Sabato 14 maggio 2022 si è tenuta, attraverso l’ormai solita e collaudata piattaforma digitale Zoom, la giornata seminariale organizzata dal Centro Psicoanalitico di Bologna dal titolo: “L’istinto di comunicare nell’era digitale”.
La giornata ha visto coinvolti come relatori, nella mattina la dott.sa Florence Guignard in collegamento dalla Svizzera e come chair la dott.sa Irene Ruggiero (Bologna). Nel pomeriggio è seguita la relazione del dott. Luigi Caparrotta in collegamento da Londra coordinato dal chair dott. Marco Monari (Bologna).
Nella relazione della dott.sa Guignard, dal titolo “Digitale e sviluppo della mente”, a partire dalle ultime ricerche sulla memoria implicita o memoria procedurale, oggi particolarmente attuali per varie ricerche neuroscientifiche, si evidenzia come, sin dalla vita intrauterina, sia precocemente presente un Io già abbastanza organizzato in grado di fare una ricca e significativa esperienza sensoriale che lascia traccia fondamentale nel feto. Tale competenza sensoriale, come evidenziato da Bion, è poi necessario che venga tradotta in elementi di pensiero grazie all’intervento della capacità di pensare degli adulti, il cui prototipo è la capacità di sognare della madre del neonato. Tale movimento si esplica nella capacità di attenzione nel cogliere significati attraverso la parola ed il contatto, nell’interpretazione del mondo interno ed esterno. Suddetta capacità attentiva, sino alla costruzione di rappresentazioni e simboli messi a confronto con il primo oggetto di investimento “il contenitore uterino perduto per sempre”, andrà a costituire la matrice originaria del contenitore psichico non ancora internalizzato. Il dolore per la perdita dell’oggetto contenitore, che ha in sé le premesse del principio di realtà, è elemento centrale dello sviluppo psichico e del raggiungimento della posizione depressiva descritta dalla Klein. Tale scorrere evolutivo fondamentale come è noto necessita della presenza di un materno in grado di accompagnare con la propria capacità di sogno e parola l’infante, proteggendo il bebé dall’esposizione senza protezione all’esperienza del “reale senza l’umano” che obbligherebbe il cucciolo d’uomo a ricorrere a difese massicce. Se non aiutato nel quotidiano da un compagno umano che lo invita in un bagno sonoro e verbale impregnato da una relazione con qualità emotiva sufficiente, il neonato non avrà altre risorse per difendersi da un vissuto intollerabile che quella di sottomettersi passivamente al diniego e alla scissione, financo alla frammentazione che la realtà traumatica gli impone.
L’autrice, dopo tali fondamentali premesse, collega questo all’attualità sociale degli ultimi decenni, evidenziando come il “senso di colpa” legato alle contingenze della vita professionale e personale della “donna liberata” di oggi, può inibire la capacità di questa di fornire “la parola e la relazione” che diano senso all’esperienza sensoriale e del reale del lattante che finirà per proteggersi dal non-senso conseguente, distruggendo le sue capacità di attenzione e di memorizzazione. E’ qui che potremmo andare a collocare, sostiene ancora l’autrice, quel “trauma della nascita” citato da Rank, come anche l’instaurarsi di scissioni passive al posto di quelle attive che organizzano il rapporto con il mondo attraverso la capacità di distinguere, come diceva Freud, ciò che è “Buono, da mangiare; cattivo, da sputare!”.
Come scriveva Bion, l’attenzione è la leva essenziale per la comprensione della realtà e dell’interpretazione del mondo nella capacità di distinguere il simbolo dalla cosa simbolizzata. La salute della nostra attenzione dipende dalla nostra capacità nel riconoscere l’autonomia degli oggetti, la loro assenza, rinunciando infine al loro possesso esclusivo.
