Relatore dott. Giovanni Foresti. 28 febbraio 2015
All'interno del ciclo di seminari di psichiatria, “Dalla violenza al contenimento: una possibile ricerca di senso?”, organizzati dal Centro Psicoanalitico di Bologna “Glauco Carloni” per gli operatori esterni, si è svolto, sabato 28 febbraio, l'intervento del dott. Giovanni Foresti, psichiatra e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, che ha a lungo lavorato nei servizi pubblici dove tuttora svolge incarichi di supervisione e che ha una formazione e una grande passione per il lavoro nei gruppi, con i gruppi e per i gruppi, in continuo dialogo con i personaggi dell'Istituzione.
Un piccolo preludio crea il setting della mattinata: orari e temi sono ben definiti, quasi a preparare la platea per il successivo impatto emotivo. Il relatore pare voler fornire a chi lo ascolta un rassicurante spazio dove poter rischiare di sentire e pensare, creando e confrontando immagini, in un gioco dialettico che a fatica si esaurisce, dove il mondo esterno (anche l'articolo dello psicoanalista Recalcati su un quotidiano del mattino) può entrare per essere pensato e capito.
Due “Padri” fondatori sono immediatamente convocati: il contenimento viene introdotto come dialogo tra il materno (l'holding di Winnicot che la madre offre al bambino) e il paterno ( il containing militaresco di Bion, che si può pensare generato anche dall'esperienza sul fronte della Prima Guerra Mondiale). “Ci vuole un padre per sopportare una madre e una madre per sopportare un padre” dirà con timbro scherzoso il relatore a fine discussione, quasi a chiudere la mattinata con la stessa cornice di apertura, che dal teorico si è estesa all'ambito clinico, in un continuo dialogo tra istanze sociali-culturali e cliniche.
Accanto al contenimento si annunciano gli altri due temi della giornata: il senso di colpa, tra trascuratezza e opportunità di recupero, nonché le diverse funzioni della figura paterna e le loro reciproche interazioni.
Poi il relatore ci spinge a varcare la soglia del palcoscenico dei pensieri ed emozioni del gruppo in ascolto e ci chiude la porta alle spalle, con uno spezzone del film “The confession” di David Jones. Un fantastico Ben Kingsley dà voce a Fertig (che in tedesco significa “pronto, preparato”), padre ebreo, nuovo Abramo a cui è toccata una sorte differente dalla figura biblica, che ha ucciso tre persone: i sanitari ospedalieri che hanno provocato la morte del figlio, per incuria e negligenza. Con lui si confronta il suo avvocato Blackie, l'attore Alec Baldwinn, che vorrebbe salvarlo facendo riconoscere la sua infermità mentale. “ Ho violato il sesto comandamento...di fonte a Dio non c'è difesa” dice Fertig, che ha scelto di vendicare il figlio ma vuole assumersi la responsabilità della sua colpa, davanti al tribunale, di Dio, degli uomini e del suo mondo interno e non accetta sconti, quegli stessi che l'avvocato gli vorrebbe far riconoscere come desiderabili da qualunque uomo: vivere prima di tutto, scendendo a patti con il proprio errore sino a negarlo. Mentre l'avvocato, nella scena presentata, propone le tesi delle società post- moderne, che hanno liquefatto una certa etica della responsabilità, il “piccolo ebreo”, quasi un Davide contro il Golia del pensiero comune e condiviso, combatte la sua battaglia per ricevere invece la pena dovuta e pagare le conseguenze della sua scelta. Dirà il suo avvocato “Il tribunale è più misericordioso di lei!”, anticipando un tema successivo del seminario.
Sullo sfondo di questa paternità che si intreccia con la legge e il riconoscimento del limite, il dott. Foresti ci descrive le molte funzioni paterne. Il termine “funzione”, pure caro a Bion, viene però usato a partire da una citazione di Ricoeur, che dice essere “il padre una funzione problematica, incompita e inquieta...una designazione”, termine quest'ultimo che definisce il padre una costruzione sociale, più che un dato di natura, contrariamente alla madre.
Nelle molte funzioni del padre, si declinano i cambiamenti del ruolo del maschio e loro problematicità, indotte da alcune svolte sociali e culturali del secolo ventesimo; se la crisi della funzione paterna non va confusa con quella dell'identità maschile, è però evidente come essa ne sia influenzata. Così come la funzione del Padre e del suo intrecciarsi con la legge e il limite, sembra, agli occhi del nostro relatore, essere profondamente articolata con fattori culturali di carattere specificamente religioso. A sostegno di questa tesi, viene citata la dotta teoria di una studiosa italiana, Luisa Accati, storica e filosofa, che differenzia le culture della Riforma, dove il ruolo del padre si mantiene nella sua definizione della legge e della responsabilità, da quelle della Controriforma, dove la materna misericordia dei Dio dei cattolici, sembra indebolire la possibilità di mantere viva la forza dell'etica della responsabilità. Queste radici culturali sembrano diventare un patrimonio trangenerazionale che genera una sua influenza anche nelle molte discipline che studiano la funzione paterna, la psicoanalisi compresa. Ci si interroga così sui codici diversi nel ruolo dello psicoanalista e nella coppia al lavoro nella stanza di psicoterapia/psicoanalisi, coppia credo impegnata sempre a trovare la “verità sostenibile”.
