Seminario del Centro Psicoanalitico di Bologna 6 giugno 2015-06-29
Relatore : dott. Marco Monari
Marco Monari ,medico psichiatra e psicoanalista esperto, ci porta con sè sul campo, per discutere il delicato argomento della violenza nei rapporti di cura; in particolare ci illustra la dinamica dell’odio che può entrare nella vita clinica di ogni giorno, attraverso agiti distruttivi e violenti in cui entrambe le parti sono in gioco. Dedica questo lavoro al Dottor Giuseppe Berti Ceroni che sempre si è battuto per una vera e profonda integrazione dei campi del sapere.
Sceglie un titolo brillante: “Un operatore viene picchiato”: così come nel celebre lavoro di Freud sono ipotizzati i nessi, gli eventi e le fantasie infantili che giungono ad innescare la perversione sadomasochistica nell’adulto, allo stesso modo per noi è importante cercare di costruire la sequenza di fatti, emozioni e reazioni, la dinamica dell’odio, attraverso la quale il paziente arriva all’azione fisica e violenta, nel tentativo di dare un senso al suo agito per potere giungere, in un tempo successivo ed in situazione meno incandescente, a discuterne con lui.
Il pensiero psicoanalitico, che non deve mai essere egemone, può garantirci una bussola per orientarci, quasi sempre a posteriori, su quanto accaduto. Il collega ci ricorda come sia comunque fondamentale non abbandonare mai il punto di vista medico psichiatrico che tiene conto degli aspetti sociali e biologici nella genesi della malattia mentale.
Il relatore tratteggia i due grandi filoni psicoanalitici sull’origine della violenza ed approfondisce teorie neurobiologiche, citando ed illustrando le teorie di Mitchell (1995), Bateman e Fonagy (2012) . Evidenzia, quindi, come da una parte sia importante che il terapeuta fornisca la sua mente come una sorta di parete attrezzata i cui appigli offrano un abbozzo di identificazione, dall’altra però sottolinea l’utilità di mantenere acceso il sistema biologico di attaccamento, cercando di regolare in seduta la temperatura emotiva perchè possa essere sostenibile da entrambe le parti.
Ci descrive poi il ventaglio di patologie in crescendo, con i più svariati disturbi del Sé ed anche qui lo fa in modo puntuale ed utile ai fini della pratica clinica quotidiana con i pazienti più gravi o gravosi.
Stante la difficoltà di trattare tali stati della mente, in questo sforzo aspro, interminabile e turbolento appare allora fondamentale, secondo l’autore, la raccolta della storia clinica e ci consiglia la lettura di un libretto di Marcel Cohen (2013), dal titolo “La scena interiore”. La raccolta della storia ci permette gradualmente di costruire una “scena interiore”; citando poi Murakami ed “il muro da scalare”, ci parla di “sguardo oltre il muro” per vedere cosa c’è e della possibilità di poterlo riferire, accendendo la curiosità e dando un senso al nostro lavoro.
Il lavoro si conclude con un’analisi dei vari tipi di reazione del gruppo e del singolo individuo all’esposizione ai diversi vissuti, dalla rabbia all’antipatia, alla cattiveria ed all’odio. Risulta fondamentale, seppur difficile, trovare una fermezza contenitiva che metta tutti, operatori e pazienti, al riparo da una situazione di violenza e di distruttività che comunque deve essere fermata. La lettura si sofferma sulle possibili incapacità dell’operatore nel riconoscere la propria quota di odio e su quanto questo non riconoscimento divenga poi a rischio di essere agito o di essere rivolto verso se stesso; l’odio attraverso la formazione reattiva può divenire un proposito salvifico; può subentrare l’esibizione narcisistica di superiorità con atteggiamenti eroico-carismatici. Al gruppo di lavoro, viene richiesto di riconoscere tali dinamiche.
Citando il lavoro di Bion sugli elementi che permettono al soggetto di appartenere al gruppo trovando quel “buon grado di subordinazione” necessario a non dover far troppo i conti con la paura del gruppo, Marco Monari termina ricordandoci quando sia fondante la relazione fra il nostro apporto individuale e quello del gruppo dei colleghi.
A questa ricca ed intensa relazione è seguita una altrettanto ricca discussione nella quale mi è parso che ciascun singolo interlocutore si sia sentito libero di intervenire e di narrare storie cliniche anche di violenza estrema.
Giugno 2015