I bambini ADHD si mostrano incapaci di tale elaborazione distruggendo la loro capacità di attenzione su oggetti, immagini o suoni, non traendone di conseguenza una memoria accessibile alla coscienza. I loro elementi sensoriali sono in un qualche senso dispersi prima di avere investito il micro-tempo necessario per aggregarsi e formare una catena emozionale minima che si trasformerebbe in elementi di pensiero. Le loro capacità motorie spesso vengono in soccorso per fare “tabula rasa”, mettendo in atto un’agitazione motoria importante e distruttrice che chiamiamo “iperattività”.
In estrema sintesi viene ipotizzato che il disturbo ADHD risieda in una incapacità di elaborazione del lutto dell’oggetto che provoca uno squilibrio tra principio di piacere/dispiacere ed il principio di realtà, impedendo la rinuncia del controllo onnipotente sull’oggetto simbolizzato.
Il clinico oggi si rende sempre più conto di tale realtà attraverso l’osservazione della dipendenza da parte dei bambini dai videogiochi che propongono un universo senza lutto. Nei bimbi ADHD questa costruzione simultanea di un mondo interno e dell’investimento di un principio di realtà efficace non si organizzerà in modo armonioso e dinamico per via della moltitudine e dello sparpagliarsi di un oggetto primario – il contenitore uterino – la cui importanza, e quindi, la cui perdita, fu ed è continuamente negata dal mondo che circonda il bambino.
La situazione sociale moderna, si osserva ulteriormente, ha mutato le condizioni relazionali tra esseri umani, compresa la relazione madre e bambino, impattando anche sulla possibilità da parte del bambino di raggiungere la sana capacità di simbolizzazione e la rinuncia all’onnipotenza sugli oggetti. Ancora, l’adolescente, che si trova nel momento di massima permeabilità tra i propri “territori della realtà interna con quelli della realtà esterna”, incontra varie difficoltà nella costruzione della sua nuova identità adulta. Vari mutamenti radicali sono apparsi in uno spazio-tempo abbastanza corto: una nuova pandemia con vari lockdown, il degrado catastrofico del clima, una barbara guerra in Occidente, l’immigrazione in continuo aumento, hanno modificato le aspettative future dopo almeno tre generazioni in cui erano prevalse illusioni edonistiche. Queste le principali ragioni che hanno aggiunto un immenso smarrimento alla “normale” disorganizzazione adolescenziale dell’equilibrio stabilito durante l’infanzia tra il principio di piacere e il principio di realtà. Questa situazione lascia poche occasioni agli adolescenti di oggi per elaborare una sana ambivalenza post-edipica. Le loro identificazioni introiettive, che dovrebbero accrescere considerevolmente durante la seconda metà dell’adolescenza, rimangono abbastanza problematiche, e quando tali scombussolamenti rendono più complicata la vita in famiglia, gli adolescenti si rivolgono ai coetanei, in una vita di gruppo resa ultimamente difficile a causa dei vari lockdown e solo parzialmente recuperata attraverso i social e la virtualità.
L’identità in formazione dell’adolescente prevede un riassetto complesso del suo rapporto con il corpo verso una nuova intimità con questo. Il corpo e lo spirito sono legati insieme dalla vita intra-uterina fino alla morte. Come visto, l’attitudine psico-sensoriale, mossa all’interno del rapporto con la madre, gioca per l’infans un ruolo importante nella relazione di intimità con sé, che permette la creazione di uno spazio interno di intimità precoce. Spesso però l’adolescente, più che una sana nuova esperienza di intimità con il proprio corpo, fa un’esperienza di extimità, ovvero finisce per comportarsi con gli altri allo stesso modo ovunque, in un’assenza di attenzione e di attaccamento sensoriale con il proprio ambiente umano. Ciò diviene oggi, all’interno dei mutamenti descritti, sempre più probabile, nella direzione di nuove forme di patologia come l’ADHD e varie forme di autismo.
