Fu in una giornata di maggio, stiepidita dal primo sole primaverile, ma già abbastanza africano, che, con curiosità, aprii la lettera col francobollo americano.

Non ricordavo, in quel momento, d’avere amici negli USA e mi sentii un pò in colpa per la scarsa considerazione che pensai di provare per Sam, quando, in fondo, lessi la sua firma. Era passato già del tempo da quando non c’eravamo più scritti, ma in quel momento non ricordavo quanto. Nel frattempo, lui era diventato uno scrittore abbastanza affermato e conosciuto, apprezzato soprattutto in Europa, mentre io, intanto, avevo deciso di stabilirmi definitivamente a Linosa, unico medico di questo scoglio vulcanico più vicino alla costa africana che alla Sicilia.

Sam mi chiedeva, dopo qualche aggiornamento di rito sulla sua vita, sempre travagliata, di poter passare da me un breve periodo, forse un mese. Scriveva di voler uscire da una situazione d'impasse nel quale si era cacciato col suo ultimo romanzo. Pensava che la solitudine e il silenzio dell'isola, di cui tanto gli avevo parlato prima di decidere di stabilirmici, lo avrebbero aiutato a "schiarirsi le idee". Assicurava che sarebbe stato un ospite discreto, mi chiedeva solo di non confonderlo con le mie interminabili discussioni notturne di cui ancora serbava il ricordo quando, in Tailandia, c’eravamo conosciuti: io medico della Croce Rossa Internazionale, lui inviato di Time, ai tempi in cui viveva solo di reportage.

Lo stesso giorno gli risposi con poche righe.

 

Il primo agosto, vestito come un intellettuale doc uscito da Berkeley negli anni in cui studiare in California significava una scelta di campo radicale, Sam scese dall'aliscafo che, solo d'estate, collega l'isola con Lampedusa. Sotto un panama chiaro, i soliti Persol scuri, nascondevano gli occhi guizzanti. Aveva la barba incolta e quell'aria dinoccolata da quarantenne americano cresciuto a sport e bistecche.

Il mese corse via velocemente e, come in genere d'estate, lavorai più del solito: qualche caso d'insolazione, punture di meduse, alcuni pronto soccorso, qualche punto di sutura ai soliti ragazzi che si avventurano sugli scogli di ponente, di lava aguzza e tagliente e, purtroppo, un referto di morte per un giovane sub annegato durante un'immersione: insomma il lavoro di routine del mese d’agosto.

Con Sam riuscii a trascorrere qualche pomeriggio a pesca sul mio piccolo gozzo mentre la sera restavamo spesso al bar del porto, scambiando quattro chiacchiere coi pescatori.

Nei primi giorni Sam era chiuso nei suoi pensieri, non capivo se rattristato per la separazione da Nancy oppure per l'isola troppo inospitale per i suoi gusti. Poi capii che qualcosa di più profondo lo turbava.

Col passare del tempo divenne più affabile, cominciò ad aprirsi al mondo ed ai locali. Passava lunghe ore facendosi spiegare le tecniche della pesca e i vari tipi d’animali che popolano queste acque profonde. Era rimasto "abbagliato" dalla bellezza misteriosa dei fondali e dal silenzio austero di quest'isola scura. Col prete si dilungava poi in minuziose domande sull'origine e la storia dei suoi primi abitanti.

Tra noi non parlavamo molto, ma sentivo che mi era molto grato per l'opportunità che gli avevo dato e, quando partì, capii dalla profonda tristezza malcelata, il dispiacere del distacco.

Fu il giorno successivo alla sua partenza che trovai il diario che aveva tenuto in quei giorni, dimenticato nel comodino della stanza che gli avevo lasciato, con le finestre verso la punta del faro. Non pensai di spedirglielo subito perché Sam, prima di rientrare a casa a Phoenix, si sarebbe fermato a Londra dall'Editore.

 

Leggendo qualche giorno dopo che un aereo, proveniente da New-York, era precipitato, in fase d'atterraggio, in Arizona, non ebbi la certezza che Sam fosse tra le vittime, ma la notizia, per quella misteriosa capacità d'intuire a distanza le cose di chi c’è caro, mi turbò subito profondamente. Fu la settimana dopo che sua sorella, mia vecchia fiamma, dagli occhi chiari e profondi come quelli del fratello, diede certezza alle mie ansie con una lunga lettera.

Per una settimana decisi di non lavorare, chiesi ad un giovane medico in vacanza, venuto a trovare sull'isola i vecchi genitori pescatori, di sostituirmi. Mi avrebbe chiamato solo per qualche caso urgente. Accettò anche per la riconoscenza che tutti gli isolani provano per me: il medico "forestiero" che aveva deciso, ancor giovane, di spendere la sua vita su quella terra da dove loro desiderano solo fuggire verso il continente o, meglio ancora, verso la Germania.

Ci volle del tempo, poi mi consolai pensando che Sam, in ogni caso, mi aveva lasciato per sempre qualcosa di suo: il diario dei suoi ultimi giorni.

 

Un pomeriggio, mentre sorseggiavo una birra al bar del porto, trovai il coraggio di aprire quel piccolo quaderno dall'aria antica, che aveva comprato in un certo negozietto di Londra. Amava molto quella specie di libricini, rilegati con cura. Gli piaceva l’idea che poteva portarne sempre uno in tasca, per appuntarci un'idea, un pensiero, un sogno, una riflessione in qualsiasi circostanza si trovasse.

