Raramente si ascolta il discorso spontaneo di un relatore senza provare fatica e assaporando con gusto lo scorrere chiaro dei suoi pensieri. Questo è accaduto a chi era presente la mattina del 6 maggio al Centro Psicoanalitico Bolognese durante la relazione del Dott. Bernard Golse, Pedopsichiatra e Biologo, Psicoanalista con funzioni di Training dell’Associazione Psicoanalitica di Francia.

Il Dott. Golse ha introdotto l’argomento parlando dell’attacco quotidiano alla cura psichica e alle scienze umane nel loro complesso, attacco che si ritrova anche verso la visione psicoanalitica dell’autismo. Il bambino autistico, come ben descrive Golse, è intrappolato in scissioni sensoriali e relazionali e tende a “contaminare” il terapeuta che entra in relazione con lui, portandolo alla scissione delle sue teorie. Secondo l’autore l'unico modo di essere terapeutici nell’ambito dell’autismo è quello di poter proporre approcci multi-dimensionali che superino le scissioni teoriche. In tal senso Golse definisce l’autismo come una patologia dell'accesso al pensiero simbolico e una malattia epigenetica in cui l’ambiente influenza l'espressione del genoma.

Nella sua relazione Golse parte dalla descrizione del funzionamento autistico non patologico, definendo la potenzialità autistica come parte del divenire psichico dell'essere umano.
Nuclei autistici esistono in ogni individuo, ciò che conta è se la loro presenza intralcerà lo sviluppo della mente relazionale o servirà da base a tale sviluppo o ancora se sarà fonte della creatività individuale. Alcuni nuclei autistici non sono autistici nel loro divenire, afferma l’autore. L'autismo in senso patologico è raro, al contrario i disturbi dello spettro autistico sono ampi e vanno ben differenziati.

Tutte le menti che evolvono e si sviluppano devono compiere un lavoro per costruire i legami con l’ambiente e rappresentare a se stessi tali legami, gli autistici falliscono parzialmente o completamente nella formazione di questi legami.

Se la metapsicologia freudiana, afferma Golse, attraverso la teoria delle pulsioni, ha posto l’interesse ad aree corporee parziali e all'investimento degli orifizi corporei, definendo il trauma come evento legato all’eccesso di eccitazione, così nella seconda parte del XX secolo la scuola kleiniana e post-kleiniana completa la teoria delle pulsioni spostando l’attenzione dagli orifizi corporei alla pelle e alla funzione di contenimento. Secondo Golse entrambi i punti di vista teorici sono importanti nella comprensione psicoanalitica dell'autismo.

L'autismo come sindrome pura deriva dal fallimento dello strutturarsi dell'involucro psichico, quindi della prima fase della costruzione della mente, esponendo il soggetto alla sensorialità e rendendolo vulnerabile alla gestione della pulsionalità.

Golse continua il suo discorso differenziando due momenti nella strutturazione dell’individuo: l’intersoggettività e l'accesso alla soggettivazione.
L'intersoggettività è quel processo che permette di scoprire che esiste un altro da noi nella realtà esterna. Prima dell'accesso all’esperienza intersoggettiva il bambino non si sente solo, perché sente di essere tutto: queste sono le radici della megalomania infantile. Egli non è ancora un soggetto e solo dopo aver scoperto che c'è altro da sé accederà alla soggettivazione. L'autismo patologico è la forma più grave dello scacco all'accesso all'intersoggettività.

Accedere all'intersoggettività è il risultato di due differenti processi, il primo corrisponde al bisogno di differenziarsi e creare un allontanamento dall’altro, il secondo è la creazione di legami primitivi tra neonato e adulto necessari perché il neonato rimanga in contatto con l'adulto che sta incominciando a individuare nell'ambiente esterno. Questo lavoro di differenziazione implica un rischio. La tessitura dei legami può essere molto diversa da soggetto a soggetto e in questa fase il rischio di subire una violenza, cioè di vivere uno strappo durante la fase di differenziazione, può portare alla formazione di nuclei autistici patologici.

Tutti i neonati nei primi giorni della loro vita oscillano tra momenti d’indifferenziazione dall'esterno e brevi esperienze primarie intersoggettive caratterizzate probabilmente da un vago sentimento dell’altro da Sé. Sono emozioni brevi che vengono esperite più volte nella giornata. Le isole d’intersoggettività primaria devono stabilizzarsi e condurre a esperienze più durature.