Con la pubertà, i limiti dello spazio psicosomatico dell’intimità sono profondamente disorganizzati; la coerenza identitaria diventa particolarmente instabile, appaiono nuove difese che conducono i teenagers o a ritirarsi in un claustrum o ad utilizzare un esibizionismo provocante, che mette alla prova i nuovi contorni e limiti del loro corpo, come della loro psiche. Tatuaggi e vestiti particolari, o addirittura strani, esprimono un po’ del perturbante che sta irrompendo nell’immagine del corpo. L’adolescenza è il terreno di gioco per eccellenza di ogni specie di movimento di identificazione, di adesione, di proiezione, di introiezione, particolarmente intorno alla trasformazione dell’Io ideale dell’infanzia verso l’ideale dell’Io adulto. L’estensione della “cultura della rete” ed il rilassamento delle regole sociali facilitano le domande e le osservazioni dell’adolescente all’alba delle proprie esperienze di una forma adulta di sessualità, ma i nuovi adulti, da almeno tre generazioni, si sono resi meno disponibili a rappresentare un limite al quale opporsi, limite necessario all’adolescente per poter scindere e proiettare più lontano possibile il destino inarrestabile della pubertà, che conduce loro ad elaborare il lutto dell’infanzia e del suo infinito potenziale, per diventare uno specifico adulto già in parte limitato. Tuttavia, la persecuzione paranoide non riesce a contenere la melancolia. Una tale richiesta di onnipotenza è la più arcaica e patetica difesa contro l’impotenza infantile. La concretezza ha invaso regressivamente tutto il campo della simbolizzazione, non rimanendo nel lavoro analitico molto spazio transizionale nel quale poter lavorare. L’onnipotenza delle tre generazioni legate al boom economico e digitale di questi ultimi cinquant’anni, ha trasformato considerevolmente il modo in cui l’individuo occidentale considera la sua vita psichica interna e le sofferenze di quest’ultima. L’autrice a questo punto fa conseguire che, oggi, la sfida per lo psicoanalista è particolarmente legata al fatto che gli involucri psichici di molti pazienti che si incontrano sono altrettanto difettosi quanto gli involucri sociali. La quota di perturbante insita in ogni nuovo incontro psicoanalitico contiene spesso troppe parti dell’oggetto poco positive o troppo negative, poco famigliari o eccessivamente sconosciute. Oggi è la vita psichica stessa che è messa in discussione, in parallelo alla possibilità di “un’intimità” sufficiente con sé stessi come con l’altro. Ciò mette in discussione l’identità dell’analista e le possibilità dell’analisi, con la necessità sempre più urgente di rinnovare tale identità all’interno di un contesto sociale mutato e di strumenti tecnici e tecnologici anch’essi mutati. L’autrice conclude le proprie riflessioni, ricche e condivisibili, con una domanda da porci come psicoanalisti ed una proposta per affrontare tale complessa nuova situazione sociale e dell’individuo. Proposta sulla quale tutto il dibattito successivo si muoverà attraverso contributi ed esperienze personali dei partecipanti. La riflessione proposta invita alla necessità di mantenersi congrui e fedeli al giuramento terapeutico, rimanendo il più vicino possibile alle esigenze del lavoro psichico con il conflitto inconscio, il campo transfero-contro-transferenziale e l’impegno clinico, qualunque siano le circostanze e mezzi proposti nel presente.
Da tale proposta e riflessione sembra conseguire, in maniera quasi naturale, la relazione del pomeriggio portata dal dott. Caparrotta: “L’incanto del digitale sull’adulto”, in cui vengono messi a confronto vari elementi della relazione analitica mutati all’interno dell’analisi condotta a distanza. Le sue considerazioni e riflessioni partono da quanto rilevato da varie ricerche condotte dalla società Psicoanalitica inglese, come anche recentemente, dalla task force dedicata dell’IPA. Tali studi e riflessioni sono presenti nel dibattito internazionale da anni, ma recentemente si sono diffusi in virtù dell’accelerazione che l’uso di questi strumenti e tipo di analisi hanno avuto a seguito della pandemia e dei vari lockdown.
