12 mostre/11 luoghi - Bologna, Centro storico e MAST, 18.10 – 08.12. 2023 (MAST fino al 7 gennaio 2024)
Catalogo: © 2023 Fondazione MAST, Bologna (a cura di Francesco Zanot)
di Gabriella Bartoli
“Game”, il titolo di Foto/Industria 2023, si aggiunge a quelli delle precedenti Biennali: “Impresa e Lavoro”, “Etica ed Estetica al lavoro”, “Tecnosfera”, “Food”.
Confessa in proposito Francesco Zanot, direttore artistico dell’evento e curatore del catalogo: «Abbiamo scelto il tema Game alla fine dell’edizione scorsa (dedicata all’industria alimentare): stavamo allora uscendo dalla pandemia e avevamo bisogno di un argomento “liberatorio” che, al di là dell’evasione, rappresentasse un comparto ampio e rappresentativo». Quello appunto dell’industria a ciò dedicata.
Il “Gioco” in questa sua particolare declinazione è, quindi, il tema col quale siamo chiamati a confrontarci: d’altra parte l’attività ludica è facilmente ricollegabile a quella lavorativa, secondo una relazione se non proprio di contrasto, almeno di alternanza reciproca.
Va subito detto tuttavia che per chi si avventura lungo il percorso delle dodici mostre in cui si articola la Biennale non è sempre agevole cogliere nell’immediato il legame tra ciò che viene espresso dal materiale esposto (fotografie, video, installazioni) e il tema dichiarato.
È piuttosto dall’esperienza complessiva dell’evento e dalla giustapposizione delle singole immagini, anche le più disparate tra loro, che emergono spunti di riflessione talora sorprendenti.
Sono molte le dimensioni illustrate: il gioco nell’infanzia e nell’età adulta, le caratteristiche dell’oggetto di gioco e i processi dinamici del giocare, fino all’esemplificazione dettagliata di quei contesti, tecnologie e strumenti che ne definiscono di volta in volta il tipo.
Tocca alle immagini fotografiche documentare forme di attività ludiche che appartengono sia al passato sia al presente: dalle giostre e teatrini di rustici luna park agli scivoli e altalene dei parchi gioco cittadini, ai rottami di vecchi flipper (ritratti come veri e propri reperti archeologici, non per nulla collocati nel nostro Museo Archeologico), alle case da gioco di Las Vegas, ai giochi da tavolo e tanto altro; fino agli attuali videogame e ai prodotti delle tecnologie più avanzate, volte a creare immagini e universi virtuali. Non mancano esempi della cosiddetta gamification, ovvero della trasposizione in contesti non ludici di strutture, qualità e meccanismi pertinenti alla giocosità. Una procedura che sta sempre più prendendo piede in vari ambiti lavorativi.
Lasciando all’iniziativa dei singoli l’esplorazione diretta delle variabili che concorrono al prodursi delle singole condotte ludiche, qui mi limito a riportare alcuni esempi di come, attraverso le immagini dei fotografi-artisti in mostra, si giunga a trattare efficacemente di gioco, inteso nel senso ampio del termine anglosassone “play”: gioco, ma anche spettacolo, dramma, pezzo teatrale.
Parto da un confronto tra le fotografie del tedesco Heinrich Zille e quelle dell’italiana Linda Fregni Nagler: tutte in un elegante e rigoroso bianco e nero. Le foto di Zille ritraggono le fiere berlinesi di inizio Novecento. Le file di bambini e adulti assiepati davanti ai teatrini o agli stand del tiro a segno, i cartelloni che si immaginano variopinti e che preannunciano la visione di esotiche meraviglie, i cavalli delle giostre pronti a spiccare il galoppo, le altalene che donano per un attimo ali per volare, sono tutti elementi che concorrono nel trasmettere un’impressione di giocosa vitalità e di svago (Fig. 1 a, b).
Quanto diversa l’atmosfera evocata da Fregni Nagler con i suoi parchi gioco ripresi durante la notte! Manca la luce e con essa l’impressione di colore; ma soprattutto attorno alle strutture di gioco manca il brulichio dei bambini. Prive dell’allegria e della leggerezza diurna le installazioni ludiche si trasformano: appaiono come architetture bizzarre, isole cittadine solitarie che trasmettono un senso di sospensione e di strana inquietudine (Fig. 2). È come se l’Autrice, attraverso la presentazione in negativo di strutture create appositamente per il gioco, evocasse tutto quanto è necessario che ci sia perché il giocare possa aver luogo. E cioè, luce che dia corpo ai diversi colori, presenze animate, socialità.
Passo ora a Raed Yassin, artista-musicologo libanese di Beirut. Sono cupi i temi dai quali l’artista trae ispirazione per le sue creazioni: storie feroci di guerra, di morte, di perdita di congiunti e di memorie familiari. Ma altra è la tonalità delle sue rappresentazioni: lieve, dolce, pacificata pur nella sottile malinconia che pervade i cortometraggi, le foto-pitture e i musical da lui prodotti (Ghost Karaoke, 2015; The Sea between My Soul, 2020; The Company of Silver Specters, 2021).
Ne fanno parte i richiami al colore, alla luce, al sogno, al gioco d’amore, al canto, ma soprattutto alla narrazione. La narrazione che, ricucendo gli eventi, ripara le cesure attraverso la ricostruzione della memoria e la costruzione di pensieri nuovi.
Sono allestimenti complessi quelli messi in scena da Yassin, che consentono di fare esperienza diretta della funzione transizionale e catartica di tutto ciò che è gioco e svago in senso lato: musica, canto, poesia e ritmo.
Ancora un cenno a una delle foto più spettacolari del tedesco Andreas Gursky (Fig. 3). Viene assimilata dai critici a un “dittico”, vero e proprio oggetto devozionale. È infatti il risultato della giustapposizione di due scatti successivi: le fermate al pitstop di due auto del GP-2007 di F1: una Ferrari e una BMW-Sauber. Ed è proprio in virtù di questo artificio compositivo che l’artista rende visibili simultaneamente allo spettatore due componenti del gioco sportivo.
Da un lato la contesa, espressa dalla compresenza delle due squadre concorrenti che sono collocate sui fronti opposti del “dittico” e ben differenziate tra loro grazie ai colori delle rispettive livree, tute e caschi.
Dall’altro, la solidarietà del gioco di squadra, espressa dall’affollarsi soccorrevole dei meccanici intorno all’auto e al pilota da assistere e sostenere. Fino curiosamente a far vivere, per qualche attimo, l’intera scena come la rappresentazione di due singolari “Pietà” profane accostate…
Mi piace segnalare, infine, un curioso effetto che, nel ruolo di visitatori da week end, gradualmente si avverte durante il vagare per le vie di Bologna alla ricerca delle sedi espositive. Si ha l’impressione di essere impegnati in una sorta di caccia al tesoro, distribuiti in piccoli gruppi o in coppie e tutti accomunati dallo stesso badge di un brillante color verde-prato appeso al collo. Ci si sente come attori in gioco, allegri, curiosi e instancabili, intenti a scoprire facce sempre nuove di un fantasioso caleidoscopio d’immagini: da contemplare e poi tentare di decifrare.
Quasi che i motivi che a suo tempo orientarono la scelta del tema di questa biennale avessero poi trovato una rispondenza potente nelle condotte dei fruitori.
Novembre 2023