Sam mi aveva spiegato che, da due anni, si era impelagato in una di quelle storie che finiscono o gettate nella spazzatura, o chiuse per sempre in un cassetto, oppure capaci talvolta di sbocciare in un vero romanzo. Ancora non gli era chiaro il destino di quello che stava scrivendo: era giunto ad un punto nodale del racconto che l'avrebbe portato, in base alla scelta di fronte a cui si era arenato, su un sentiero piuttosto che su un altro, verso quella soluzione che avrebbe influenzato tutto il lavoro.

Fin dai tempi dell'Università, Sam era rimasto suggestionato dalla storia dei primi coloni inglesi che nel 1587 colonizzarono l'isola di Roanoke nella Carolina del Nord. Tre anni prima una spedizione proveniente dalle Indie Occidentali aveva esplorato la zona, trovandola fertile e popolata da indiani pacifici. Centodiciassette coloni, sotto la guida di John White, presero possesso dell'isola carichi di rifornimenti. Vivevano in pace e prosperità nel villaggio di Ralegh, appena fondato, quando White salpò per l'Inghilterra. Quando tornò, qualche anno dopo, di loro non c'era più traccia. Già allora si fecero varie ipotesi: potevano essere stati annientati dagl'indiani, dagli spagnoli, o forse decimati da qualche epidemia. Nessuno di loro fu più ritrovato vivo, nè alcun loro resto mortale.

Sam narrava, nel suo romanzo, la storia di Virginia Dare, la prima bambina europea venuta alla luce nel nuovo mondo a Ralegh. Di lei e dei coloni seguiva, nel racconto, la storia, lo sviluppo e la progressiva integrazione in quelle terre sconosciute. Arrivato al nodo della loro scomparsa, Sam non sapeva che finale scegliere tra le varie ipotesi fatte dagli storici: in ognuna non riusciva a sentire un’emozione di verità. Così si era bloccato, preferendo aspettare piuttosto che concludere il romanzo a tutti i costi, nonostante l'Editore lo incalzasse da Londra con continue e fastidiose sollecitazioni.

Il fascino che le storie misteriose, dove le verità si diluiscono nei dubbi, avevano per lui, s’insinuava nei suoi racconti e nei suoi romanzi. Non era una tecnica o un escamotage letterario, raffinatosi col suo lavoro di giornalista prima e scrittore poi, ma un'autentica spinta interna che aveva finito per fare di lui, pur così americano, un inguaribile scettico, continuamente alla ricerca di ciò che c'è, ma non appare. Questo suo modo di affrontare la realtà, che aveva eletto quasi a livello etico, lo rendeva spesso antipatico, già ai tempi delle certezze politiche all'Università. Molti critici lo accusavano poi di nascondere, dietro questa forma d'intellettualismo tipicamente europeo, un vuoto di pensiero e di profondità, nonostante i suoi lavori catturassero molti lettori, ammaliati da quel suo modo di procedere, tra domande, dubbi e trabocchetti. Io che lo conoscevo da tanti anni sapevo bene come avrebbe rinunciato, con piacere, a quest'aspetto della sua personalità, per altri versi così semplice, vivendosi costretto, da questa sua parte, ad una ricerca infruttuosa sul significato ultimo delle cose. Il mio pragmatismo diceva che era per lui un "toccasana dell'animo". Quello che ci separava, era ciò che ci univa di più.

 

Questo ricordavo e i tramonti orientali, mentre, discretamente, aprii la prima pagina del suo diario.

"Estate". Solo questo era scritto in alto al centro.

Sotto "Sam".

Sfogliai. Tutto il resto era scritto usando solo la facciata destra dei fogli. Sam, ricordo, diceva che un foglio può "sostenere" la scrittura solo da un lato. Gli dava fastidio che quello che scriveva potesse, solo con l'ombra del suo segno, rubare il candore a tutto quello che, sul lato opposto, aveva impregnato la carta. Se fosse dipeso da lui i suoi libri avrebbero avuto il doppio delle pagine, di cui una metà bianche.

La calligrafia era lineare e chiara, ben intervallate le righe di scrittura e misurato lo spazio ed i margini che lasciava sui fogli color ambra del diario.

Dalla seconda pagina fino alla fine non c'erano interruzioni. Circa a metà Sam aveva disegnato una mappa dell'isola, coi suoi coni vulcanici, la costa frastagliata, l'abitato e l'unica strada. Tutto con dovizia di nomi e segni toponomastici. Le mappe erano una sua fissazione: se non ne trovava una Sam era pronto a disegnarsela da solo a mano a mano che scopriva i luoghi. Lui stesso ammetteva di farlo per un bisogno ossessivo di "controllo della realtà".

Sul secondo foglio, in alto, aveva annotato, sottolineandolo: "Viaggio sull'isola di Roberto", poi, a capo e di seguito:

 

1° agosto: azzurro e nero, nient'altro. Così mi aspetto Linosa. Roberto me ne ha sempre scritto come uno scoglio di lava, perso nell'azzurro profondo del Mediterraneo. Isola dimenticata e sconosciuta a molti stessi italiani che spesso la confondono con Pianosa, famosa per il suo carcere, senza sapere poi bene neanche dove quest'altra isoletta si trovi in realtà.

