27 febbraio 2016

Il secondo seminario del ciclo di “Psichiatria e psicoterapia dell'adulto” che il Centro Psicoanalitico di Bologna ha organizzato per l'anno 2016, ha avuto come relatori la dott.ssa Valeria Egidi Morpurgo e il dottor Michele Sforza, entrambi psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana, che hanno presentato una relazione dal titolo: “Ludopatie: dall'uso disfunzionale alla dipendenza.”
I due colleghi, entrambi molto esperti di questa problematica attuale, grazie alla loro pratica clinica e ai loro studi, hanno fatto una interessante relazione con l'obbiettivo di far riflettere sulle cause che determinano la trasformazione della vitale funzione del gioco in qualcosa di distruttivo e patologico, traendo da questa analisi qualche ipotesi terapeutica che può fungere da traccia per approfondimenti ulteriori.
Inizialmente il dottor Sforza ha descritto il gioco quale attività fondamentale per la vita. Esso è stato infatti riconosciuto, da autori diversi, come un esercizio preparatorio di compiti esistenziali, una fonte di appagamento di bisogni fondamentali quali il controllo, il dominio, l'autoaffermazione e la competizione, nonché base fondamentale per la nascita della comunicazione. Queste funzioni sono ben riconoscibili sia negli esseri umani che, più ampiamente, nella vita degli animali.
Nello specifico della storia della psicoanalisi inoltre, M. Klein e A Freud hanno valorizzato e utilizzato il gioco come fattore di diagnosi e di terapia, mentre D.Winnicott lo ha descritto come espressione dell'area transizionale co-creata nella relazione, a partire da quella madre-bambino sino a quella psicoanalitica.
I diversi tipi di gioco hanno in comune l'esercizio della libertà del singolo che si articola con le regole condivise; proprio quando viene persa la caratteristica della libertà, il gioco diventa patologia.
In questo caso si parla infatti di dipendenza da comportamenti o dipendenza in assenza di sostanze, per sottolineare l'aspetto coattivo e ripetitivo che il gioco, con le sue componenti di rischio e vertigine, viene così ad assumere.
Riconosciuta nell'universale ricerca del piacere la motivazione di partenza del comportamento ludico, ci si è interrogati sulle successive trasformazioni che questo subisce nel divenire malattia.
Dopo aver fornito alcuni dati numerici descrittivi dell'entità della diffusione del fenomeno (l'1-3% della popolazione italiana risulta essere dipendente dal gioco e intorno ad ognuno di questi individui altri 8 soggetti vengono coinvolti nella sofferenza), il relatore ha descritto il Gioco d'azzardo Patologico (GAP), riconosciuto dall'OMS come malattia dal 1980, secondo i criteri del DSM 5. Questi sembrano sovrapporsi a quelli delle altre dipendenze patologiche, sia per quanto riguarda i comportamenti di abuso che i sintomi di astinenza e di tolleranza, nonché per le conseguenze sui familiari e più in generale sulla vita sociale che il disturbo comporta.
Il dottor Sforza non si è soffermato nei dettagli delle varie ipotesi psicoanalitiche sul processo degenerativo che dall’iniziale ricerca del piacere porta allo sviluppo tossicomanico.
Nel ribadire che non tutti i “giocatori di tombola” diventano malati di GAP, si è cercato di capire quali siano i soggetti più vulnerabili. In particolare si è ricordata l'iniziale tesi di Freud riguardante il legame tra il gioco e l'intreccio della ricerca del piacere masturbatorio con la punizione edipica, si sono citati vari autori che hanno evidenziato il senso di colpa e il masochismo psichico come fattori determinanti nel GAP, se ne è riconosciuta l'attuale comorbilità con altri disturbi di personalità (narcisistico e borderline) e la verosimile compresenza eziopatogenetica di fattori socio-culturali.
Le recenti scoperte delle neuroscienze hanno inoltre evidenziato la base biologica delle vie dopaminergiche implicate nella ricerca del piacere e di come queste, poste nelle aree sottocorticali, possano essere scollegate dal controllo della corteccia e della volontà. Questa evidenza induce una riflessione anche sulle ipotesi terapeutiche e sulla possibilità di riavviare collegamenti neurologici con funzione di modulazione.
Partendo da una valutazione terapeutica, è stata messa in discussione la tesi che il GAP sia uno dei sintomi di un disturbo psichiatrico poiché vari studi hanno documentato la non coincidenza del miglioramento  del GAP e della patologia psichiatrica primitiva, nel momento in cui questa fosse trattata con successo. L'ipotesi ritenuta più verosimile per il GAP è quindi quella di una patologia a sé stante, che si presenta come un disturbo dei sistemi psichici e neurofisiologici, causata da fattori biologici, psicologici e sociali. Questa conclusione comporta l'applicazione di strategie terapeutiche multimodali e multidisciplinari, che tengano conto delle diverse componenti coinvolte nel singolo individuo.
Si è infatti rivelato necessario un duplice intervento terapeutico, sul disturbo psichiatrico solitamente associato e sulla ludopatia, per quest'ultima rendendosi fondamentale il raggiungimento dell'astinenza prima e del suo mantenimento poi. A questo proposito si è visto che l'integrazione di una terapia psicologica individuale con una terapia di gruppo, in gruppi di autoaiuto simili a quelli degli Alcolisti Anonimi, sembra essere la formula più efficace.
La dott.ssa Egidi ha presentato un caso clinico in cui si è resa necessaria la collaborazione tra figure professionali diverse, evenienza frequente in queste situazioni di eziopatogenesi complessa del disturbo; sono state riconosciute anche le possibili difficoltà che tale cooperazione può incontrare.
A conclusione degli interventi dei relatori diverse domande hanno permesso di evidenziare alcune aree rimaste meno approfondite, come il rapporto tra Gioco d'Azzardo e Perversione, nonché quello dell'intreccio del gioco simbolico con quello concreto nei giocatori compulsivi.
Nel pomeriggio la dott.ssa Maria Moscara e il dottor Franzo Gazzoletti, psicoanalisti del Centro Bolognese, hanno offerto un momento di approfondimento per un piccolo gruppo che ne ha fatto richiesta.
Una quindicina di partecipanti ha potuto così mettersi in dialogo presentando alcuni casi di pazienti di difficile gestione. In essi l'iniziale richiesta terapeutica, per problemi depressivi o altri disturbi psicologici,  mimetizzava o addirittura nascondeva la dipendenza dal gioco.
Si è così evidenziato il problema della vergogna che affligge questi pazienti e l'utile impiego dei gruppi di autoaiuto, che sono stati riconosciuti come un intervento fondamentale per il raggiungimento e il mantenimento dell'astinenza.
Ci si è anche interrogati sull'efficacia delle terapie psicoanalitiche in pazienti che spesso fanno un uso transferale della compulsione al gioco, quale sostituto dell'oggetto di dipendenza.
Nel ribadire che i trattamenti più incisivi sembrano spesso comportare la collaborazione tra figure professionali diverse, si è comunque evidenziato come la comprensione psicoanalitica di un disturbo multifattoriale come il GAP è certamente di grande utilità per il terapeuta stesso, che può forse così attrezzarsi meglio per un trattamento frequentemente di grande difficoltà.

(marzo 2016)

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