I relatori: Silvio Merciai (Torino) Psichiatra, Membro Ordinario SPI/IPA e Pietro Roberto Goisis (Milano) Psichiatra, Membro Ordinario SPI/IPA, Esperto B/A.

In apertura dei lavori il dott. Monari ha richiamato la memoria ai tempi di inizio pandemia quando alcuni analisti parlavano della necessità, di adattarsi e adattare il setting temporaneamente attraverso il contatto da remoto per continuare ad esaudire il bisogno di cura dei loro pazienti: “Ora siamo pressoché tutti tornati in presenza ma credo che da questa rivoluzione non si possa tornare indietro”.

La parola è passata poi al moderatore della mattinata, il dott. G. Bambini, il quale, come introduzione, ha portato l’esperienza personale del lockdown e quella di moderatore del dibattito online di spiweb sulle terapie da remoto.

Bambini ha ricordato sia l’articolo di Marzi e Fiorentini (2017) nel quale si discuteva delle implicazioni teorico-tecniche del lavoro online, sia l’intervista fatta da G. Giustino alla collega americana Scharff sullo stesso tema quali spunti teorici del dibattito.

Riguardo al dibattito ha rievocato Bolognini il quale interpretava la terapia online come una “tenda da campo quando si è sorpresi da un terremoto”, qualcosa di indubbiamente significativo per i pazienti, ma anche per noi proprio “per riuscire a conservare un angolo di normalità e rassicurante routine nel magma che ci stava travolgendo”.

Da quel fitto scambio di osservazioni ed impressioni è emerso come il tema centrale di ciò che sembrava irrimediabilmente perduto riguardasse il corpo, così necessario nel lavoro analitico.

Da ciò sono scaturiti interrogativi in più direzioni: una comunicazione quasi del tutto incentrata sul contenuto verbale, le immagini dei luoghi dai quali si svolgevano le sedute, i significati che implicavano nella relazione gli aspetti collegati al mezzo tecnico.

Nessuno si soffermava a considerare la possibilità che forse non si sarebbe più tornati indietro e che “l’utilizzo del cyberspace avrebbe potuto lasciare tracce di irreversibilità”.

Ha preso la parola per primo Goisis il quale, prima di entrare nel vivo del suo interessante intervento ha dedicato questo seminario alla memoria di Marta Capuano, collega psicoanalista recentemente scomparsa, tra le primissime a pensare all’importanza dell’uso di Internet in terapia.

Citando l’articolo “Internet, una sfida” pubblicato su Psiche da Merciai, Goisis ha esordito affermando che la terapia psicodinamica da remoto non nasce con la pandemia, ma precedentemente. Ha raccontato, infatti, una vignetta clinica di cui ha parlato in un articolo (1999).

Nello stesso anno un gruppo di colleghi deciderà di fondare l’Online Therapy Study Group, un lavoro intenso svolto tramite mail. Successivamente Merciai pubblicò l'articolo “Psicoterapia online: un vestito su misura” in @Psichoterapy 2001 curato da Cantelmi.

Ha ricordato un articolo del ‘99 di Paolo Migone - che faceva parte del gruppo di studio - in cui segnalava chiaramente la sua posizione controversa: “Il modo in cui veniva affrontata la psicoterapia online metteva a nudo, a volte impietosamente, come veniva concepita e praticata la psicoterapia non online, ad es. le sue stereotipie, la sua tecnica ritualizzata o ossificata, quindi senza vita”.

Nel settembre 2020 Funzione Gamma - Journal on line di psicologia di gruppo propose a Goisis e Merciai di scrivere attorno all’argomento; venne così a costituirsi un numero monografico (gratuito e accessibile a tutti a questo link https://www.funzionegamma.it/la-pandemia-e-la-terapia-online/ ) dal titolo “La pandemia e la terapia online” a cura di S. Marinelli, P.R. Goisis e S. Merciai.

Ne ha passato in rassegna rapidamente le diverse sezioni riassumendo il contenuto delle due parti di cui si compone: “La pandemia tra teoria e clinica” e “La questione online. Problemi e opportunità”.

In esordio dell’intervento successivo S. Merciai ha affermato che già prima della pandemia la letteratura scientifica aveva attestato che la terapia psicodinamica online funzionasse e che non fosse una terapia di serie B, un “meglio che niente”. Ha anche affermato come sia molto difficile lavorare in termini di evidence based su queste affermazioni, nonostante siano stati fatti studi in merito. Merciai mostra, a titolo esemplificativo, una serie di studi trial randomizzati che dimostrano come la psicoterapia in videoconferenza sia efficace esattamente quanto la psicoterapia vis à vis.

Aggiunge che la terapia online dispone di una specifica elaborazione teorica che la sottende, essendo una particolare modalità di lavoro che opera con uno specifico setting.
A sostegno di questa tesi Merciai cita Rich ed Eigen, oltre a Lingiardi e Giovanardi (2020).

Ha riportato, poi, quello che da lui è ritenuto il più bell’articolo esistente sull’esperienza della terapia online: “Teleanalysis: Slippery Slope or Rich opportunity?”, scritto dall’analista americana Elhrich (JAPA, 2019).

Merciai ricorda, inoltre, quanto la storia della terapia psicodinamica da remoto sia caratterizzata non tanto da contrasti di carattere teorico, ma risenta invece di resistenze e diffidenze di carattere corporativo ed economico.

Segue una carrellata storica, divisa per fasi progressive, delle tecnologie che sono state di ausilio alla terapia online.

