Nell'ambito dei seminari, del 2016/17, tenuti presso il Centro Psicoanalitico bolognese, il gruppo “Psiche Dike” ha organizzato una giornata di studio dedicata alla " Revisione critica del reato, quali strumenti per la valutazione della capacità riparativa", tema complesso e dibattuto,da almeno due secoli.
La Lex Carolina, nel 1532, rappresentando la nascita del diritto penale, sanciva che il diritto di punire era facoltà riservata agli organismi dello Stato; occorre giungere all'Illuminismo italiano e alla Rivoluzione francese, per vedere accolti, nel diritto penale, i princìpi umanitari, egalitari e garantisti: solo con il Codice Leopoldino infatti, si affermava: ... l'esclusiva potestà dello stato nel punire"(art. 1 e ss.), il principio di eguaglianza di fronte alla legge, l'abolizione della pena di morte e di tortura.”
Si sono confrontati sul tema magistrati, docenti universitari, avvocati, periti e psicoanalisti.
La giornata è stata inaugurata dal dott. Zucchini, che ha fatto un breve cenno storico all'epoca pre-Basaglia, in cui i manicomi erano luoghi-contenitori come oggi i carceri, dove la società sembrava voler isolare la follia, esorcizzare il male, contenere coloro i quali potevano disturbare l'ordine e l'armonia pubblici. Luoghi, dove il paziente/detenuto è un numero; in manicomio Zucchini ricorda la sua esperienza in compagnia di altri 12 giovani colleghi analisti, l'avvento di analisti disposti ad ascoltare, in un'istituzione in cui albergavano all'incirca mille pazienti e due medici: un'esperienza di ascolto e, forse per la prima volta, i numeri si sentono persone.
L'ascolto è l'elemento caratterizzante il lavoro dell'analista ed è uno strumento per far prendere coscienza, nella sua accezione di consapevolezza, affinché l'angoscia, dolore malato, non prenda il sopravvento e provochi atti violenti; nella relazione tra paziente ed analista, attraverso l'ascolto, si compie quel lavoro riparativo, che rimanda a quello dell'artigiano, dell'aggiustare per evitare il disfacimento, la morte.
Nella mattinata si sono si sono susseguiti gli interventi del dott. Mereu, del magistrato dott.ssa Bosi e della prof.ssa Carnevale: ognuno, dal proprio punta di vista, ha contribuito a spiegare cosa sono la revisione critica del reato e la giustizia riparativa, cos'è la capacità riparativa e quali strumenti affidabili abbiamo per valutarla.
Prende la parola il dott. Mereu, psicoanalista S.P.I., citando l'art. 27, della nostra Costituzione, che sancisce l'abolizione della pena di morte: le pene non possono essere contrarie al senso di umanità. Democrazia e diritti, garantiti all'interno del corpo sociale dalla Costituzione. Ma il male è connaturato nella natura umana e continui sono i compromessi con le tendenze trasgressive regolati dal giudice interno, il Super-io.
Ci si domanda, allora, punizione come vendetta? O punizione come rieducazione? ( Dei delitti e delle pene, Beccaria, 1764). Luoghi quali il carcere e il manicomio, posti chiusi per eccellenza sono riformabili? Si possono avviare percorsi di cambiamento all'interno di questi posti? La pena può rappresentare un fattore di cambiamento? Di certo no se la pena diventa il momento della vendetta.
Revisione critica, ma cosa significa?
Significa trovare vie alternative alla restrizione fine a sé stessa e coniugarla all'esecuzione della pena e anche alla certezza della pena, compito che richiede un lavoro funambolico, per evitare di cadere in falsi ravvedimenti, accanimenti giudiziari, proscioglimenti per vizi di mente.
Le pene alternative sono percorsi individualizzati che hanno lo scopo di realizzare la funzione rieducativa della pena e richiedono però investimento e consapevolezza sociale: è così che si passa da una fatto-reato solitario ad una dimensione sociale alla giustizia riparativa.
