Sabato 17 ottobre ha avuto luogo la prima giornata di studio dei Seminari 2015-2016 del Centro Psicoanalitico di Bologna, su “Identità in transito tra corpo e mente”.

L’apertura dei lavori da parte della Presidente del Centro, Irene Ruggiero, ha ricordato l’importanza che la psicoanalisi riconosce al vissuto soggettivo della relazione mente-corpo, richiamando il bel libro di Pennac “Storia di un corpo”, che “trasmette il senso di una vita”.

Dal corpo si origina la nostra vita psichica ed “essere un corpo è una cosa molto diversa dall’avere un corpo”, in quanto il primo presuppone un percorso di soggettivazione e integrazione tra mente e corpo che è il punto di arrivo di un percorso che non può essere dato per scontato, influenzato sia dalle vicende somatiche (malattie, incidenti, ma anche i normali cambiamenti fisici legati ai cicli di vita) che affettive. Le oscillazioni fisiologiche di questo percorso possono determinare discontinuità, ma anche fratture. L’affermazione freudiana per cui “l’Io è innanzitutto un Io corporeo” è molto cara agli psicoanalisti: in essa Freud postula però un Io che si origina dal corpo, e che “è già separato da quello della madre, quindi ha già di fatto raggiunto una tappa dello sviluppo”. La dott.ssa Ruggiero ci ricorda altre teorie, come quella dell’Io pelle (Anzieu) che permette di pensare all’Io del bambino ancora legato a quello della madre, ed il concetto di handling (Winnicott) che sottolinea l’importanza del mantenimento per il bambino di una coesione sensoriale che sarà poi il precursore dell’esperienza di “rimanere se stesso nei transiti corpo-mente” della sua vita futura.

Nicolino Rossi, psicoanalista, psicologo medico, professore ordinario di Psicologia Clinica, ha presentato una relazione dal titolo “Il corpo che parla, la mente che tace”: in essa la psicoanalisi fornisce un’ osservazione clinica e scientifica sul rapporto mente-corpo, rappresentando “una branca della psicosomatica, e non viceversa” (Green) a sottolineare la varietà delle possibili letture in ambito psico-somatico.

Riprendendo l’affermazione secondo cui il vero psichico è nei processi biologici (Freud) il Prof. Rossi ha  ricordato come il padre della psicoanalisi fosse molto cauto tanto più ci si avvicinava al biologico. L’attuale approccio ci suggerisce di ritornare ad un monismo pre-cartesiano: mente e corpo non si possono separare.

A partire da Freud e dalla nascita di tutta la psicopatologia con l’osservazione dell’isteria, e poi dal concetto di nevrosi attuale, il prof. Rossi ha offerto una visione delle diverse teorie dei disturbi psico-somatici come posizioni che oscillano tra il riconoscimento o meno dell’importanza del conflitto emotivo interno. Da un lato, quindi, avremo posizioni che riconoscono una funzione comunicativa (messaggio) nel sintomo psicosomatico, “un corpo che parla” (Groddeck, Deutsch, Schur, McDougall) dall’altra invece la concettualizzazione di esso come risultato di un deficit di simbolizzazione, un “corpo muto” (Marty e De M’Uzan della scuola psicosomatica di Parigi con il loro concetto di “vita operatoria” che trova affinità con il costrutto di alessitimia di Nemiah e Sifneos, statunitensi). Scopriamo inoltre che la scelta del trattino che divide  psico e somatico in “psico-somatico” non è affatto casuale, ma importante nell’opera di Winnicott perché ne sottolinea la scissione.

Per quanto riguarda il trattamento è sottolineato come l’esperienza dello psicoanalista possa risultare utile per il lavoro psicologico nei più diversi ambiti: è questa la ragione per cui ci siamo incontrati qui, psicoanalisti e psicoterapeuti di diversi orientamenti, a parlare del disagio psichico, anche se non tutti, o non sempre, stiamo effettuando un trattamento orientato psicoanaliticamente.

La psicoanalisi ci suggerisce di non fermarci al sintomo somatico, ma di guardare al mondo interno, al funzionamento psicologico complessivo del soggetto, alla “riappropriazione soggettiva delle esperienze emotive, come condizione necessaria per riavviare una sorta di rivascolarizzazione dei funzionamenti corporei e la loro progressiva integrazione in un funzionamento psico-somatico più armonico”, uno psicosomatico senza trattino finalmente, potremmo dire.

