Incisioni della Collezione Paola Giovanardi Rossi.
Bologna, Palazzo Fava, 25 settembre – 14 dicembre 2014
Catalogo: © 2014 Bononia University Press
«I miei Klinger, raffinati enigmi da condividere, … opere che indagano i meccanismi del profondo»: così Paola Giovanardi Rossi, già docente di neuropsichiatria dell’ateneo bolognese, commenta le incisioni da lei rese disponibili alla fruizione pubblica. D’altra parte Klinger, artista tedesco operante tra Otto e Novecento, è tra gli anticipatori di correnti artistiche che hanno nel rimando esplicito a una realtà “altra” la loro cifra distintiva: dal simbolismo, al surrealismo, alla metafisica di De Chirico.
Le incisioni, di dimensioni assai ridotte, richiedono uno sguardo ravvicinato per coglierne i minimi dettagli. Attrazione sessuale, curiosità, amore, trasgressione, colpa, espiazione, morte sono i temi centrali: ora calati entro antiche narrazioni bibliche o mitologiche, ora intrecciati a storie intuibili come velatamente autobiografiche. Vi corrispondono inquietanti atmosfere surreali. Solo in qualche caso il tono si fa giocoso: come quando l’artista, pur rendendo omaggio a Ovidio, assegna un destino diverso alle “vittime” delle sue metamorfosi.
Avviene così che Narciso, invece di perdersi in un mortifero autorispecchiamento, si innamori di Eco; o che un’energica Dafne, anziché trasformarsi in albero per sfuggire ad Apollo, lo respinga con decisione, fatta forte dalla presenza di un toro.
Ma è con la messa in scena di atmosfere “perturbanti” - quando il confine tra reale e immaginario, tra interno ed esterno si fa labile - che Klinger rivela la sua sintonia con le tematiche freudiane. Osserviamo l’opera Un guanto (1881); vi si narra, in un ciclo di dieci immagini, la storia di un guanto perduto da un’aggraziata pattinatrice e raccolto da un compìto signore. La giovane si dilegua lasciando dietro di sé soltanto quella traccia. Un simulacro: che l’uomo conserva, sul quale piange desolato, che salva da flutti tempestosi, che adora e porta in trionfo. Ma quanto più il guanto, pur posseduto, segnala un vuoto di presenza, tanto più diviene esso stesso presenza tormentosa e persecutoria. Fino a intrudersi prepotentemente - ingigantito e trascinato da una marea montante - nella stanza dove l’uomo dorme. Sullo sfondo la luna, raffigurata nella sua rotondità: ma solo parzialmente illuminata, per il resto in totale opacità.
La storia prosegue con alterne vicende e senza che mai si allenti il clima di suspense che la domina. Molto più lieve, nel narrare con disincanto gli eterni giochi di Psiche e Cupido, è la ballata che De Gregori dedicò a Klinger oltre cento anni dopo (Un guanto, 1996). Molte altre le presenze incongrue che affiorano dalle opere in mostra suscitando curiosità e domande: tigri gigantesche a guardia di stretti valichi; mostruosi uccelli predatóri; mani che talora sbucano dal nulla: ora giunte, ora tese ad accusare, ora soccorrevoli; incantati paesaggi notturni illuminati da una luna che resta però invisibile... Ma qui conviene fermarsi per lasciare spazio alla risonanza empatica e all’inventiva di chi vorrà accostarsi di persona a queste opere.