LES REVENANTS è una serie televisiva, prodotta in Francia da Canal+ e da poco trasmessa anche in Italia da Sky sul canale Sky Atlantic o su Sky on Demand, che nel 2013 ha vinto il Premio Internazionale Emmy (equivalente per le serie televisive a ciò che l’Oscar è per i film) per la miglior serie del genere drammatico.
La parola revenant, traducibile con fantasmi, redivivi o anche “quelli che ritornano”, rimanda al tema da tempo molto caro sia al cinema che alla tv ed in generale al mondo dello spettacolo degli zombies.
Va subito detto che “les revenants” si distacca nettamente dall’abituale rappresentazione che ne viene fatta ed anche la vicenda narrata è piuttosto particolare.
Ambientata in un paesino delle alpi francesi la storia ruota attorno ad alcuni personaggi (Camille, Simon, Victor) che a distanza di anni dalla loro morte tornano in vita, ignari di quanto loro successo e così facendo sconvolgono la vita di quelli che erano faticosamente sopravvissuti alla loro perdita.
Più che un film horror che fa leva sulla paura dei “morti viventi” questo è un racconto sul lutto e sui diversi modi di viverlo. Un lutto doppio, a due facce che colpisce sia chi è rimasto (come sempre accade) sia chi ritorna in vita e deve fare i conti con ciò che ha perduto ma anche con lo spaesamento di chi vede la propria vita letteralmente “da fuori” e disperatamente cerca di riprendersela.
Se negli horror di genere l’inquietudine per lo spettatore nasce dalla netta contrapposizione tra vivi e morti, tra persone reali e fantasmi in conflitto- è il caso di dirlo- mortale tra loro, gli uni vittime e gli altri persecutori, qui il turbamento origina, per gli spettatori come per i personaggi del film, dalla stretta vicinanza dei due mondi.
I morti che tornano alla vita hanno le stesse passioni, desideri, appetiti, gelosie, emozioni ed umane debolezze dei vivi. Come loro desiderano essere amati, si disperano ed arrabbiano quando non lo sono, lottano per esserlo. Ed hanno la determinazione di chi sembra non avere nulla da perdere. Ma non odiano i vivi; al contrario li amano e desiderano ritrovare con loro una familiarità perduta.
E’ proprio in questa familiarità sotterranea, diceva già Freud quasi un secolo fa (1919), che sta il vero motivo del nostro turbamento di fronte a ciò che ci spaventa per la sua stranezza, bizzarria o mostruosità e citava come esempio proprio la paura dei morti e dei fantasmi .
Il perturbante, o “unheimlich” trova proprio nel familiare, lo “heimlich”, non il suo contrario quanto piuttosto la sua radice.
Freud collegava ciò alla rimozione ed al suo venire meno rimettendo l’Io nuovamente ed inaspettatamente in contatto con ciò che faticosamente ma necessariamente era stato allontanato dalla scena.
Les revenants, “quelli che ritornano” sembrano rappresentare proprio il ritorno del rimosso.
Nel film questa caduta della rimozione ed il riemergere dal fondo di ciò che era da tempo “morto e sepolto” trova anche altre forme di narrazione.
Il piccolo paese si trova nel fondo di una valle alpina chiusa da una diga. Anche nella diga succedono cose misteriose ed incomprensibili: l’acqua inspiegabilmente si abbassa e sul suo fondo i sommozzatori scesi ad ispezionarla trovano i corpi ben conservati di molti animali morti. La centrale elettrica, che dalla diga dipende per il suo funzionamento va incontro a frequenti black-out ed infine il paese viene allagato.
Come dire: quando le barriere-dighe poste a difesa dell’Io vengono meno la mente viene allagata dall’angoscia e tutto l’apparato psichico perde forza e rischia il collasso .
Lungo tutto il racconto sono disseminati altri elementi di turbamento.