Rammenta il fatto che solo nel 2017, in Italia, il CNOP abbia accettato la possibilità della terapia online, anche se con una serie di limitazioni.

Si deve senza dubbio al mezzo online l’aver permesso la promozione della psicoanalisi anche in territori nei quali questa non era praticata e vedeva l’assenza di analisti formati.

Merciai passa poi in rassegna le posizioni contrastanti dell’IPA e dell’APsaA sulla terapia online ed elenca gli strumenti per approfondire l’argomento, rimasti “patrimonio di nicchia”: Carlino, Lemma, Russell, Scharff.

“Lo scoppio della pandemia ci ha trovati tutti impreparati all’utilizzo della terapia da remoto - ha spiegato il relatore - a questo ne sono conseguite alcune reazioni tra cui le questioni deontologiche, di privatezza e sicurezza, la garanzia della formazione, proprio quegli aspetti che ci separano dal rischio di svolgere una ‘terapia selvaggia’ ”.

In conclusione, lascia il riferimento ad alcuni testi italiani tra cui l’ultimo appena uscito del Dott. Goisis intitolato “Lock-mind due diari della pandemia”.

Alla ripresa dei lavori la parola va a S. Merciai il quale sostiene che la terapia online non sia un problema teorico anche se va affrontato in sede teorica; come il problema del “Disembodiment” cioè la mancanza di un corpo fisico all’interno della terapia online, che secondo il relatore non dovrebbe essere considerato tale.

Riguardo a questa tematica riporta la posizione della Russell indicandola come la più rigida tra quelle in circolazione; ella, riferendo della sua esperienza, parla male ancora nel 2020 del mezzo a distanza, sostenendo con forza che “la vera presenza è in realtà insostituibile”.

La Scharff e A. Marzi (2021) sostengono che la presenza del corpo nell’analisi a distanza entra comunque a pieno titolo nella conversazione analitica nonostante la sua assenza nella stanza. A tal riguardo, Goisis mostra un’immagine tratta da una seduta con una giovane paziente a sottolineare l’impatto che può suscitare negli altri il corpo esperito da uno schermo.

Segue un accenno alla neurobiologia interpersonale per il tramite delle teorie della Feldman ( https://www.emotionsbrainforum.org/ ) di grande interesse anche nel lavoro della psicoterapia online. Accenna a quel particolare processo che si stabilisce tra due persone: la “sincronizzazione” (Sigal Zilcha-Mano and Ruth Feldman, 2020).

Merciai non crede che l’assenza del corpo sia il problema, bensì il fatto che la terapia online cambia il “rito della seduta” a cui siamo abituati (A. Sabbadini). Conclude dicendo che la terapia online è l’eredità più importante che ci lascia questa drammatica pandemia e che dovremo occuparci della possibilità che questo strumento rimanga con noi.

La realtà è cambiata, e questo significa che il problema consiste nel come costruire un setting - preparato da noi solo in parte - che sia veramente accogliente anche nell’online.

In linea con Merciai, Goisis afferma che, a proposito di setting esterno, ciò che conta veramente per i nostri pazienti sia la stanza di terapia. Goisis non trova convincente il modello dell’analista che cerca di riprodurre dallo schermo ciò che il paziente vede in seduta in presenza perché, a suo parere, la condizione della seduta analitica è irriproducibile.

Il tentativo di ritrovare la stessa ambientazione è una conferma di quella condizione tecnica ossificata di cui parlava Migone. Si sofferma sulla descrizione della “sua” stanza di analisi da un punto di vista logistico per la connessione e la posizione da assumere adatta all’online, mostrandone le immagini al pubblico, aggiungendo che “non abbiamo ancora trovato una piattaforma adeguata che potrà garantire riservatezza per l’incontro”.

Alcune rapide considerazioni sono dedicate al setting misto sul quale Goisis esprime parole di incertezza; in quanto ancora work in progress, sicuramente necessita di un’esplorazione più approfondita unita ad un’intesa migliore tra colleghi sulle modalità del suo utilizzo.

Per concludere il suo intervento Goisis riprende le parole di Marlene Maheu, la più grande esperta di terapia online e fondatrice di telehealth.org, la quale sprona gli analisti a riflettere sul fatto che non si potrà frenare questo fenomeno del rivolgersi all’online ogni volta che si pensa di aver bisogno di aiuto.

Merciai reputa importante studiare la terapia online sia durante l'emergenza pandemica sia fuori da essa, per tenere il “filo” che serve per elaborare il lutto, quello che noi analisti dobbiamo fare rispetto alla nostra formazione.

In conclusione Goisis ha trovato congeniale, in accordo con Merciai, l'attitudine di fare un “passo oltre”, sottolineando quanto l’online sia un altro strumento di lavoro che si va ad “aggiungere alla nostra cassetta degli attrezzi”, per citare una nota metafora di A. Ferro.

Come dirà Bambini un attimo prima dei saluti: “credo non ci siano parole più belle per concludere la giornata di oggi”, offrendo in conclusione alla sollecitazione dal pubblico la risposta genuina di Merciai: “Credo che la mia identità di psicoanalista e di terapeuta abbia continuato a cambiare in relazione ai fatti, agli avvenimenti, agli incontri, agli studi, ecc.; sono convinto che la terapia online vent’anni fa abbia dato un forte slancio a questi cambiamenti.

Mi auguro che la mia identità continui ad essere provvisoria e in cambiamento fino alla fine.”

 

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