Dati sul film: regia di Piero Messina, 129’, Italia

Genere: drammatico/fantascienza

La de-ritualizzazione della morte nella contemporaneità espone il soggetto ad una grande fragilità e se per Freud il lutto non era “da curare”, eccetto che per la sua evoluzione patologica in “malattia del lutto”, anche grazie al contesto sociale dell’epoca che offriva ancora una certa ritualità funerea supportiva, oggi non è più così. In questa nostra contemporaneità ci sforziamo di trovare sistemi per “risocializzare la morte” (come scriveva Louis Vincent Thomas negli anni ‘80), di immaginare altri rituali, prevalentemente laici, che accompagnino l’individuo. La ritualizzazione restituisce una temporalità a fronte dello shock che ogni morte comporta, per chi la vive e per chi rimane, sia stata essa preparata o meno. Nel film “Another end”, in questi giorni sugli schermi, Piero Messina, che già con il film precedente “L’attesa” (2015) aveva esplorato i temi del lutto, mette in luce il problema del distacco tra vivi e morti ipotizzando la realizzazione di un espediente per rendere questo distacco più sopportabile. Alla guida di un cast internazionale di tutto rispetto (Bérénice Bejo interpreta Ebe e Gael García Bernal e Renate Reinsveen i due protagonisti, Sal e Zoe), il regista immagina uno scenario futuristico in cui, nell’idea di una separazione mente-corpo, si possa operare il download della personalità del morente conservandola su di un supporto di silicio e consegnandola ai parenti che, se lo desiderano, possono “far rivivere” la mente del deceduto per un periodo ristretto, il tempo di un nuovo saluto e di un distacco migliore. È una sorta di resurrezione a tempo realizzata dalla tecnologia futuristica di “Another End”. Per fare ciò si immagina la presenza di persone che “affittano” per lavoro (i cosiddetti “locatori”) il proprio corpo spegnendo la loro mente e diventando temporaneamente “l’altro”, il deceduto. Il parente afflitto si ritrova quindi con il caro estinto in un corpo estraneo per la durata di alcuni incontri, nei quali ha la possibilità di prepararsi alla sua perdita…

Potremmo dire che questa modalità mette l’accento sull’accettazione della morte in assenza di riti di supporto, includendo anche un certo “diniego” e facendo rivivere il deceduto seppur in un corpo “altro”. Si tratta di una versione analogica del griefbot, della ricostruzione totalmente virtuale del caro estinto? (https://www.stateofmind.it/2022/06/griefbot-psicologia-digitale/) Al di là del colpo di scena finale, in questo film l’intreccio tra vivi e morti complica il quadro creando scenari paradossali che toccano i confini tra la personalità del locatore fuori dal suo ruolo di locatore e quella del defunto ormai privato di corpo, creando così contaminazioni tra contenitore e contenuto. Nelle scene conclusive del film, pur intravedendosi altri possibili investimenti oggettuali che inclinerebbero verso un certo superamento del lutto da parte di Sal, la separazione mente corpo si rivela in fondo fallace, lasciando i due personaggi del film in balia di un sentimento di estraneità e schiacciati dal peso insormontabile della morte.

Bibliografia
Freud S. (1915 -1917) “Lutto e melanconia”. Opere, vol 8, Ed. Boringhieri, 1976

Thomas, LT (2006), Morte e Potere, Lindau, Torino.

 

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