Camille, che aveva 15 anni quando morì ed è rimasta, come tutti i revenants, identica a sé stessa nel momento della propria morte, ha una sorella gemella, Lena che ovviamente nel frattempo è cresciuta. Il loro incontro è quindi ancora più sconvolgente sia perché introduce nel racconto il tema del sosia, del gemello sia perchè l’una vede nell’altra sé stessa nel passato o nel futuro, con un’ inquietante sfasatura temporale in quella che era una perfetta identità e contemporaneità.
Con il ritorno dei morti non si scoperchiano solo le loro tombe ma tornano alla luce anche vecchi misteri del paese e si riaprono interrogativi su fatti misteriosi del passato come le morti violente e atroci di giovani donne, uccise anni prima da un serial killer, Serge, mai identificato ed ora tornato in vita. Veniamo così a sapere che era stato il fratello Toni ad ucciderlo, dopo aver scoperto i suoi crimini, per liberare lui ed il paese dalla sua irrefrenabile compulsione ad uccidere e poi barbaramente infierire sui corpi delle sue vittime.
Ma proprio la vicenda di Serge rivela un altro aspetto singolare di questa storia.
Una volta tornati al mondo la vita dei revenants, o almeno di alcuni di essi, riprende a scorrere e, ben lontani dagli stereotipi degli zombies uguali tra loro ed a se stessi per l’eternità, essi vanno incontro a trasformazioni importanti, rivelando possibilità evolutive inaspettate.
Così proprio Serge soccorre Lena, sul cui corpo si sono aperte strane ferite, se ne prende cura e fa l’amore con lei, ricambiato.
Anche Simon, tornato con la ferma convinzione di riprendere il suo rapporto con Adele, che doveva sposare il giorno stesso in cui morì, si lega a Lucie, giovane e passionale cameriera ferita a morte da Serge ma poi anch’essa miracolosamente “guarita” e ritornata così “in vita”.
Gli sviluppi trasformativi a cui vanno incontro i personaggi, dell’una e dell’altra “parte”, sono in realtà tutt’altro che lineari e piuttosto complessi, riproponendo a tratti contrapposizioni e scissioni tra “vivi” e “morti” o rimettendo dolorosamente in gioco legami tra gli uni e gli altri che, per così dire,” rimescolano le carte” tra i due “fronti”.
A rendere più affascinante ed attraente il racconto contribuisce non poco la musica dei Mogwai, band scozzese post-rock, che ricorda la colonna sonora che Angelo Badalamenti scrisse per Twin Peaks, serie televisiva americana di grande successo ideata e diretta 20 anni fa da David Lynch.
E proprio a Twin Peaks, una serie thriller paranormale che ha cambiato il modo di girare le serie televisive dagli anni ’90 in poi, è stato più volte accostato “Les revenants”.
Entrambe sono ambientate in piccoli ed isolati paesi di montagna, ambientazione evidentemente di per sé inquietante. Pensiamo al grande “Shining” di S.Kubrick o al più recente “Un gelido inverno”, girato nelle montagne del Missouri e che ha contribuito a lanciare Jennifer Lawrence, attrice ormai più che emergente di Hollywood.
Il finale della prima serie, che si sviluppa per 8 puntate, è stato giudicato da molti spettatori troppo “aperto” e deludente perché non ha dato risposta ai molti misteri di questa storia.
Come una interpretazione troppo insatura può lasciare insoddisfatto il bisogno di chi la riceve di una spiegazione chiara e rassicurante.
Vedremo se la già annunciata seconda serie, le cui riprese sono iniziate a settembre e dovrebbero terminare la prossima primavera, saprà e vorrà dare risposte più esaustive alla curiosità che questo primo ciclo ha suscitato.
Nel frattempo, visto il grande successo avuto, negli U.S.A. si pensa già di trarne un film per il cinema. E speriamo che in questa versione tutto non diventi fin troppo chiaro.
Roberto Verlato