Il relatore affronta poi il tema dei molteplici ”tramonti” del complesso edipico, inteso come strumento di definizione di una progressiva soggettivizzazione. Seguendo Bion, riusciamo a riconoscere i molti momenti della vita dove è necessario fare un'operazione di lutto, un passaggio verso la posizione depressiva, dove ci si rende conto che la necessità di una scelta ci impegna fino a quando qualche cosa di altro non ce la farà modellare ulteriormente.
Citando Ogden, il suo “Riscoprire la psicoanalisi” e in esso la lettura di Loewald che a sua volta rilegge Freud, si parla di un omicidio amorevole del figlio verso il padre, che per amore si lascia uccidere ( di cui a mio parere, è anche metafora, il Dio dei cattolici). La dialettica edipica superabile diviene quindi quella di un padre che sa di dover contendere lo spazio al figlio perchè solo così il figlio si irrobustirà ma sa anche che si dovrà mettere da parte tra i predecessori, morire, appunto, o meglio: dare la vita.
Andando verso la conclusione viene ripreso e ribadito il tema del senso di colpa come soggetto in difficoltà nella nostra attuale società. Ma se la funzione paterna può avere a che fare con la definizione della colpa e della responsabilità, la psicoanalisi sembra a sua volta in difficoltà nell'occuparsi di un tema che potrebbe richiedere confronti multidisciplinari, anche se può disporre di strumenti davvero importanti ed efficaci, a partire dal pensiero di padri come Freud (il delinquente per senso di colpa ben rappresentato dall'immagine del piccolo bambino che si dà da fare per farsele dare dai genitori), Winnicot e Bion, con il loro contenimento materno e paterno ad un tempo, di cui si è detto all'inizio del seminario.
Il relatore arriva a dare una sintesi del suo intervento proponendo la sua definizione della “paternalità”, intesa come “accettazione dei limiti e coraggio nel perseguire i propri obiettivi, nonostante l'unilateralità delle ragioni che li sostengono. Si tratta di una rinuncia radicale agli ideali di completezza e certezza, all'onnipotenza dunque, che rende possibile far fronte alle proprie responsabilità prendendo decisioni che si qualificano per la loro generatività”. Questo ritroviamo anche nella dialettica tra capacità negativa e fatto scelto di Bion.
La discussione che ha fatto seguito alla relazione mi sembra sia stata la realizzazione generativa di nuovi pensieri a partire da quelli del relatore.
Di nuovo uno spezzone di film ha introdotto la ripresa dei lavori. Questa volta da “Flight”, del regista Zemeckis, con D. Washington, si è guardata insieme una scena in cui il protagonista, incalzato da un investigatore donna determinata nel suo ruolo, arriverà a confessare la sua colpa, da cui avrebbe potuto essere sollevato se non si fosse preso la responsabilità di dire la verità. Si ripropone così il tema del primo film, quello della difficile scelta della responsabilità delle proprie colpe per poter sentirsi bene con sé stessi. Ma anche quello di chi accompagna a fare questa assunzione di responsabilità, nel suo necessario mescolare forza e determinazione ma anche accoglienza e comprensione della fragilità dell'altro, vissuto che gli psicoterapeuti e gli psicoanalisti dovrebbero avere bene in mente.
É indubbio che il dottor Foresti abbia fatto delle affermazioni decise e forse non sempre da tutti o in tutto condivisibili, ma proprio questo suo scegliere di dire qualcosa, nella consapevolezza di non poter essere esaustivo ma piuttosto essere parte di una mente di gruppo, ha permesso al dibattito di animarsi e generare....precisazioni, ulteriori arricchimenti, immagini cliniche, pensieri sul ruolo dello psicoanalista, sul significato di colpa nel suo rapporto con la responsabilità e molto altro.
Penso che in questa mattinata si sia non solo sentito parlare ma si sia vista realizzare una possibile declinazione di una funzione paterna, nella sua possibile mescolanza di assertività e riconoscimento dell'altro, anzi proprio nel suo essere assertività che permette all'altro di soggettivizzarsi e dialogare.
Non si è solo assistito ad un seminario teorico ma piuttosto si è partecipato ad conferenza clinica in gruppo, dove l'esperienza ha arricchito e convalidato la conoscenza.
1 marzo 2015