I fondamenti della giustizia riparativa sono la dignità, la memoria e il tempo; altri concetti attinenti sono il perdono e la promessa, non il risarcimento economico.
Freud non fa cenno alla riparazione, ma parla di riconciliazione: c'è il tempo della riappacificazione, come nel caso del presidente Schreber con le fantasie omosessuali.
M. Klein parla di riparazione, a proposito della rabbia distruttiva del bambino e di una possibile successiva riparazione con il passaggio alla fase depressiva.
Winnicott lega la capacità riparativa all'integrità dell'Io: solo quando il bambino prova senso di colpa nei confronti della madre può riparare e ciò è possibile se c'è un Io integrato.
Concludendo il relatore sottolinea che il terapeuta deve avvertire piccoli frammenti di empatia nei confronti del paziente/reo come segnale dell'avvio di un processo elaborativo-riparativo; la riparazione è, comunque, una questione interiore non esterna.
Segue l'intervento del magistrato di Sorveglianza di Bologna, dott.ssa Sabrina Bosi, la quale individua immediatamente il senso della giornata odierna: “...ci occupiamo,” dice, “noi magistrati e voi medici analisti, dell'essere umano, questo è ciò ci unisce.”
L'art 1,13 e 27 del C.P. sono i riferimenti teorici che regolano il percorso riabilitativo e individuale per l'esecuzione della pena: è il c.d. sistema del doppio binario, per cui alla responsabilità dell'autore corrisponde l'erogazione della pena retributiva, alla sua pericolosità sociale, l'applicazione delle misure di sicurezza, esplicitamente trattate nel Codice Rocco del 1930, attualmente in vigore. I principi, in esso contenuti, sono ancora validi e si basano sulla riconquista della dignità, bene da tutelare.
La relatrice pone l'accento sulla tipologia di intervento da svolgere in carcere con il reo, che non deve essere, esclusivamente, di adattamento alla vita carceraria, quanto di natura più riparativo, là dove si colgono, nel reo, capacità riparative. Sono necessari nuovi modelli di sanzione-riparazione; purtroppo, ancora oggi, il regime carcerario è improntato alla segregazione e alla passività, più che ad un modello sanzionatorio ma riparativo di disvalore sociale del reato.
C'è, ad esempio, scarsa attenzione all'importanza dell'incontro tra la vittima e il reo.
Poi, la Dott.ssa Bosi fa riferimento al nuovo Ordinamento penitenziario, promulgato nel '75, con ultimo aggiornamento al 2006, in esso vengono affermati e codificati i principi del trattamento e del reinserimento sociale dei condannati e degli internati, attraverso l'utilizzo di misure di sicurezza alternative alla detenzione; queste potrebbero rappresentare una modalità di “ravvedimento” che non è un concetto morale, ma un tenere conto del passato e di un mutamento di vita conseguente al riconoscimento del reato commesso.
La giustizia riparativa ha, quindi, un presupposto necessario: la consapevolezza, il riconoscimento e l'ammissione del reato, almeno, come dato oggettivo.
Conclude la dott.ssa Bosi citando l'ex magistrato e scrittore E. Fassone: “la pena detentiva può cambiare l'individuo, la rabbia è distruttiva, il carcere come tempo in cui si può rinascere.”
Fa seguito l'intervento della prof.ssa Carnevale, docente di diritto penale all'Università di Ferrara, la quale si focalizza sui modi del punire e sui limiti del punire, in queste riflessioni la relatrice puntualizza di far riferimento a detenuti non a rei con vizi di mente.
La pena dovrebbe puntare alla rieducazione, alla riparazione, cioè al prendere coscienza del reato, allora si pone il quesito: “prendere coscienza o prenderla la coscienza?”
Domanda che ricorre nel Diritto Canonico, da San Tommaso D'Aquino a Tommaso Moro: lo Stato può costringere a diventare buoni?