Sull'aereo che vola sul Tirreno verso Lampedusa, dove atterrerò tra circa mezz'ora, ho letto qualcosa sull'unica rivista che descrive l'isola. Di mappe, purtroppo, neanche a parlarne. Il titolo dell'articolo è: "Tropico d'Italia". Linosa viene descritta come un piccolo universo chiuso e lontano, spesso tagliato fuori d'inverno dai collegamenti con la Sicilia e Lampedusa, la consorella più grande e famosa. L'articolista scrive che " è l'isola più isolata che abbiamo in Italia, luoghi come New-York, Tokyo o Buenos Aires si raggiungono più alla svelta e facilmente." Speriamo bene! Io che soffro talvolta d’isolamento mi sto cacciando forse nel posto più adatto. L'isola più isolata... Poi prosegue: "Linosa è affascinante! Tre coni vulcanici spenti rendono il suo panorama mosso e variegato. Le case sono linde, ordinate e tinteggiate di delicati intonaci pastello: rosa, giallo, celeste, verde, con porte e finestre messe in rilievo da una striscia più viva, spesso dello stesso colore. I linosiani adorano la pulizia e sulla loro terra sembra di essere in Svizzera!" Penso che sia il sogno nascosto degl'italiani assomigliare ai popoli che dicono di odiare di più.

Linosa, prosegue l'articolo, è un cono che spunta dritto dalle viscere del canale di Sicilia: a poche bracciate dalla costa già si precipita oltre i cento metri e, a mezzo miglio, si è su fondali da sottomarini. Gli appassionati del sesto continente pescano di tutto in queste acque: anche razze giganti. L'isola ha quindi il fascino dei luoghi incontaminati e silenziosi”.

Mi ha molto colpito leggere che questo scoglio, dove vivono stabilmente non più di tre-quatrocento persone, è stato colonizzato appena 150 anni fa, essendo stato, in passato, solo riparo ai pirati del Mediterraneo. In qualche modo ho ripensato al mio romanzo, ai pionieri, ai primi abitanti di terre sconosciute e lontane.

Mi allaccio le cinture, il capitano del DC9, ha comunicato che tra poco sorvoleremo Lampedusa, scendendo sulla pista in meno di dieci minuti. Temperatura al suolo: 38 gradi.

L'abitato di Lampedusa, per quello che ho intravisto, andando verso il porto, mi è sembrato un posto orrendo: un miscuglio del peggiore meridione italiano, infestato dal cemento selvaggio e dalla mafia, simile ai vicoli del Cairo o di Tripoli. Ovunque disordine, confusione puzzolente, casette decrepite, molte non terminate, tirate su a blocchetti grigi e senza intonaco, abitate da famiglie povere e numerose, da bambini cenciosi.

Con sollievo sono salito sull'aliscafo che, solo d'estate, collega quest'isola, piatta e chiara, con Linosa. Il mare sembrava calmo, ma, girato il faro, ballavamo come su un aereo preso nei vuoti d'aria. I marinai, tre siciliani dalle facce rugose e dal profilo primitivo, hanno subito consegnato, ridacchiando, i sacchetti di plastica per il vomito. Una turista grassona del Nord ha subito approfittato. Dopo un pò, sono uscito fuori: il mare increspato correva rapido sotto i pattini ed ogni tanto spruzzava la coperta, il motivo per cui quel posto era deserto! Dopo la prima doccia, ho trovato la posizione giusta per vedere d'infilata lo scafo correre sulle onde senza rischiare altri bagni. La sensazione era stupenda! Il vento fresco e teso, il mare blu, quasi nero. Un marinaio giovane dalla maglietta arancione, con su scritto Colors, mi ha preannunciato che avremmo avvistato Linosa quando sarebbero mancati dieci minuti all'approdo.

Sono rientrato, sfogliando con difficoltà l'ultima copia di Time che potrò leggere in questo periodo. Di colpo il frastuono dei rumori è calato d'intensità e tutti si sono sporti ai finestrini e in coperta: eravamo arrivati!

 

2 agosto: Al suo apparire Linosa sembra un luogo misterioso e austero, non certo accogliente. Appena uscito in coperta, prima dell'approdo, mi sono visto sovrastato dal suo cono vulcanico più alto. Poche casette chiare sono sparse sul nero omogeneo della lava solidificata, rotto, solo a tratti, da chiazze sparse di macchia verde. Anche se non incute il timore di Stromboili, non ha certo la dolcezza di Vulcano; piuttosto mi ha ricordato Palmarola, per il senso di profonda solitudine che emana, come un vecchio silenzioso, consapevole di un segreto che non è disposto a condividere.

Per un attimo mi sono domandato cosa mi avesse convinto a venire quaggiù. Già mi rammaricavo della mia decisione, quando ho visto Roberto che si sbracciava sulla banchina.

Abbiamo parlato tutta la notte, raccontandoci, tra un Drambuie e l'altro, gli ultimi tre anni della nostra vita, poi sono crollato in un sonno profondo senza sogni.

 

3 agosto: Al mattino presto, aprendo la portafinestra che dà su un piccolo cortile, uno spettacolo inaspettato: una nebbia compatta e umida avvolgeva ogni cosa. Sono tornato a dormire. Più tardi, verso le 10, sono andato a trovare Roberto nel piccolo ambulatorio dove visita i suoi pazienti, ma stava lavorando, così ho proseguito fino al porticciolo immerso ancora nella nebbia. Giunto sul mare ho intravisto, sulla sinistra, dei grandi faraglioni scuri che, come giganti di lava staccatisi dalla terra per qualche antico terremoto, si nascondevano e ricomparivano tra le nuvole di nebbia in diradazione. Tutto aumentava in me un senso d’estraniazione di fronte ad una natura primitiva e forte.

In serata ho saputo poi che un simile fenomeno non si verificava da anni, essendo l'isola esposta, nei mesi estivi, al sole africano che, nelle ore calde non crea ombre, anche se il vento fa dimenticare di essere così a Sud.

