Il 12 novembre scorso presso il Centro Psicoanalitico di Bologna si è tenuto, in modalità mista, il primo incontro del ciclo di “Psichiatria e Psicoterapia dell’Adulto”. Il presidente del Centro dott. Filippo Marinelli ha introdotto la giornata e presentato la relatrice, la dott.ssa Laura Ambrosiano psicoanalista con funzione di training della SPI, appartenente al Centro di Psicoanalisi Milanese, ricordando l’importante collaborazione della relatrice con il compianto collega Eugenio Gaburri con il quale ha scritto diversi libri fra cui “Ululare con i lupi. Conformismo e rêverie”.
La dott.ssa Ambrosiano inizia il suo intervento dal titolo “Intorno all’indifferenziato”. Qui di seguito si riportano alcuni passaggi della sua interessante relazione.
Indifferenziato-differenziato sono nozioni fondamentali per la psicoanalisi. Ogni momento storico ha posto un’enfasi particolare sull’uno o l’altro dei due poli, privilegiando ora il funzionamento indifferenziato, ora la soggettivazione. La dimensione indifferenziata costituisce la base della soggettivazione. Freud (1925) e Bion (1977) hanno descritto lo sviluppo come un andirivieni tra la vita intra-uterina e l’esistenza dopo la nascita, sottolineando la funzione della cesura come spazio di transito che innerva sia lo sviluppo narcisistico che quello relazionale. La Relatrice propone l’ipotesi che concepire in termini di continuum il nesso differenziato-indifferenziato sia un elemento fertile nella clinica e nel cambiamento culturale. Sostiene come il raggiungere l’oggetto e differenziarsi siano due tensioni sempre compresenti in noi, non due fasi dello sviluppo, ma funzionamenti psichici diversi e complementari, tra i quali si apre una cesura mobile che li collega, insieme con continuità e discontinuità. Il lavoro psichico è costituito da un andirivieni tra riconoscimento di distanza ed esperienza di continuo.
Alla nascita, il bambino sembra portare nel suo bagaglio genetico una aspettativa di un mondo che gli corrisponderà. L’aspettativa di corrispondenza permane nella mente anche quando la realtà dell’incontro con il mondo non sembra offrire le risposte adeguate. In questi casi il bambino potrà sviluppare sintomi, diventare inquieto e inconsolabile, oppure, nei casi di maggior difficoltà, potrà adeguarsi, sviluppando un sintomo specifico: la compiacenza, che consente di sentire come ovvio quello che accade. La compiacenza non produce solo sofferenza, ma anche violenza, che può avere esiti drammatici, come agiti suicidari o omicidi. I bambini trascurati e invasi non soffrono solo di disturbi di personalità, ma non imparano a orientarsi nel mondo, a capire come si negoziano le proprie esigenze.
Decidere l’identità è recidere le connessioni, nel senso proprio di fare loro violenza, Winnicott ha molto sottolineato la violenza omicida di ogni movimento emancipativo.
Soggettivarsi è anche consapevolezza che l’identità è una struttura piena di buchi e di varchi, di flussi modellati dalle costruzioni culturali.
La relatrice parla dei pazienti che popolano i nostri studi, soprattutto giovani, che non sembrano investire in percorsi di soggettivazione, né sembrano interessati a sviluppare separatezza e specificità. L’essere se stessi, con le proprie differenze non sembra costituire una ambizione, come è stato per le vecchie generazioni, i giovani spesso sembrano piuttosto enfatizzare la connessione, linguaggi universali, come la musica rock o i giochi elettronici. È come se si opponessero all’imperativo di costruire una propria specifica identità.
Forse sono segnali da ascoltare per cogliere prospettive di una trasformazione antropologica. Non si tratta, come precisa Le Breton, del meccanismo patologico della “depersonalizzazione”, ma di una “impersonalizzazione”, di un rendersi impersonali per non assecondare la spinta alla assunzione di una identità. Come se l’individuo volesse essere dimenticato mescolandosi con l’ambiente, il sollievo di sparire un po'. La stessa depressione, spiega la relatrice, è anche “una malattia della responsabilità di essere se stessi” (Ehrenberg 1998), è una caduta, uno sprofondamento, un prendere congedo dalla lotta per essere se stessi. Svestire la propria memoria e perfino i propri desideri (W.Bion).
La relatrice afferma quanto abbiamo bisogno di trasformare la confusione, insieme apatica e sanguinaria, nella quale oggi viviamo. Abbiamo bisogno di riavviare il lavoro psichico, di ritrovare uno spazio nella mente (dei singoli e dei gruppi) in cui ci sia l'agio di riprendere l’elaborazione della mancanza, dell'incompletezza, delle attuali, dolenti, disillusioni. Occorre riavviare, e riavviare ogni volta, un lavoro interiore di elaborazione del lutto che restituisca al singolo parola e pensiero per accogliere differenze e somiglianze. Quello che colpisce, sostiene la relatrice, è che non siano tanto le somiglianze che aggregano i giovani, quanto l’esperienza di avere un investimento su un “oggetto comune”. Che si tratti di musica rock, di giochi elettronici o del pianeta, ciò che sembra connettere i giovani è il loro investimento appassionato su un “oggetto comune”.
In questo modo le nuove generazioni ci stanno indicando con determinazione le basi per una nuova etica fondata sul primario, cioè sulla dimensione indifferenziata. Prendersi cura del pianeta, della nostra specie, delle specie non umane, fa riferimento a qualcosa che travalica le somiglianze e le differenze, che si tratti di razze, di ideologie, di lingue o religioni, ma va diritto all’avere una casa e un destino comuni. Si tratta di una funzione di holding primaria che la coppia genitoriale e le Istituzioni devono assumere, e lo possono fare solo a patto che lascino andare la presa sul “proprio”, sul bisogno di riconoscimenti narcisistici e lavorino per modulare la spinta pulsionale nelle derive predatorie, sempre pronte a colonizzare il rapporto con i figli, con gli allievi, con i pazienti. Questa funzione di holding della coppia (genitoriale e istituzionale) offre al nuovo nato, all’allievo, al candidato, quel pavimento narcisistico che riduce, contiene, la perplessità dinanzi al vivere nel mondo (Freud 1920). Per noi analisti, terapeuti, maestri e genitori, tutto questo significa, secondo la psicoanalista Ambrosiano, non polarizzare il nostro ascolto sul percorso di soggettivazione emergente, ma lasciar vivere e ascoltare l’intrico, complesso ma promettente. Occorre lasciar cadere quella sorta di gerarchia tra concetti, arbitrariamente eretta, che abbiamo nella mente dove l’indifferenziato è regressione, e la soggettivazione è sviluppo. “Abbiamo bisogno di una riforma del pensiero” (Edgar Morin, 2022), di una rivoluzione paradigmatica.