Oggi, il Diritto si è discostato da questi concetti che sembrerebbero forme di intrusione rispetto alla libertà interiore e morale; infatti, nell'Ordinamento del '75, non c'è alcun riferimento al “ravvedimento,” concetto ritenuto troppo interiore presente, invece, nel Codice del '30.
Si può ancora sostenere che la pena emenda, ovvero, corregge con la sua funzione rieducativa? “E allora la rieducazione è un concetto interno o esterno?” si domanda la relatrice.
Mette molto a disagio ciò che viene chiesto alla psicologia in ambito carcerario, ovvero, promuovere il senso di colpa nel detenuto, ma è possibile passare dal piano disciplinare a quello terapeutico?
Infine, la prof. Carnevale mette in guardia da falsi ravvedimenti: molti autori di reati hanno ben chiaro che possono usufruire di una serie di vantaggi legati alla giustizia riparativa.
Anche lei conclude citando il libro di Fassone "Fine pena: ora", carteggio in forma di romanzo, tra un giudice e un ergastolano; "il ravvedimento", sottolinea, non coincide con la liberazione anticipata.
Le tre relazioni danno vita ad un vivo e sentito dibattito.
Il prof. Balloni pone una serie di quesiti sulla detenzione cautelare, sui cosidetti "colletti bianchi", le cui pene vanno spesso in prescrizione, quale sarà il vissuto dei truffati o delle vittime?
De Mari, psicoanalista, risponde che la revisione critica non può sostituire una coscienza dall'esterno ma può avere come "effetto collaterale" una serie di vantaggi secondari.
La dott.ssa Ghetti accenna ai grandi processi pubblici per “reati contro l'umanità”, strumento catartico per entrambi le parti, come ad esempio quello che si è celebrato in Sudafrica dopo l'abolizione dell'Apartheid (1994).
La dott.ssa Roncarati introduce il concetto di limite non come qualcosa di sadico, ma come presa d'atto della realtà.
Il dott. De Girolamo facendo cenno ad un proprio caso clinico, parla di utopia rispetto al processo riparativo: possiamo svolgere questa funzione o dobbiamo, più realisticamente, abdicare a funzioni più regolative?
I relatori provano a rispondere ai numerosi quesiti giunti dalla platea.
La dott.ssa Bosi, a proposito dei processi pubblici e all'incontro tra vittima e reo, afferma che in Italia non siamo ancora pronti; racconta che l'anno scorso si è tentato un confronto tra vittime del terrorismo e alcuni ex-terroristi e l'evento è stato annullato poiché aveva suscitato scandalo e disapprovazione da più parti.
La prof.ssa Carnevali rispondendo al prof. Balloni, ricorda che la maggior parte dei reati sfugge alla giustizia, sopratutto quelli dei cosiddetti "colletti bianchi", e che i reati di sangue sono un numero esiguo rispetto al numero complessivo dei reati accertati.
E' certo importante l'attenzione alla vittima, anche se molti di loro, in realtà, delegano lo Stato e la Giustizia ad occuparsene e non vogliono alcun contraddittorio con il reo.
Per la relatrice il vero problema è riconoscere e capire se "il limite" è stato introiettato, e se comprenderlo pertenga ad un ambito specialistico e non giuridico, al compito di una valutazione individuale del reo.
Nel pomeriggio ci si ritrova per discutere, riflettere assieme e tentare di dare qualche risposta ai numerosi quesiti sorti dalle appassionate relazioni. Presiedono la tavola rotonda il dott. De Mari psicoanalista, il dott. Ariatti psichiatra e perito, la dott.ssa Masina psicoanalista, il dott. Amato responsabile UEPE e l'avv. Guazzaloca.
De Mari ipotizza che forse, attraverso la sofferenza imposta dalla lontananza dai familiari, si può giungere ad una qualche forma di consapevolezza; cita a questo proposito il "Libro dell'incontro": ci sono voluti sette anni di mediazione per favorire l'incontro fra vittime e responsabili della lotta armata degli anni di piombo, perché si potesse dar parola all'inenarrabile dolore provocato e subìto.