L'abitato è proprio come lo descriveva l’articolo: le case, incredibilmente pulite, sono allineate sull'unica strada che dal porto sale rettilinea per qualche centinaio di metri, per piegare infine a destra seguendo il profilo delle pendici del vulcano. Tutto si svolge, dal porto, lungo questa "arteria”: dal commercio del pesce e dei fichi, a quello dei capperi e delle lenticchie, le specialità di questa terra vulcanica. Pochi negozietti vendono di tutto: dal pane, agli ami da pesca. Ogni casa ha un proprio marciapiede ben tenuto, talvolta maiolicato, dal quale s'intuisce lo stato sociale della famiglia che l'abita. Le costruzioni tutte simili: piccoli cubi tinteggiati con tenui colori. Su questi salotti all'aperto si svolge, la sera, la vita del paese, fatta di saluti, racconti sulla pesca e, immagino, pettegolezzi vari, tra gente, tra l’altro, tutta apparentata. Gli stessi pochi turisti sono subito etichettati ed inglobati nei ritmi dell'isola. Ho saputo che l'arrivo dell'"americano" era noto già da qualche giorno.

Nel pomeriggio ho dormito ancora, cercando di recuperare il fastidioso cambiamento di fuso, poi la sera, con Roberto, siamo rimasti a chiacchierare al bar del porto, dai tavolini di plastica bianca, disposti all’aperto, col fastidioso sottofondo di una musica moderna.

 

4 agosto: Stanotte mi sono svegliato in preda ad un improvviso stato d'ansia, ma non ne ho capito il motivo, tra l'altro non ho fatto incubi.

Al mattino, ancora stordito dal Valium notturno, sono andato con Roberto a comprare del pesce al porto. È stato inverosimile per me vedere scaricare dal peschereccio bianco e blu, una trentina di lunghi pesci spada, catturati nei due giorni di battute. Pesci grandi, affusolati, emersi da storie antiche, saliti dalle profondità abissali.

Roberto ne ha comprato uno piccolo, di una ventina di chili, dopo una contrattazione in una lingua incomprensibile. Accortisi del mio entusiasmo i marinai mi hanno promesso che, se tornerò con la macchina fotografica prima della spedizione del pesce verso la Sicilia, mi faranno una foto vicino al più grande issato per la coda: Hemingway si girerà nella tomba!

 

5 agosto: Ho affittato una bicicletta. Non ci sono altri mezzi per muoversi per l'isola se non qualche motorino e alcune vecchie auto. Una strada, l'unica, dal porto, taglia verso nord, tornando al centro abitato, a sud, seguendo la costa di ponente. Questa parte di Linosa è quasi del tutto deserta: qualche casetta chiara si staglia sul terreno scuro, tra muretti alzati con le pietre laviche ed enormi fichi d'india. Qui e là distese di gigli bianchi e profumati, mescolati ad una pianta selvatica dai fiori gialli e tubulari. Il silenzio domina incontrastato, rotto, solo a tratti, dal vento fresco di ponente.

La mia bicicletta è un ferro vecchio, rossa e piena di ruggine, col numero 13 dipinto a mano sul telaio. Non ha il cambio: i brevi pendii si trasformano così in faticose salite, le discese diventano eccitanti e riposanti.

Mi sento come un bambino che, con la sua prima bicicletta, attraversa un mondo inesplorato. Ogni tanto mi fermo, assaporo il profumo dell'aria ed il silenzio del panorama.

Speriamo che pochi scoprano questi posti! Finora i soli turisti che ho incontrato erano siciliani, qualche milanese ed un gruppetto d'inglesi, appollaiato in lettura su uno scoglio dirupato.

 

6 agosto: Ho capito oggi quanto sia difficile, ma fonte di un'emozione intensa, penetrare questo posto e la sua gente, ma già so che, quando l'avrò fatto, sarà doloroso distaccarsene.

Qualcosa, che ancora non ho capito, mi cattura nel profondo e forse un mese non basterà per afferrarlo.

Roberto è ligio ai patti: non mi domanda nulla del romanzo e mi lascia fin troppo solo, ma l'ambiente è così denso che non ti permette nulla se non il contemplarlo in silenzioso rispetto.

L'America, il mondo, sembra lontano, lontanissimo.

 

7 agosto: Con il piccolo gozzo di Roberto, abbiamo doppiato i faraglioni giganti e circumnavigato l’isola, costeggiando la costa dagli scogli di lava cristallizzata in strane figure, cui gli abitanti danno nomi suggestivi. Non ci sono approdi e d'inverno i pescatori rischiano di essere travolti dal mare se il libeccio li coglie di sorpresa.

Ogni tanto, per il formarsi di scogli a qualche metro dalla costa, si aprono delle piscine naturali d’acqua cristallina. Nel basso fondale s'intravedono piccoli pesci variopinti, granchi e qualche gambero. Il fondo ha tutte le tonalità del verde e dell'azzurro chiaro fino al turchese, dovuto alle alghe, a rocce più chiare, agli anemoni e alle grotte che, come voragini oscure, si aprono sul fondo basso e chiaro. I ricci sono stelle pungenti in quest'universo di colori e di vita.

Ho messo per la prima volta la maschera e le pinne e, mentre Roberto ancorava la barca, mi sono tuffato: la chiarezza dell'acqua è pari a quella dell'aria, la sua temperatura è fresca quanto la calura esterna la fa desiderare. Lentamente ho costeggiato gli scogli fino al lato dove questi si affacciano verso il mare aperto: un'emozione forte mi ha bloccato, vedendo la roccia sprofondare verso un blu abissale, dove l'ombra del mio corpo si perdeva, circondata dai raggi tremolanti del sole che si spegnevano, dopo un pò, nel buio profondo. Sulla parete a picco la vita marina si muove con ritmi diversi, in incontri ravvicinati e fughe precipitose. Branchi di piccoli pesci con la coda di rondine si perdono nel blu, confondendosi con quelli argentati che si spostano all'unisono, riflettendo la luce del sole. Una medusa gialla, punticchiata di viola mi è passata lentamente vicino.

