Sabato 15 novembre si è svolta a Bologna la giornata di studio La violenza e le sue trasformazioni, che inaugura l’omonimo ciclo di seminari aperti agli operatori esterni, organizzati dal Psicoanalitico di Bologna per l’anno 2014-2015.
Ha introdotto i lavori Irene Ruggiero, che raccontando le scene iniziali del film I nostri ragazzi ha immediatamente reso la platea testimone in vivo di un raptus di violenza omicida: questa è la violenza, un’ escalation spaventosa e irrefrenabile di furor agendi che può assalire un essere umano apparentemente all’improvviso, nell’ eclisse totale della capacità di contenere e di pensare. La violenza, diversamente dall’aggressività che nasce nella relazione oggettuale, è anoggettuale: tentativo di scarico attraverso l’azione della tensione incontenibile di una violenta rabbia narcisistica. Prende la staffetta A.Ferro, dopo essere stato presentato dalla Presidente del Centro, che ricorda l’ira funesta del Pelide Achille scatenata dalla sottrazione di Briseide. Se arriviamo al secondo tempo del Giustiziere della Notte ci ritroviamo spettatori annichiliti di tsunami di violenza inaudita, incomprensibili se non conosciamo il primo tempo, in cui scorrono le immagini di un passato di atroci brutalità subite. Dobbiamo sempre ipotizzare un primo tempo, nucleo originario capace dare senso e motivo ad efferatezze altrimenti incomprensibili. Ma che cos’è la violenza? E come la si può trasformare? “Immaginate una nuvola di spilli”, ci invita Ferro,: gli spilli non sono cattivi in quanto spilli, ma è nella loro natura di spilli causare il dolore di punture e lacerazioni. Spilli ma anche spilloni, pungiglioni di api sono nella mente le protoemozioni, gli elementi β: il protoemozionale è lacerante in sé, ma nella relazione con un’altra mente può essere trasformato prima in immagini-pittogrammi capaci di dare figurabilità alle emozioni, poi, in un successivo passaggio trasformativo, in immagini legate tra loro, capaci di dare senso e sviluppo onirico alla vita emotiva. Anche se una certa quota βspillo sosterà sempre nella nostra mente non trasformata. Ma come avvengono queste trasformazioni nella stanza d’analisi? Ci sono diversi modi di intendere e lavorare analiticamente i passaggi trasformativi β→α spiega Ferro, aprendo uno squarcio sul panorama della pluralità di modelli teorico-tecnici in psicoanalisi, anche all’interno del paradigma metapsicologico bioniano. C’e’ il modello centrato sulla coppia analitica che ci viene illustrato attraverso un breve cartone animato, in cui la trasformazione β→α viene rappresentata attraverso il passaggio di pescioni che escono dalla bocca del paziente, vengono lavorati dall’analista e poi reintroiettati dal paziente sotto forma di pesciolini: in quest’ottica, la più praticata nel mondo, i processi trasformativi sono immaginati nello scambio da mente a mente. Se invece assumiamo un vertice di campo, la sede del lavoro e delle trasformazioni analitiche diventa quello spazio terzo che si forma nell’incontro inconscio tra due menti in analisi: il campo analitico, una sorta di acquario dove vivono tutti i pesci di entrambi e in cui paziente e analista si immergono per incontri ittici ravvicinati, esplorazioni di fondali e narrazioni trasformative. Il ♀ è narrativo: la narrazione svolge una funzione trasformativa. Tra immagini, metafore, vignette cliniche e affermazioni trasgressive, A.Ferro conclude accompagnando i presenti in una gita onirica nell’universo psicoanalisi, spaziando dal lavoro nella stanza d’analisi, all’assetto mentale dell’analista al lavoro, alle possibili trasformazioni di una psicoanalisi futura. Viaggio felliniano per paesaggi postbioniani, in cui si ha la sensazione di intravedere qua e là embrioni di nuovi sogni che dalla stessa Psicoanalisi attendono di essere sognati.
Nel pomeriggio Daniela Nobili, presentata da M.Mastella, catapulta il pubblico in un viaggio nei meandri più bui della mente umana, ai limiti estremi dell’esperienza psichica della violenza: madri che uccidono i figli, madri che impazziscono quando nasce un figlio. Storie cliniche: una madre che soffoca il figlio e poi tenta di uccidersi, una donna che non voleva avere figli e ha un crollo psicotico all’incontro con il secondo figlio gemello. Storie di donne che hanno spesso chiesto aiuto a un pronto soccorso, a un medico di base per disturbi di panico o psicosomatici: richieste sottovalutate, risposte incapaci di riconoscere l’entità dell’angoscia e del pericolo psichico che queste donne cercavano di comunicare. Casi clinici con cui Daniela Nobili riesce a descrivere e far chiaramente comprendere come la maternità sia un momento psichico in cui possono risvegliarsi nuclei incistati di esperienze primarie di deprivazione estrema: capsule mentali in cui si sedimentano identificazioni con la relazione violenta vissuta con l’oggetto primario traumatico, che nel rapporto primario con il proprio bambino sembrano risvegliarsi all’improvviso ed invadere la mente sotto forma di sensazioni violente e senza nome. La violenza della disperazione per uno stato mentale percepito come intollerabile può esitare nell’uccisione del proprio bambino sentito come la causa di tale sofferenza mentale ma anche come l’oggetto-deposito di proiezioni di parti del proprio Sé, o puo’ portare ad un crollo psicotico nella mente materna.
Bambini che hanno subito l’invasione psichica di una violenza incontenibile da parte dei genitori, che non hanno trovato contenimento, affidabilità e continuità nella cura genitoriale alle origini della vita, come potranno accudire, contenere e trasformare le angosce e il caos emozionale dei loro neonati?
Con lucida semplicità Daniela Nobili precisa nuclei concettuali capaci di spiegare la psicodinamica di stati della mente tremendi e fornisce indicazioni tecniche per un lavoro clinico che possa diventare momento di soccorso trasformativo, anziché ripetizione di evitamento del dolore mentale senza nome, di cui queste donne si sentono portatrici disperate: fondamentale non sottovalutare segnali comunicati di disagio materno, non tappare la possibile espressione-evacuazione di angosce omicide con rassicurazioni, ma dare invece spazio di ascolto ed elaborazione profonda a vissuti spaventosi e ossessionanti di timori di danneggiamento del proprio bambino.
Medea più vicina e comprensibile nella tragedia della sua disperazione, sbuca il mistero di Giasone: chi sono questi uomini-mariti-padri che stanno accanto a queste donne, spesso inerti, sordi e muti spettatori di queste tragiche apocalissi? Per quale mistero mentale non sentono, fiutano, si allertano per la catastrofe imminente? La relatrice lascia aperto l’enigma, accennando solo ad un’ipotesi formulata con G.Carloni nel testo La mamma cattiva: potrebbe essere un silenzio-indizio di omertosa inconscia connivenza nella strage del figlio?
Termina i lavori della giornata M.Mastella, cercando di mostrare le conseguenze di relazioni traumatiche con i genitori attraverso i disegni e il racconto del lavoro analitico con un’adolescente ai limiti del breakdown psicotico.
Violet Pietrantonio