La dott.ssa Masina ha evidenziato e descritto la specificità degli strumenti psicoanalitici per ciò che concerne la comprensione del mondo interno, dell’intrapsichico e delle relazioni fra le persone, che rappresentano, quindi, nell’ambito del tema della giornata, strumenti essenziali.
Come già messo in evidenza dal dr Zucchini, l'ascolto partecipe può rappresentare uno strumento, che non si deve limitare al "qui ed ora", ma alle vicende di tutta una vita del paziente, per scoprire ad esempio la presenza di traumi non pensati nel passato. La relazione terapeutica, con le sue peculiari declinazioni psicoanalitiche, è altro strumento. La relatrice fa riferimento al controtransfert, che può consentire di valutare quali meccanismi di difesa usa l'interlocutore, le motivazioni profonde rispetto a ciò che viene esplicitato, il funzionamento dell'Io e la capacità di riparativa
La dottoressa Masina ha sottolineato, inoltre, l’importanza dell’integrazione fra le diverse professionalità, con l’auspicio della creazione di un linguaggio comune.
Prende la parola il Dott. Amato, responsabile del U.E.P.E di Bologna e Ferrara. Ricordiamo che con tale sigla si denomina una rete di servizi afferenti al carcere, preposto dal Ministero di Grazia e Giustizia, nel 2014, con il varo della legge in base alla quale chi è condannato a pene inferiori ai 4 anni o per eventuali fine pena, può chiedere un programma alternativo, di pubblica utilità, al regime carcerario.
Il relatore porta alcuni dati che evidenziano quanto la politica carceraria sia stata, ad oggi, fallimentare: la percentuale di recidive tra i rei che scontano la pena in carcere è del 70%, contro il 17-30% di chi effettua un programma alternativo, c'è ancora scarsa conoscenza della giustizia riparativa o conciliativa.
Il sistema carcerario è criminogeno, antieconomico e criminofago: è l'utenza debole, quella che non ha mezzi economici, a rimanere in carcere, non potendo usufruire di avvocati o non avendo un luogo dove poter chiedere gli arresti domiciliari.
Il Dott. Ariatti, psichiatra e perito, si interroga su quali strumenti possiamo contare per prevedere la recidiva. Attraverso tre vignette cliniche evidenzia che nei quadri psicopatologici di scompenso psicotico possiamo individuare elementi di specificità, quali la successiva consapevolezza critica ad un'adeguata rielaborazione dell'evento criminoso, mentre la previsione di pericolosità sociale, nella categoria dei cosiddetti psicopatici, è lo scoglio su cui tutti ci incagliamo e ci sentiamo impotenti.
L'avvocato Guazzaloca, esperto di diritto penitenziario, si domanda quale sia il senso della pena e ne coglie l'aspetto ambiguo. La revisione critica cos'è allora? Nella sua esperienza, è capitato di trovarsi di fronte a persone che non si pentono ma che fanno cose buone, di certo bisogna fare un distinguo tra rieducazione e riparazione perché queste non vanno di pari passo.
Il dott. Vittorangeli, psicoanalista e membro del gruppo Psiche-Dike, sottolinea, a proposito degli interventi psicologici, che non tutti i metodi, come ad es. quello comportamentista, attualmente molto diffuso, portano ad una reale elaborazione.
La giornata si conclude con numerose domande aperte, riguardanti le lacune della Giustizia, soprattutto in ambito penitenziario, l'assenza di strumenti scientifici affidabili per testare la veridicità del ravvedimento e la probabilità di recidiva del reato; alcuni quesiti, invece, sembrano rimandare a questioni più interiori: quanto, come individui siamo disposti a rinunciare alla vendetta personale ed essere, invece, più garantisti? A tollerare la frustrazione dovuta a reati impuniti come conseguenza dei “limiti” della democrazia? Solo un'accresciuta consapevolezza può diventare (trasformare) una coscienza civile più matura.
Marzo 2017