a cura di Gabriella Bartoli
Mostra singolare quella attualmente in corso presso i Musei San Domenico di Forlì. Il visitatore non avvertito potrebbe prefigurarsela come ripetitiva e monotona nel suo proporre oltre 200 opere che coprono un arco temporale di vari secoli e per le quali viene indicato come principale fulcro d’attenzione il personaggio di Maria Maddalena. Aspettativa che viene ben presto disattesa per via degli interrogativi che le sue innumerevoli raffigurazioni suscitano. Più infatti si procede nell’esplorazione del ricco materiale (dipinti, sculture, arazzi, miniature) più si stagliano profili identitari diversi: che si alternano, si confondono, fino anche a confliggere tra loro, oltre che con le immagini di Maria-madre di Gesù e delle cosiddette pie donne.
Del resto, anche a prescindere dalle gemmazioni successive, sono gli stessi testi dei Vangeli a offrire le prime varianti dell’identikit di Maria di Magdala.
Molte le letture possibili di una mostra così caleidoscopica; qui mi limito a tratteggiare alcune delle tipologie femminili che ne emergono.
Nelle scene medioevali di crocefissione si scorgono Maddalene ammantate di rosso, con i biondi capelli sciolti sulle spalle: le mani protese a contenere i piedi dolenti di un Gesù messo in croce, gli occhi rivolti al suo viso. Fa da contraltare Maria, vestita di abiti dal colore spento, col capo velato, prostrata nel viso e nella postura.
Poi ci sono le Maddalene chine a terra in atto di lavare e cospargere di unguento i piedi del Cristo; vi si affiancano le scene del “Noli me tangere”, nelle quali un Cristo risorto, privo ormai di corporeità, impone distanza tra sé e la discepola, ora investita del ruolo di prima messaggera di rinascita.
Seguono le Maddalene penitenti, spogliate di abiti e gioielli, coperte soltanto delle loro lunghe chiome a velare corpi resi scarni dalla privazione. Procedendo nel percorso, capita però di scoprire che qualcuna di loro – avvolto solo il pube in un casto drappeggio, esibendo per il resto una carnalità fiorente – è come in preda a uno stato di estasi voluttuosa.
Fino al comparire di una Maddalena moderna nelle vesti di eroina protestataria che scandalizza intellettuali e benpensanti con il suo anticonformismo.
La Maddalena dell’iconografia qui documentata finisce così col dar corpo a una rappresentazione agglutinata di varie sfaccettature del femminile; ma anche col render conto dei modi in cui gli artisti le hanno interpretate nel corso dei secoli alla luce della cultura di volta in volta dominante. Artisti peraltro tutti al maschile (dai Maestri del Medioevo a Bill Viola), con l’unica eccezione di Artemisia Gentileschi.
In ogni caso, saldamente intrecciate alle parvenze del femminile, si colgono anche le dinamiche profonde che le animano: eros, amore sacro e amore profano, colpa, rimorso, pentimento, disperazione e speranza, passione e ragione.
I curatori della mostra, nell’intento d’illustrare l’evoluzione nell’immaginario collettivo di un personaggio-archetipo come Maria Maddalena, ce ne offrono un’analisi filologica rigorosa, che però nulla toglie al fascino della narrazione.
Le opere parlano al visitatore raggiungendolo a diversi livelli. Evocano altri capolavori come Amor sacro e Amor profano di Tiziano (titolo dicotomico attribuito nel Settecento ad un’opera rinascimentale nata come dono di nozze del tutto privo d’intenti morali), Ambasciatori di Holbein il Giovane (spettacolo di potenza vitalistica e insieme “memento mori”), Melencolia I di Dürer; ma anche il Freud dei Contributi alla psicologia della vita amorosa, della Caducità e tanto altro…
Per tutto questo mi piace qui condividere l’auspicio espresso da Claudio Strinati nella sua recensione dell’evento: «che una mostra così affascinante e colta costituisca un monito intelligente per liberarci da malintese forme di un presunto politically correct nello studio dell’iconografia cristiana» (La Repubblica, 27-03-2022, 36-37).