M. Montemurro


Nel pomeriggio si è aperta la Tavola Rotonda con l’introduzione della Dott.ssa Daniela Federici, Chair insieme alla Dott.ssa Rosanna Rulli, con il supporto tecnico del Dott. Giorgio Bambini, membri della Commissione organizzativa dell’evento.
La collega Federici sottolinea l’importanza del confronto con altri saperi perché per quanto il nostro lavoro si sviluppi sul significato che i fatti assumono nella mente del soggetto, lo spazio analitico non è un territorio avulso dalla realtà. Il divenire dei soggetti si articola sullo sfondo di una polarità dialettica dell’umano tra communitas e immunitas: non nasciamo solo biologicamente da un oggetto, ma necessitiamo del riconoscimento dell’altro per venire a essere psichicamente. Le relazioni riflettono una concezione di humanitas consapevole della nostra compartecipazione, parlandoci delle buone pratiche che ci permettono di avere miglior cura di queste relazioni.
Il Prof. Francesco Remotti, Professore Emerito di Antropologia culturale, Università di Torino, parla del concetto di “Condividuo”. Sottolinea come l’individuo sia una rarità o una stranezza antropologica: individuo indica qualcosa di indivisibile e quindi di incomponibile, mentre molte società raffigurano la persona come un fascio di relazioni. Gli antropologi hanno spesso usato il termine “dividuo”, ma sembra essere preferibile la nozione di “condividuo”. Il “con” presuppone infatti la molteplicità, ma aggiunge anche gli sforzi, i tentativi, non sempre riusciti o solo in parte, di dare continuità e coerenza.
Le relazioni di cui è fatto il condividuo sono rapporti di somiglianze e differenze: rapporti non statici, ma dinamici; più che somiglianze sono “assomigliamenti” e più che differenze sono “differenziamenti”, non solo con gli altri io o gli altri soggetti (animali, piante, cose) con cui è in relazione, ma anche con sé stesso. Il relatore sottolinea che mentre il concetto di individuo si fonda sull’idea dell’identità dell’Io con sé stesso, il concetto di condividuo nasce invece dalla convinzione che l’io assomiglia e nel contempo si differenzia da sé stesso, dal sé di un istante fa, di dieci anni fa e così via, fino alla propria più lontana infanzia.
L’io è dunque un intrico di incessanti assomigliamenti e differenziamenti, una complessità dinamica che evoca anche l’esigenza di una riduzione, semplificazione, tale da consentire un certo orientamento e adattamento nella vita dell’io.
La Tavola Rotonda prosegue con la relazione del Prof. Leonardo Becchetti, Professore Ordinario di Economia Politica, Università Tor Vergata, che illustra il modello economico neoclassico tradizionale che mette al centro la creazione di beni e servizi “non importa come”, creando un’immensa area di disagio e di infelicità e modellando la persona come homo economicus, ovvero come individuo la cui utilità/felicità dipende dall’accrescimento delle proprie dotazioni monetarie e dal proprio consumo di beni, spesso inutili, ignorando una serie di fattori come altruismo, reciprocità, avversione alla diseguaglianza e fiducia.
Gli studi sulle determinanti della felicità e della soddisfazione di vita sviluppati assieme da economisti, sociologi e psicologi hanno evidenziato, invece, l’importanza cruciale delle relazioni per la soddisfazione e ricchezza di senso di vita della persona.
Il modello riduzionista dell’homo economicus va incontro a varie patologie.
La prima è quella del fallimento della cooperazione. Nell’incontro tra due homines economici non può scattare la fiducia necessaria per avviare un processo di cooperazione in grado di generare superadditività, ovvero quando il risultato del lavoro di squadra è superiore alla somma di quanto i singoli avrebbero realizzato separatamente. Per superare il paradosso della sfiducia e della mancanza della cooperazione si evidenzia in letteratura l’importanza del dono (inteso non come pacchetto regalo, ma come fare qualcosa in più di quanto stabilito dai ruoli o di quanto ci si aspetta da noi), come elemento in grado di generare gratitudine e riconoscenza mettendo in moto meccanismi di reciprocità che generano relazioni di qualità. In presenza di beni relazionali le convenienze s’invertono e violare la fiducia è più costoso che mantenerla, perché porta con sé la perdita del bene relazionale.