Ero incantato e un po’ spaventato, per un attimo deciso a risalire; poi mi son fatto coraggio e ho girato tutt'intorno alla parete fino a rientrare nella baietta dall'altro lato. Roberto mi guardava silenzioso, mentre, eccitato gli raccontavo, ancora in acqua, le meraviglie delle mie scoperte.

 

8 agosto: Sto perdendo la cognizione del tempo, mi sembra di essere in questo posto chissà da quando! Il fatto è che me ne sto innamorando.

Emily. Come finirà? Chiederà il divorzio a settembre?

 

9 agosto: Oggi pensavo a come debba essere qui la vita d'inverno, quando l'isola può rimanere isolata per molti giorni a causa del mare in tempesta, quando i pescatori tirano in secco le barche, il vento spazza le scogliere, sibilando, incuneandosi tra le mille aperture che la lava solidificandosi, ha lasciato aperte tra le rocce.

La gente, dice Roberto, rimane a lungo chiusa in casa, aspettando che il tempo migliori col girare del vento. Quando gli ho domandato come facesse a vivere qui in quei mesi, mi ha guardato negli occhi, poi ha alzato le spalle.

Lo invidio. Una scelta così radicale è per me prematura, ammesso che riesca mai a realizzarla, nonostante mi sembri di desiderarla vivendo la bellezza profumata di questo posto.

Nel pomeriggio col contadino che ci porta i fichi, l'uva e tutta la frutta, dolcissima, che cresce qui, siamo andati nella valle dei fantasmi: una conca, in realtà il cratere del primo vulcano, dove, per l'alta concentrazione di ferro, cadono molti fulmini ed avvengono strani fenomeni, a cui, gli isolani più vecchi, attribuiscono significati profetici.

Anche se Linosa è stata colonizzata solo da un secolo e mezzo, il suo passato è presente nell'aria e nella terra, dalle originarie e apocalittiche eruzioni che la innalzarono dal fondo marino, agli antichi romani che vi costruirono le cisterne per l'acqua, fino ai pirati che si riparavano e si nascondevano nei suoi anfratti. Tutto è però fuso, amalgamato, così come la natura coi suoi abitanti ed i pesci del mare.

 

10 agosto: Il maestrale, con raffiche potenti, ha cominciato a spazzare la terra alzando il mare. Ho provato una paura immotivata, mentre, anticipando il nostro rientro in porto, vedevo le creste delle onde cominciare ad incresparsi imbiancando il mare.

Mentre dopo cena andavo a fare la solita passeggiata lungo gli scogli, ascoltando il suo respiro cupo e sono stato invaso da una sensazione di vaga tristezza, come se sentissi di aver sciupato, o meglio, di non aver mai vissuto veramente, in prima persona, la mia vita.

In quest'isola lontana il mio isolamento emerge alla mia coscienza. Solo ora mi sembra di capire come una curiosità insaziabile non sia, di per sé, sinonimo di profondità, ma possa invece, se diretta sempre all'esterno, allontanare da sé stessi ed infine anche dalla realtà. Come i pionieri dei miei racconti, sono sempre stato proiettato fuori di me, cercando di colonizzare quella realtà, che mai ho raggiunto e che forse è possibile contattare solo con un diverso viaggio, che si muova innanzitutto verso il nostro interno.

Per questo forse non riesco a scrivere ora?

Roberto, che non ama parlare di questi problemi, ha forse capito prima e più di me. Per questo si è fermato, perché qui ci si può fermare solo fuori, non dentro! L’apparente staticità di questo posto spinge, in realtà, a muoversi per sentieri interni: in quest'isola la mente è, in un certo senso, più frenetica che a New-York !

 

11 agosto: depresso.

 

12 agosto: Ho conosciuto il parroco dell'isola: un vecchio prete con pochi capelli bianchi, gli occhiali spessi, un corpo e le rughe da pescatore non d’anime, solido, nonostante l'età. Un vero reazionario, che non nasconde le proprie idee conservatrici, fuse con l'ignoranza di chi vive isolato. Veste in modo trasandato, con le mutande bianche e lise che escono dai pantaloni a fermare la camicia nera. Gira con una vecchia Vespa anche quando deve dire Messa, per cui i paramenti svolazzano nell'aria come un mantello nero diabolico.

Don Onofrio è rispettato e un pò temuto da tutti, ha un ruolo di gran coordinatore sociale, anche perché gli abitanti, in conflitto con le autorità di Roma che non provvedono ai bisogni dell'isola, non votano da anni e non hanno alcun rappresentante politico.

È stato per anni missionario in Brasile, nei posti più squallidi e malfamati del Nord-Est che anch'io ho conosciuto quando ero corrispondente dal Sud America al tempo delle dittature.

È un po’ la memoria storica del posto e conserva alcuni documenti originali scritti al tempo dei primi insediamenti.

Vista la mia curiosità mi ha confermato che, se vorrò, potrò consultarli. Sono eccitato da questa possibilità.

A causa del Maestrale e del mare grosso l'aliscafo non è arrivato in questi giorni e probabilmente, se il vento non gira, saremo tagliati fuori ancora per un pò.