A proposito del modello evolutivo di oscillazione tra l’indifferenziato e l’intersoggettivo Golse ripropone un concetto formulato da Meltzer a partire dal materiale del bambino autistico in terapia. Nella situazione fisiologica della poppata secondo Meltzer il bambino impiega molta energia psichica per integrare tutte le sensazioni che scaturiscono dai suoi diversi canali sensoriali (tattili, visivi, olfattivi...). Quando il bambino si allontana da quell’esperienza la “smantella”, cioè scinde i diversi flussi sensoriali per riposarsi e in tal modo decostruisce l’esperienza che ha dell’oggetto. Lo smantellamento descritto da Meltzer è un meccanismo autistico di separazione dei flussi sensoriali per riposarsi, dopo la poppata il bambino cerca la monosensorialità per fare sparire l'essere esterno dell'oggetto. Secondo Golse tutta la sfida dello sviluppo precoce sta nella gestione di questo continuo oscillare tra smantellamento e ricostruzione della realtà esterna. Ogni essere umano continuamente costruisce e decostruisce l'oggetto, nell'autismo la decostruzione dell'oggetto è più forte della sua ricostruzione e le stereotipie monosensoriali dei bambini autistici ne sono l’esempio, esse vanno intese come rifugi dall’esperienza schiacciante dell’alterità esterna. Quando il bambino ha accesso all'intersoggettività e l'ambiente lo turba, per sfuggire al turbamento egli si rifugia nella stereotipia monosensoriale a cui aderisce come a un involucro psichico.

Nello sviluppo fisiologico infantile l’esistenza di legami preverbali primitivi (come l’attaccamento, la sintonizzazione emotiva, il dialogo tonico emotivo, l’empatia, le identificazioni proiettive comunicative) permette al bambino di conservare un legame con l'adulto quando si allontana da lui. I bambini autistici non creano parole perché i loro legami pre-verbali con l’oggetto non sono stati creati e perché lo spazio tra il sé è l’oggetto non riesce ad essere percepito. Il difetto del linguaggio verbale, sempre presente nel bambino autistico, è dovuto all’assenza dello scarto intersoggettivo. Perché si costruisca un linguaggio deve esserci un Tu ed un Io.

Golse invita al dialogo continuo tra psicoanalisi e neuroscienze confrontando le deduzioni derivate dalla clinica psicoanalitica con gli studi cognitivisti che descrivono l’importanza della multisensorialità per la percezione della realtà esterna.

Il bambino nel suo sviluppo fisiologico riesce a sentire che tutto viene da un punto esterno grazie alla sua capacità di assemblare i flussi sensoriali in modo ritmico e integrato con l’ambiente: questa preziosa esperienza è definita dai cognitivisti comodalizzazione sensoriale e, pur non essendo ancora una vera e propria esperienza intersoggettiva, si avvicina molto ad essa.

Per quanto riguarda l’esperienza clinica, Golse distingue la gravità della situazione autistica sulla base dei sentimenti controtransferali dell’analista. Descrive bene come i bambini autistici più gravi, che non hanno idea che esista qualcosa al di là di loro, inducano nell'analista un controtransfert particolarmente doloroso di non riconoscimento della sua esistenza. È un affronto narcisistico imponente per l’altro che sente di non esistere.

I bambini autistici meno gravi, che riescono a sviluppare uno spazio intersoggettivo ma tessono male i loro legami, fanno percepire all'analista vissuti controtransferali paradossali. Il terapeuta infatti percepisce nel bambino sia il ritiro sia la richiesta di legame, ma il richiamo giunge da molto lontano. Il problema terapeutico è di far sentire al bambino che l'altro non è un pericolo da evitare attraverso il ritiro nella monosensorialitá.

Nella parte conclusiva del suo discorso Golse accenna al passo evolutivo successivo della soggettivazione, descrivendola come il processo che inscrive dentro il Sé la rappresentazione mentale dell'oggetto e l’esperienza dell’oggetto come soggetto. Questa tappa evolutiva non è mai raggiunta dai bambini autistici.

Nel pomeriggio il Dott. Pozzi, Neuropsichiatra infantile, Psichiatra e Analista con Funzioni di Training dalla Società Psicoanalitica Italiana, ha ampliato il discorso sulle aree autistiche, addentrandosi nell’epoca adolescenziale. L’autore ha da subito differenziato l’esistenza in adolescenza di veri nuclei autistici, che derivano dall’evoluzione di un processo autistico e che hanno le loro radici nella vita infantile, da apparenti nuclei autistici, che possono assumere un carattere transitorio. L’epoca adolescenziale pone ancora più in risalto il concetto di evoluzione del nucleo autistico già presentato da Golse. Se tali nuclei sono di ordine transitorio e s’iscrivono nel corso del processo evolutivo non sono da considerarsi patologici, se al contrario assumono un potere sulla mente dell’adolescente tanto da non permettere il normale svolgersi del processo evolutivo, allora rientrano in una situazione patologia.