Nel suo lavoro vengono analizzate le differenze più significative della relazione tra analista e paziente, tra il lavoro in presenza e da remoto, le differenze nell’organizzazione dello spazio e del tempo sull’organizzazione interna/esterna della seduta, del paziente e dell’analista. Il delineare tali aspetti permette poi di comprendere come tali specificità presenti nell’analisi a distanza rendano quest’ultima più o meno indicata per alcuni tipi di pazienti e non per altri. Inoltre viene specificato che il paziente è maggiormente “chiamato” alla partecipazione attiva nella costruzione del setting, circostanza che va a mutare parte dell’esperienza e i tipi di transfert e controtransfert risultanti. Naturalmente si evidenziano anche alcuni benefici del lavoro a distanza legati principalmente alla maggiore accessibilità delle terapie e al mantenimento delle stesse nel tempo, ovviando alle problematiche delle distanze geografiche e del tempo disponibile ai pazienti oggi. Parimenti però anche il rapporto terapeutico diventa più impersonale, più simile ad alcune forme di commercio, vedendo recentemente aumentate le lamentele da parte di molti pazienti. Il lavoro nel transfert e controtransfert da remoto diventa meno intenso e più diluito, si perdono elementi non verbali e rituali, gesti legati al corpo che definiscono in maniera sostanziale la maggior parte delle relazioni umane: vista, tatto, gusto, odorato, prospettiva, vicinanza e distanza, colore, profondità e forma dell’esperienza, portando, tali mancanze, a spostare l’attenzione principalmente sugli elementi inconsci presenti nel campo. Tali primi risultati inducono a riflessioni specifiche a partire dalle teorie di riferimento che molto hanno indagato sul rapporto analista e paziente, come anche sull’importanza specifica del setting analitico. Si riflette sulla necessità che “i corpi di paziente ed analista debbano trovarsi assieme per mettere alla prova la capacità di sopravvivere. Questo non può avvenire solamente con l’incontro di due menti”. Ovvero i pazienti devono sperimentare la capacità dell’analista “in carne ed ossa” (Isaacs-Russell, 2016), e come anche ci ricorda Winnicott , “l’oggetto, per essere usato, deve essere necessariamente reale – nel senso di essere parte di una realtà condivisa”. Perciò ne consegue che inevitabilmente l’uso dell’oggetto viene in parte precluso dalle limitazioni proposte dal lavoro da remoto. Certamente anche i benefici sono diversi, soprattutto legati alle necessità concrete dell’attualità sociale, e la tele-analisi risulta maggiormente praticabile e soddisfacente quando è stato possibile un lungo lavoro preparatorio precedente in presenza. Inoltre, l’analisi a distanza risulta più praticabile per quei pazienti che hanno ricevuto una “sufficientemente buona” cura materna che permetta loro di vivere l’ambiente come benevolo e non si mostrano particolarmente bisognosi di ricevere holding ed eccessiva connessione empatica. L’analisi a distanza si mostra inoltre utile e ben accolta da quei pazienti che hanno subito traumi legati a violenze, vivendo di conseguenza con diffidenza i rapporti troppo stretti.
Vantaggi e svantaggi, ma soprattutto i cambiamenti sostanziali evidenziati, ci obbligano a riflessioni che dovranno ancora proseguire in quanto gli strumenti tecnologici sono destinati a rimanere e ad aumentare ancora nel futuro, come anche sono destinate ad aumentare le necessità di un lavoro analitico per gli individui del futuro. Per tali ragioni, viene suggerita dal relatore, la necessità di inserire anche all’interno dei nostri training formativi, corsi specifici per l’utilizzo corretto e consapevole di tali strumenti e tipologia di cura.