 

13 agosto: Ci sono stati molti arrivi per il lungo week-end di metà agosto, ma l'atmosfera festosa è stata turbata dalla morte di un ragazzo, un giovane turista con la passione della pesca. L'hanno trovato due bambini: il mare l'ha portato sugli scogli affogato da ore. Al fucile da sub era infilzata una grossa cernia, sua compagna di morte.

Il "Professore" l'ho conosciuto in serata: un altro personaggio chiave dell’isola. Viene qui da molti anni e tutti lo riveriscono in modo ossequioso. Insegna all'Università di Palermo, ma non ho capito cosa. Lui si concede al rapporto con gli isolani, trattandoli da poveri ignoranti a cui ordina tutto: dal pesce ai capperi, certo che verrà subito accontentato, anche se poi si lamenta costantemente. Ha una barba curata e i capelli bianchissimi, il ventre enorme deborda dai pantaloncini corti, sorretto a fatica da due esili gambe. Guardando tutti dall'alto in basso si muove come una papera dal portamento solenne, trascinandosi sugli zoccoli di legno consunti. Un secolo fa, al suo passaggio, tutti si sarebbero tolti il cappello.

Era molto soddisfatto di parlarmi col suo inglese scolastico e ricercato. Anche lui sa molte cose sui primi coloni ed è disposto a parlarmene, naturalmente in inglese. La mia curiosità è disposta a tutto pur di essere soddisfatta!

 

14 agosto: Il corpo del ragazzo è tornato in Sicilia nella sua bara, imbarcata stamattina col traghetto, ma l'attenzione della gente è stata distolta, sulla banchina, dal ritorno di una barca di pescatori che ,tra le reti, hanno intrappolato uno squalo di quattro metri . I turisti hanno tirato fuori, eccitati, le macchine fotografiche.

Negli occhi del grande pesce leggevo ancora il mio smarrimento per la morte del povero sub. Anche il mare oggi mi è sembrato meno affidabile e ho nuotato con uno strano disagio, non allontanandomi troppo.

 

15 agosto: Ho sognato molto, ma non ricordo nulla.

Non provo alcuna nostalgia, debbo ringraziare Roberto per aver tanto insistito che lo venissi a trovare.

Tutti ormai mi conoscono, anche i ragazzini.

Di scrivere proprio non se ne parla, ma continuo a girare intorno al mio romanzo.

Questo posto sarebbe piaciuto a mio padre, o forse mi sarebbe piaciuto avere un padre che mi insegnasse a distinguere i pesci e ad immergersi con me senza paura.

 

16 agosto: Al tramonto sono salito sulla cima del monte più alto, fino al bordo del cono vulcanico da cui si domina un panorama totale. È impressionante vedersi circondati, fino all'ultimo orizzonte, solo dall'azzurro intenso del mare. Ogni emozione che provo sembra riempire e saturare i miei pensieri, al punto di non sentire lo spazio per altro. Anche il ricordo di Nancy, del nostro rapporto e dei nostri progetti, si è fatto sbiadito, diluendosi, sommerso da qualcosa che non riesce a prender forma, qualcosa legato al mio romanzo, ma anche all'idea della morte e al senso della mia vita.

Sulla via del ritorno ho incontrato il pescatore che ci porta il pesce al mattino, andava raccogliendo nelle pozze, tra gli scogli, il sale per i capperi.

Non ho mai pensato che il sale venisse dal mare.

 

17 agosto: Questa mattina un tuono violento, caduto forse nella valle dei fantasmi, mi ha svegliato. Un temporale si è abbattuto violento sull'isola. È raro che capiti d'estate.

Con un piacere infantile sono corso, senza ombrello, al porto sotto il diluvio, arrivando al bar, per la colazione, completamente zuppo.

I pescatori, che ormai mi conoscono per le domande minuziose e curiose sui pesci, a mano a mano che li sbrogliano dalle reti al ritorno dalla pesca, sorridevano ed hanno infine trovato il coraggio di superare il loro atavico senso d'inferiorità, domandandomi della mia vita e dell'America.

Mentre scherzavamo, pensavo, dentro di me, a come questa gente, senza saperlo, non sia stata infettata dal consumismo. Mi rendo conto ora quanto loro, la terra dove vivono e il mare che li nutre, siano uniti in modo armonico e profondo a formare un unico universo, completo e chiuso in sé stesso, autosufficiente quel tanto da farti sentire un disturbatore di un equilibrio primitivo.

 

18 agosto: Platone ricordo che parlava di "un'assenza di stimolazioni che è piena di tutto", comincio forse ora ad intuire a cosa alludesse.

Sto scivolando verso una situazione sconosciuta, fatta di piccoli momenti, apparentemente banali, privi di qualsiasi significato, ma attraverso i quali comincio a sentirmi esistere, ma non com’essere isolato, piuttosto come un frammento di quello che mi circonda. Talvolta la mia vita passata ed anche il mio lavoro mi appaiono futili e senza senso.

Per la prima volta ha contato i giorni che mancano alla mia partenza ed una sensazione dolorosa di perdita mi ha trapassato.

 

19 agosto: Don Onofrio mi ha mostrato e poi letto alcuni documenti dei primi coloni. Si tratta del resoconto scritto dal capitano Sanvisente che il 24 aprile del 1845, insieme a trenta pionieri, prese possesso dell'isola in nome del Re di Napoli Ferdinando II.

Mi ha colpito sentire, in queste pagine, la stessa tensione, la stessa atmosfera che si respira nella descrizione che White fece al momento di fondare la colonia di Ralegh.