Sia la presentazione che la discussione in sala da parte dei partecipanti è stata densa di brevi vignette cliniche esemplificative, con la consueta e dovuta attenzione alle normative di privacy che consentono di confrontarsi sul materiale clinico senza violare il patto di segretezza con il paziente. La discussione ha toccato anche la problematica dei disturbi alimentari, accennato alle terapie che prendono vita dal corpo  (come il Training Autogeno) e ricordato il libro di recente uscita che raccoglie gli scritti di Carla De Toffoli (“Transiti corpo-mente”, Franco Angeli) che ha ispirato il titolo della giornata di studio.

Nella sessione pomeridiana il dr. Luigi Caparrotta, Psicoanalista della British Psychoanalytical Society e coautore con Alessandra Lemma del libro “ Psychoanalysis in the Technoculture Era” (Routledge) ha portato nella sua relazione dal titolo “Identità sfuggenti e frammentarie: Corpi disconnessi da stati mentali” l’introduzione alla Londra cosmopolita, che deve confrontarsi con il fenomeno dell’immigrazione e dello sradicamento di vari gruppi etnici da altri paesi, con il rischio di una maggiore frammentazione e sconnessione della personalità. Lo sguardo dello psicoanalista sottolinea “l’assenza di continuità tra passato, presente e futuro nella storia di questi pazienti” ed osserva “una mancata integrazione di tendenze ed aspetti contraddittori nel loro senso di identità, che risulta così scardinato dal contesto da cui provengono”. Diventa allora ancora più difficile per loro tollerare l’ambiguità ed incertezza delle relazioni interpersonali e contrastare un cronico senso di vuoto.

Tutto ciò è stato discusso in una vignetta clinica che permette di ripensare al significato di episodi di autolesionismo – che mettono in primo piano il corpo-  e ad alcune modalità di gestione ed intervento dello psicoterapeuta, che “solo dopo aver ascoltato attentamente e rispettosamente il paziente” (anche gli aspetti angoscianti o raccapriccianti che possono urtare un’umana sensibilità) “potrà offrire interpretazioni alternative che possano dare senso al gesto”.

L’uso e abuso del corpo è frequente inoltre nei pazienti con struttura di personalità borderline, ovvero al limite tra nevrosi e psicosi, in quanto utilizzando inconsciamente il terapeuta per proiettarvi “aspetti di sé stessi alieni e non voluti”, in occasione di assenze e irreperibilità di quest’ultimo finiscono per attaccare “proprio quelle parti aliene e non volute, che ora risiedono in loro stessi”.

Il dr. Caparrotta, generoso nel fornire suggerimenti terapeutici e nella condivisione clinica, ha richiamato l’attenzione sul rischio di sottovalutare la patologia in pazienti apparentemente cooperanti ma che celano fantasie distruttive e ha incoraggiato ad una “buona discussione tra colleghi” che talvolta può aiutare a destreggiarsi in situazioni difficili o poco chiare.

Ha dato rilevanza alle teorizzazioni di Gaddini ed al suo concetto di imitazione primitiva, molto diverso dal naturale stadio evolutivo imitativo –  fondamentale, insieme all’introiezione, per favorire il processo di identificazione  e lo sviluppo della mente (dal corpo alla mente) a partire dal rapporto madre-bambino. Egli ha spiegato che “quando l’imitazione non si integra con l’introiezione, allora il processo imitativo tende a persistere portando così a manifestazioni psicosomatiche come esito di un deficit di rappresentazione mentale e della capacità introiettiva”, con compromissione dello stato del sé affettivo.

L’interesse dei partecipanti alla discussione pomeridiana è andato agli “oscuri segnali nel corpo dell’analista che precedono atti di autolesionismo dei suoi pazienti” ed ai progetti pubblici di assistenza psicologica in Inghilterra che prevedono psicoterapie brevi di diversi orientamenti psicologici (cognitivo-comportamentali, psicodinamiche, interpersonali).

Marco Monari, psichiatra e psicoanalista, ha effettuato la conclusione dei lavori riassumendo ed integrando tra loro le relazioni della giornata ed alcuni interventi della sala, in poche parole, ripensando alla sessione del mattino come concentrata su ‘la mente che tace’ e a quella del pomeriggio su ‘la mente che scoppia’. E’ stato  poi possibile “ripassare” insieme alcuni punti, tra cui:

-Il processo di costruzione di un’area pensabile  e di “rivascolarizzazione” del sentire, che accumuna il lavoro terapeutico  con i pazienti più gravi a livello psicopatologico e quello con i pazienti psicosomatici

-Il concetto di “dispersione degli agenti responsabili” (Winnicott), ovvero la rappresentazione di aspetti dissociati, scissi del paziente nell’equipe dei curanti

- L’importanza dell’ascolto del controtransfert.

A questo si aggiunge il “poter e dover essere dotati di pazienza e fiducia” soprattutto quando il percorso psicoterapeutico diventa più impervio, sul crinale tra corpo e mente.

Ottobre 2015

 

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