ponte che ciascuno di noi dovrebbe poter cercare di costruire a livello interpersonale ma , prima ancora, a livello intrapsichico, tra parti di sé diverse e, talvolta,distanti.

Due sollecitazioni voglio in particolare riportare. La prima riguarda il paradosso in cui il mediatore si trova nella scelta della traduzione, che è sempre, in qualche modo, un tradimento. Una traduzione puramente letterale rischia di lasciare da parte la ricerca del significato che si cela nelle parole dette, che spesso si chiarisce attraverso espressioni non del tutto oggettivabili, come il tono della voce, la scelta di una particolare parola, la struttura della frase, ecc. D’altra parte, qualsiasi tentativo di restituire all’ascoltatore il senso delle parole di chi le ha pronunciate, mette il mediatore a rischio di interpretare, inserendo qualcosa di proprio. I migranti hanno bisogno di essere capiti e non solo tradotti ma questa è una missione molto difficile, che spesso genera nei mediatori un grande senso di impotenza e di colpa, che ha bisogno di essere accolto e trasformato nella consapevolezza del limite: si può cercare di fare lo sforzo di capire l’altro e il suo messaggio ma, non essendo lui, rimane un inevitabile scarto tra i due.

La seconda tematica portata da M.A. Giannini che mi piace riportare all’attenzione, è la dolorosa collocazione dei mediatori transculturali, posti in una terra di mezzo. Per essere riconosciuti tali in Italia devono avere alle spalle un’esperienza di migrazione, essere cioè stati “contaminati” dal trauma migratorio, ma, contemporaneamente devono essersene abbastanza allontanati per poter mediare con i curanti e restituire loro dei contenuti che possano essere compresi. Un compito davvero complesso!!

Al seguito della collega psicoanalista M.A Giannini, ha brevemente preso la parola la dott.ssa Laura Ravaioli, membro della commissione dell’IPA di rappresentanza alle Nazioni unite, che ha movimentato la platea con un simpatico gioco, capace di stimolare la riflessione e la partecipazione.

Nella successiva parte della serata i ragazzi delle classi dei licei hanno mostrato i frutti del loro lavoro.

Le quattro classi coinvolte nel progetto, insieme ad alcuni ragazzi richiedenti asilo accolti nelle strutture delle cooperative,  hanno rappresentato le narrazioni frutto del lavoro dell’anno. I frammenti di storie personali di migrazione, si sono alternati con l’espressione di pensieri, riflessioni e sentimenti, accompagnati da musiche evocative.

Notando l’impegno dei ragazzi nella loro presenza scenica, vogliamo pensare che questo progetto possa avere stimolato in loro una capacità riflessiva ed empatica che possa aiutarli a coltivare l’incontro con l’Altro.

Pensiamo che la sfida raccolta dalle colleghe che hanno ideato il progetto, sia quella di creare spazi di pensiero in cui coltivare una funzione di mediazione, tra il sé e l’Altro, tra i pensieri consapevoli e quelli inconsci, tra le diverse culture.

Pensando gli adolescenti come soggetti migranti, in fase di definizione ed esplorazione del sé, in movimento verso l’integrazione della propria identità nel processo di soggettivizzazione, possiamo sperare che essi siano facilitati ad incontrare chi, come loro, ha abbandonato la terra d’origine alla ricerca di un posto dove poter cominciare una nuova vita, avendo interiorizzato quella passata, per gli uni il mondo dell’infanzia, per gli altri il paese e la cultura di provenienza.

Manuela Martelli

 

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