Trama
Un importante funzionario di Polizia, Corrado Rinaldi (Paolo Pierobon) viene incaricato dal Ministero degli Interni di trovare in Libia alleati per fermare le partenze dei migranti verso l’Italia.
E' un'impresa complessa nella Libia del dopo-Gheddafi, divisa da lotte di potere interne, ma queste lasciano spazio o addirittura alimentano l'odio verso gli stranieri.
L'Italia ha però bisogno di “qualcosa di notiziabile”: gli sbarchi devono essere ridotti, il Paese e il suo Governo lo chiedono. Rinaldi, coadiuvato da un amareggiato e rassegnato collega (Giuseppe Battiston) che mantiene i contatti con le fazioni libiche, si impegnerà e riuscirà nell'impresa.
Ma durante la realizzazione di questa, l'inarrestabile poliziotto, dovrà fare i conti con l'inquietudine di un incontro personale. I migranti respinti dal progetto da lui stesso sostenuto, prenderanno corpo in un volto e una voce: una giovane donna somala, che cercherà il suo aiuto per fuggire dall'inferno del centro di detenzione libico.
Rinaldi vedrà vacillare il suo distacco e la sua vita dorata, avvertirà una crescente emozione che lo indurrà ad una difficile scelta.

Andare o non andare a vedere il film
Le vicende del film sono storia di questi giorni. Sui quotidiani i titoli che esaltano il successo della drastica riduzione delle migrazioni dal mare si affiancano a quelli che denunciano gli scandalosi accordi del Governo Italiano con un paese, la Libia, dove i diritti umani sono continuamente violati, attraverso torture, stupri, prigionie coatte e sfruttamento economico dei migranti.
Il regista racconta i fatti con realismo, le immagini sono misurate, la morte è ripresa da lontano, attraverso una sola inquadratura di un corpo senza vita nascosto nel centro di detenzione.
Non ci sono sentimenti forti, le lacrime sono sommesse, la partecipazione appassionata dura pochi istanti e sembra mettere a rischio un “ordine delle cose” che non conviene sovvertire.
Rinaldi ha una vita bella, una famiglia senza problemi: è questa Italia che lui deve proteggere e, con essa, la sua vita personale. L'irrompere dello straniero, con il suo dolore, crea un disturbo. Ma i personaggi di Segre non sono eroi, la forza del cambiamento sembra estranea agli attori di questo palcoscenico.

La versione di uno psicoanalista
Il film raggiunge l'obbiettivo che il regista Segre, come nei suoi precedenti film, sembra perseguire: raccontare un mondo che si vorrebbe tenere lontano, non visto. Farci riflettere è il suo obbiettivo, attraverso uno stile sobrio, che non si addolcisce di belle immagini e interpretazioni toccanti.
Il racconto va al cuore del problema, non ci sono distrazioni: si esce dal cinema pensando al tema del film, lasciando personaggi  e scene sullo sfondo.
Nel silenzio di tutto il contorno si staglia la denuncia dell'indifferenza che la vita comune richiede: per vivere tranquilli, le passioni e le emozioni devono rimanere sotto tono, ci si deve tenere a debita distanza gli uni dagli altri. I contatti via skype, la conoscenza attraverso Facebook, la pratica della scherma del nostro protagonista sembrano essere metafore di contatti filtrati, che non ci coinvolgono mai sino in fondo. Essere toccati, violentati da qualcuno che ci chiede aiuto, ci mette a rischio, ci fa cambiare nome: Corrado diviene Francesco (curiosa associazione con Papa Bergoglio?). L'ordine ossessivo del protagonista rispecchia un mondo pulsionale tenuto sotto controllo. E' possibile sovvertirlo?
Il regista, con il suo stile sobrio, sembra volerci indurre a pensare su quello che nel film appare come l'inevitabile “ordine delle cose”. Lo fa con un tratto delicato ma diretto, lasciando allo spettatore la responsabilità di farsi toccare, non dimenticando nell'inerzia della quotidianità.

Settembre 2017

 

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