Entrambi questi gruppi di pionieri debbono essersi confrontati, pur in tempi e luoghi diversi, con una situazione simile, tanto estraniante quanto carica di un fascino primitivo.

La sera ho costretto il Professore a chiarirmi tanti altri particolari sulla colonizzazione che Don Onofrio, intriso di un cattolicesimo da missionario infervorato, non poteva cogliere. Un filo profondo che parte da quest'isola perduta, sento che può portarmi lontano, ma dove?

Il contadino mi ha spiegato come si coltivano e si raccolgono i capperi, l'importanza della loro grandezza per l'aroma ed il sapore. Ho imparato anche a riconoscere i pesci e le varie tecniche per catturarli, comincio perfino a capire dalle nuvole e dalla trasparenza dell'aria quando il vento sta per girare ed il mare cambia il suo moto. Peccato che non troverò nessuno interessato a questi argomenti a Phoenix!

 

20 agosto: Al tramonto siamo rimasti molto al largo, col motore spento, aspettando che le berte si radunassero, come fanno da sempre, in un punto preciso del mare, dove, secondo una credenza locale esisteva, tempo fa, un'isoletta vulcanica, scomparsa forse insieme a quella che nel 1700 fu spazzata via da una tempesta del Canale di Sicilia, appena emersa dal mare.

Le berte sono uccelli bellissimi, dal becco lungo e dalle piume grigie e nere. Più piccoli dei gabbiani, volano in modo rettilineo, spesso a pelo dell'acqua. La notte tornano sull'isola dopo il loro meeting in mare, emettendo strani versi tormentosi, in realtà richiami d'amore.

Fino a tardi non si sentiva un battito d'ali, il sole scendeva lento sul mare piatto e scintillante là dove il disco dorato si rifletteva tra qualche leggera increspatura dovuta alla brezza della notte in arrivo. Poi, di colpo, magicamente, da tutti i lati, non solo da terra, come mi aspettavo, sono venuti a centinaia gli uccelli, disponendosi in una lunga fila indiana, tutti rivolti verso il sole ormai quasi tramontato del tutto. Ho trattenuto il respiro...

Poi Roberto, senza preavvisarmi, ha acceso il motore al minimo, avvicinandosi loro. Quando eravamo ormai a pochi metri, il primo uccello ha spiccato il volo, seguito, subito dopo, da tutti gli altri: il cielo si è riempito di colpo di un battito frenetico d’ali: una sensazione fantastica, a metà strada tra "Gli uccelli " e "La mia Africa".

Siamo rientrati quasi col buio, con dentro gli occhi ancora quello spettacolo, indovinando la banchina dalle luci dei due bar del porto ormai già vuoti di turisti.

 

21 agosto: Come farò a riprendere i ritmi della mia vita a settembre? Potrei trovare anch'io una Linosa dove vivere?

 

22 agosto: Il fondo marino, ora che lo vivo come la naturale continuazione della parte emersa del vulcano, non m'incute più paura. Appena in acqua, si nuota su una piattaforma di qualche metro dal confine frastagliato, ricca di una vegetazione variopinta, con tutte le tonalità dei verdi, il nero dei ricci, l'arancione degli anemoni. Tra la vita vegetale si muovono granchi, piccoli gamberi e pesci colorati di varia grandezza. La piattaforma, come lunga dita, si protende a tratti verso il mare aperto, dove, di colpo, sprofonda. Irregolarmente, dal fondale, s'innalzano picchi sottomarini che spesso arrivano al pelo dell'acqua senza emergere all'aria. Qui faccio gl'incontri più sorprendenti. Nel profondo, tra archi e grotte misteriose, s'intravedono grandi pesci muoversi lentamente, spesso in piccoli branchi, confondendo il loro colore con quello del fondo. Poco più al largo il blu sprofonda in un mare buio, regno dei grandi pesci, come i capodogli che ieri, sbuffando come le balene che vidi al largo di Boston, sono passati in branco davanti al porto tra lo stupore degli ultimi turisti che aspettavano la nave sul molo.

 

23 agosto: Doveva essere duro vivere qui fino a pochi anni fa: senza luce, senza acqua e senza un molo; dalla nave si veniva traghettati su un barcone che ora, giace in secco dietro la piazzetta del porto, nascosto alla vista, come se la sua presenza bastasse a far rivivere le difficoltà di quei giorni.

Ma i primi trenta pionieri come fecero a resistere? Mangiarono per anni le capre selvatiche che trovarono sull'isola, portate qui chissà quando e da chi. L'acqua che bevevano era quella piovana, raccolta nelle cisterne che i Romani costruirono due millenni prima quando, sembra, usarono l'isola come punto d’appoggio durante le guerre puniche.

Eppure, non se andarono, si adattarono anzi a quell'ambiente, raffinarono la loro capacità d’insediamento, fino alla comunità attuale di qualche centinaio d’anime.

Ma che fine fece invece Virginia Dare, i suoi genitori e i 117 coloni dell'isola di Roanoke?

 

24 agosto: Tra una settimana partirò, i ricordi di questi giorni si stanno fondendo in un’unica emozione intensa.

Faccio fatica a pensarmi lontano da qui. L'energia che questo posto emana è profonda quanto indecifrabile. Per questo molte persone non amano vivere troppo a contatto con la natura!

Per molti, ma non per tutti, e Roberto è tra questi, è grande il desiderio di sottrarsi, di chiudersi nel recinto sicuro della "civiltà", nelle città costruite dalla mente umana, da cui emana, solo e sempre, qualcosa di conosciuto e tranquillizzante.