Il relatore cita esempi come il paradosso di Easterlin e il fenomeno dell’adattamento edonico, ovvero la propensione delle persone ad “assuefarsi” ad un evento positivo che solo in un primo momento ha generato un incremento di felicità.
Nella visione dell’economia civile l’uomo più che massimizzatore di utilità, è cercatore di senso e il senso del vivere dipende non solo da reddito, salute ed istruzione, ma soprattutto dalla generatività, ovvero dalla capacità della propria vita di essere utile a qualcosa o a qualcuno.
A proposito di generatività Becchetti cita i quattro verbi tratti dalla teoria di Erik Erikson. Il primo verbo è desiderare. La mancanza di desiderio, magari per paura che il desiderio sia irrealizzabile o per un timore eccessivo per gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del desiderio, rischia di essere oggi uno dei problemi principali della crisi di generatività che poi porta alla trappola di senso del vivere.
Il secondo verbo è far nascere, perché la nascita di qualcosa (una famiglia, un’impresa, un’organizzazione sociale, un’opera artistica) è elemento costitutivo della generatività. Il terzo verbo è accompagnare ed è quello più prosaico e faticoso. Ciò che abbiamo fatto nascere con grande entusiasmo iniziale senza opportuno accompagnamento iniziale rischia di morire presto rendendo il nostro atto generativo monco. L’ultimo verbo della generatività (lasciar andare) individua una fatica non fisica, ma spirituale o mentale. Se ciò che abbiamo creato ed accompagnato con fatica resta sempre sotto il nostro controllo e le nostre ali morrà con noi. Conclude la relazione citando il sito di Ecommerce sostenibile www.gioosto.com con prodotti che hanno in sè una storia di inclusione e buone pratiche di senso.
La chair Dott.ssa Rosanna Rulli introduce la relazione del Dott. Stefano Bolognini, Membro Ordinario SPI-IPA con Funzioni di Training, pensando alla stadera*, in una sorta di equilibrio di aree di pensosità dinamiche in un’alternanza “e/e”.
Il Dott. Bolognini esplicita il proprio elevato livello di felicità nella possibilità di collegamento con i ponti tracciati dai precedenti interlocutori e cita il Disagio della civiltà di Freud, nel quale l’autore non fa sconti e descrive il lato bestiale dell’uomo. Ricorda che Caino non solo esiste, ma ha anche una vitalità che non possiamo ignorare e che va integrata con quella di Abele, in quanto la coesione del Sé è data da una buona legatura di elementi interni. Riprende il concetto di complessità citando la colta relazione della Dott.ssa Laura Ambrosiano, sottolineando come la tematica si estenda dall’individuo al mondo e alla nostra capacità di attesa, di sospensione del giudizio, alla ricerca di un senso che saranno diversi in base alla storia di ognuno.
Per concludere Bolognini cita un episodio avvenuto in occasione di un Convegno tenutosi a Lavarone (TN), nel quale venne posta una domanda relativa alla difficile coabitazione fra orso ed abitanti. Dopo i primi facili entusiasmi a favore dell’orso, si entrò nell’area della complessità e i margini di chiarezza diventarono più sfumati.
La discussione successiva ha permesso ai colleghi collegati da remoto di porre domande e ha dato la possibilità ai relatori di ampliare le relazioni, già ricche e generose di spunti.

R. Fava

* un tipo di bilancia basato sul principio della leva, con la quale si raggiunge la pesata equilibrando il peso dell’oggetto con il romano (peso di riferimento).

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