Il lavoro presentato dal dott. Roberto Verlato il 2 aprile all’interno del ciclo di seminari per esterni organizzati dal Cpb è stato un intervento molto interessante che ha messo a fuoco in modo puntuale il tema dell'influenza sulla vita delle persone della grande espansione, negli ultimi anni, degli strumenti tecnologici che regolano le nostre comunicazioni, le informazioni e l'intrattenimento (tablet, smartphone, videogiochi ecc.). Verlato ha parlato di una vera e propria trasformazione antropologica ed ha esaminato in modo molto accurato le ipotesi, anche contrapposte, su come questi cambiamenti possono influire sullo sviluppo delle capacità cognitive: c'è chi sostiene che le nuove tecnologie "ci rendono stupidi", chi considera le competenze digitali come un ottimo modo per "espandere le capacità della mente". Tra i primi, Manfred Spitzer, un neuroscienziato tedesco, sostiene che l'utilizzo contemporaneo di diversi strumenti digitali, anziché allenare la mente a funzionare meglio in termini di concentrazione e attenzione, rappresenta una strada sicura per la distraibilità. Tra i secondi annoveriamo, invece, Howard Rheingold, sociologo statunitense.
È cruciale la riflessione su come i nuovi strumenti digitali stiano creando, secondo Verlato e gli autori a cui ha fatto riferimento, un "nuovo profilo cognitivo" basato sul fatto, per esempio, che la fonte d'informazione dei nativi digitali è basata soprattutto sulla fruizione di immagini, per non parlare di come, attraverso questi strumenti, si intreccino le relazioni o meglio le "connessioni" tra le persone.
Questi strumenti portano a "un enorme cambiamento della percezione soggettiva del tempo. Paradossalmente, nonostante il grande risparmio di tempo reale che la tecnologia ci consente, si sperimenta la sensazione crescente di non avere abbastanza tempo, dovuta probabilmente all’aumento delle potenziali interazioni che il mezzo ci offre ed al continuo bombardamento di stimoli cui ci sottopone".
L'intensità degli stimoli che riceviamo dalla rete e dai vari strumenti di connessione, dà l'illusione di migliorare le nostre capacità, le nostre informazioni, ma non è chiaro quanto queste capacità siano esportabili nel mondo reale. Verlato ha parlato dei rischi che la tecnologia può comportare "in termini di diminuzione delle capacità attentive e della concentrazione, con maggiore distraibilità. Attraverso il suo modo di funzionare e le sue richieste, internet fornisce un tipo di allenamento che si avvicina molto più alla distrazione che alla concentrazione. Infatti, le sue caratteristiche in termini di stimolazione sensoriale, in particolare la velocità, appaiono in sintonia con il nostro modo di funzionare predisposto alla distrazione.
In rete sembra venir meno quell’immersione totale nel testo che i libri tipicamente stimolano, quello stato mentale che caratterizza la lettura assorta e che crea un forte rapporto tra lettore e libro. Anche internet usa la comunicazione scritta per condividere informazioni e contenuti, ma la configurazione del testo appare diversa, trattandosi di un ipertesto. Siamo sì concentrati sullo schermo, ma distratti dagli stimoli continui che si succedono al suo interno".
Verlato ha citato Nicholas Carr (Internet ci rende stupidi?, 2011) il quale sostiene che “la divisione dell’attenzione richiesta dai prodotti multimediali affatica ulteriormente le nostre facoltà cognitive, riducendo le capacità di apprendimento e indebolendo la comprensione e forse accettiamo volentieri la perdita di concentrazione, lo sparpagliarsi della nostra attenzione e la frammentazione dei nostri pensieri, in cambio dell’abbondanza di informazioni interessanti, o almeno divertenti, che riceviamo” .
La tecnologia può illuderci anche di poter espandere la nostra limitata memoria mettendoci a disposizione strumenti molto potenti: questi archiviano molti dati della nostra vita che, potendo essere recuperati in ogni momento, ci danno una sensazione d'immortalità. È un'idea di memoria molto diversa da quella psicoanalitica nella quale i complessi processi di rielaborazione di eventi significativi trovano una risignificazione anche a distanza di molto tempo.
Verlato non pensa che Internet sia di per sé causa di problemi psicologici, ma "piuttosto che la frequentazione assidua del Cyberspace possa essere usata da alcuni giovani ed in particolare dagli adolescenti come un modo per evitare di fare i conti con le implicazioni psicologiche di “essere-dentro-un-corpo” e le relative angosce, particolarmente presenti e rilevanti nel processo adolescenziale".
La connessione continua, che annulla le distanze, permette di "allontanare la fatica necessaria per separarsi e individuarsi….(mentre) sappiamo bene come sia proprio la capacità di tollerare l’assenza dell’oggetto primario ad aprirci al mondo della simbolizzazione ed alla capacità di essere soli. Una capacità, quest’ultima, che D. Winnicott (1957) considerava “uno dei segni più importanti di maturità nello sviluppo affettivo” e che basava sull’esperienza fondamentale del bambino piccolo di essere solo in presenza della madre".
Il relatore ha parlato dell'utilizzo dei robot sociali, mostrando anche alcuni filmati: uno di questi è "Paro", che ha le sembianze di un cucciolo di foca, progettato in Giappone e usato come il primo robot terapeutico per gli effetti positivi che sembra avere su malati, anziani e persone con problemi emotivi. Il commento amaro è che "gli esseri viventi hanno troppe richieste mentre quelle dei robot sono più facili da gestire. Gli esseri viventi deludono, sono deboli, muoiono. I robot no... Sia i robot sociali sia la vita on-line indicano la possibilità di avere delle relazioni così come le vogliamo, sempre sotto il nostro controllo e che possiamo interrompere in qualsiasi momento con un semplice clic."
Verlato ha concluso dichiarando che non ha "alcun senso prendere posizione a favore o contro Internet e l’utilizzo della Rete, né tantomeno discutere se la Realtà Virtuale faccia bene o male a noi ed in particolare alle generazioni future. Come non avrebbe senso porsi questioni analoghe circa l’uso della corrente elettrica o della Radio. La civilizzazione dell’Uomo, a partire dall’invenzione del primo utensile, non può essere certo fermata. Ma deve essere compresa valutando ogni nuova scoperta scientifica e tecnologica per le sue potenzialità e le sue conseguenze".
Dal pubblico è emersa la considerazione che anche gli adulti, essendo molto attratti, quasi sedotti dagli strumenti tecnologici, sono poco inclini a vederne le implicazioni dannose sulle nuove generazioni che sono in formazione sia dal punto di vista cognitivo che emozionale.
Viene da chiedersi se non ci sia un collegamento proprio tra lo sviluppo di un funzionamento cognitivo “multitasking”, molto basato su contenuti video e l'esplosione, in una impressionante sovrapposizione temporale con la comparsa di Internet, di quelli che sono frettolosamente inquadrati come disturbi dell'apprendimento.
E se questi ultimi rappresentassero invece, per le nuove generazioni, i nativi digitali, un buon adattamento ad una realtà tecnologica che usa strumenti formativi e di comunicazione completamente diversi da quelli necessari a scuola per imparare materialmente, e verrebbe da dire "artigianalmente", in relazione con un insegnante e dei coetanei, a leggere e scrivere?
Maggio 2016