La creatività del Dott. Pozzi ci accompagna lungo tutto il corso della relazione ma raggiunge il suo picco nella brillante idea di utilizzare una metafora naturalistica per aiutarci a immaginare cosa accada in un’area autistica della mente adolescenziale. Pozzi ci descrive cosa siano le lanche. Dal suo testo: “un fiume nasce da una sorgente piccola con un rivoletto esiguo che va verso valle: questa è l’infanzia. Mano a mano che il corso d’acqua si ingrossa, inizia a manifestarsi una corrente sempre più forte e più veloce: questa parte può essere considerata come l’adolescenza. Il fiume procede, si ingrossa e si allarga, diventando più placido e meno tumultuoso, fino a sfociare nel mare: questa è l’età adulta. Ora, nella parte “adolescenziale” del fiume, accade che si formino delle sacche di acque tranquille lungo le rive, sacche più o meno estese, dove la corrente si spegne e le acque diventano placide; queste sacche sono denominate lanche”. L’acqua contenuta nella lanche, che può sembrare priva di elementi vitali, al contrario contiene in sé diverse forme di vita che, appunto perché protette, possono svilupparsi meglio, proprio grazie alla parziale separatezza di tale corso.

E’ interessante notare come entrambi gli autori, grazie alla loro profonda esperienza clinica, rivalutino il senso creativo, e a tratti evolutivo, del funzionamento autistico della mente.

Altro punto in comunque tra le due relazioni è la necessità di attingere a linguaggi teorici differenti, come quello delle neuroscienze, per descrivere i fenomeni autistici.

Il Dott. Pozzi riprende il lavoro fatto dalla Dott.ssa Bucci sui traumi precoci, come origine delle distorsioni affettive nella relazione primaria, e sulla teoria dei codici multipli secondo la quale diversi moduli di elaborazione dell’esperienza, ciascuno caratterizzato da un codice specifico (simbolico verbale, simbolico non verbale, non simbolico non verbale), si interconnettono tra di loro nei termini dell’elaborazione in parallelo. Nell’idea della Bucci, ci spiega Pozzi, una figura di accudimento minacciosa può portare il bambino a una reazione difensiva per proteggersi dalla minaccia percepita. La dissociazione emozionale dell’esperienza della stessa figura d’accudimento è frequente in questi casi. Se il trauma precoce è stato in qualche modo superato, l’autore parla saggiamente di trauma che viene messo da parte; l’adolescenza è l’epoca in cui si fa risentire e può dare dei segnali di disturbo che possono anche sfociare nella evidenziazione delle sacche autistiche che potrebbero assumere un carattere patologico.

Interessante è inoltre il confronto che il Dott. Pozzi opera tra autismo e anoressia mentale. Come l’autismo si può considerare la patologia psichica più grave dell'infanzia, che non permette lo svilupparsi nel bambino di una vera vita psichica, così l’anoressia è sicuramente la patologia più grave dell'adolescente che “si trova in una fase evolutiva della vita, trampolino verso l’età adulta” senza la forza necessaria per affrontare le difficili esperienze, tanto da fermarsi e tendere a tornare indietro. E’ per tale ragione che l’autore ritiene l’anoressia mentale una sorta di autismo adolescenziale. In entrambe le patologie, una della prima infanzia e l’altra della prima adolescenza, si ritrovano numerose similitudini. Pozzi descrive con cura il rallentamento del processo evolutivo delle anoressiche che porta allo stallo e a una franca retrocessione verso una assenza di pulsione vitale molto simile a quella condizione a-libidica in cui staziona l’autistico.

Pozzi procede nella sua relazione mostrando esempi clinici tratti dalla sua esperienza e non solo. Interessante il riferimento alla storia personale e artistica del musicista Ravel utilizzato dal Dott. Pozzi per chiarire come a volte si abbia il recupero di elementi vitali custoditi e accumulati nelle sacche autistiche attraverso la creazione artistica, così come Golse aveva accennato ad aree autistiche nel noto pianista Glenn Gould.

Maggio 2017

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