Roberto questa scelta l'ha fatta consapevolmente, i pescatori del luogo per costrizione, pochi per libera scelta.

I coloni di Ralegh forse intuirono qualcosa.

 

25 agosto: Di notte mi sono svegliato di soprassalto, mi sono alzato confuso e sono andato in cucina. Mentre, seduto al tavolo, sorseggiavo un bicchiere d'acqua, di colpo ho pensato di aver trovato la chiave d’uscita dalle perplessità in cui il mio romanzo si era ormai arenato.

Come se tutto fosse stato chiaro da qualche tempo, ho pensato che Virginia Dare e la sua gente non siano state uccise dagli indiani, nè da qualche epidemia, ma che semplicemente si sia sottratta, con tutti i coloni, al rapporto con la madre patria.

Colpiti forse dalla bellezza dell'ambiente, col quale avevano imparato a stabilire un rapporto armonico e di scambio, quei pionieri si resero conto che, soltanto isolandosi, avrebbero potuto attingere alla ricchezza di quella natura che l'arrivo in massa degli altri coloni avrebbe definitivamente distrutto.

Forse strinsero qualche accordo con gli indiani della zona; in ogni caso si spinsero in zone inesplorate, probabilmente verso Nord, fino alle sponde meridionali della baia di Chesapeake, dove continuarono la propria esistenza senza lasciare quelle tracce che avrebbero permesso, ai loro compatrioti, successivamente sbarcati, di ritrovarli.

Col tempo la loro comunità si fuse infine con quell’indigena al punto che alcuni indiani di quelle zone hanno tuttora qualcosa a noi familiare nei loro caratteri somatici.

Tutto mi sembra ora chiaro e lineare. Il cerchio si è chiuso. Ma l'Editore lo capirà?

 

26 agosto: sono eccitato per la soluzione che, maturata in questi giorni, è infine emersa di colpo.

Una cascata di pensieri affolla ora la mente, ma non voglio scrivere nulla, ho deciso di farlo solo quando sarò tornato a casa a Phoenix.

Voglio godermi fino in fondo il silenzio di questi ultimi giorni.

 

27 agosto: Libeccio: gabbiani sospesi nel vento. Il mare blu scarica la sua energia esplodendo sugli scogli.

Sono tranquillo, sono vivo.

 

28 agosto: Roberto trova geniale la soluzione che ho pensato, ma è scettico sulla possibilità che altri, a partire dai lettori, possano apprezzarla.

Sento che è questo posto che, con la sua energia, ha catalizzato quello che di potenziale si muoveva dentro di me senza trovare la giusta collocazione ed un rapporto armonico con tutto il resto. È come se la mia mente si fosse inconsciamente sintonizzata con l'equilibrio esterno, ricavando da questo contatto profondo, la forza per costruire nuove intuizioni. E’ come se il mio "pensiero" si fosse articolato su quello dell'isola.

Un giorno forse riuscirò a tradurre in un racconto queste idee che, anche se in maniera così poco articolata, sento oramai chiare dentro di me.

 

29 agosto: Il mare è in tempesta. Le barche sono in secco. Pace nell'aria scossa dal vento.

 

30 agosto: Come previsto dai pescatori, il libeccio si va calmando. Dall'armadio ho tirato giù le valige, ma non riesco ancora a riempirle. Lo farò all'ultimo minuto, fingendo che non è ancora venuto il momento di lasciare le cose e gli uomini.

Roberto è silenzioso. Non riusciamo, con le parole, a comunicarci il dispiacere del distacco, ma con gli occhi furtivi si.

 

31 agosto: Domani, all’alba, la nave si staccherà dal molo. In poche ore sarò catapultato su un aereo in partenza da Lampedusa, destinazione: Londra, passando per Roma.

Non s'impara mai ad accettare le separazioni vere.

 

 

Chiusi lentamente il piccolo diario.

Se avessi potuto, avrei detto a Sam che quel posto, dove mi ero rifugiato da anni, e non solo per i motivi così profondi che lui immaginava, era sicuramente tanto affascinante come lo aveva vissuto, ma anche pieno di tante difficoltà e contraddizioni.

Ma questo non importava più.

Mentre guardavo le onde spegnersi sul bagnasciuga, pensai solo che purtroppo nessuno avrebbe mai saputo che Virginia Dare non fu uccisa dagli indiani, né da una malattia, ma che visse invece una vita felice, forse più lunga di chi aveva scoperto il segreto della sua scomparsa.


 

Fabio Castriota

Psichiatra, Membro Ordinario con funzioni di training della SPI e attuale Segretario Scientifico del Centro Psicoanalitico di Roma.
Porta avanti da anni diversi filoni di ricerca nel campo dello studio del sogno, del rapporto mente/corpo, delle neuroscienze e della psicoanalisi nel suo confronto con l’arte.
Fra i suoi libri “Il corpo nella stanza di analisi”, “Freud, lettere da Roma”, “La SPI, un secolo di storia”.
Col Centro Sperimentale di Cinematografia e altri enti culturali organizza da anni il Festival Cinemente e diverse rassegne centrate sul rapporto tra psicoanalisi e arte.
È Membro della “Commissione dell’IPA sui Rifugiati”.
In campo letterario ha vinto il premio dell’IPA “The analyst as storyteller”.
Ha pubblicato il racconto “Ice Rock” nel 2020 e il romanzo “Frammenti in ombra” nel 2021.

Pubblicato in questa sezione anche il suo racconto: “Il confine”: https://www.cepsibo.it/index.php/cultura-e-societa/gli-analisti-raccontano/il-confine-di-fabio-castriota

 

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