Il lavoro presentato è legato ad una storia, quella in cui s’intrecciano le vicende del centro milanese di psicoanalisi e la nascita di progetti clinici e di ricerca con gli adolescenti. Bergamaschi illustra la storia del “gruppo di lavoro” costituitosi presso il centro milanese, a partire dal 2005, grazie alla partecipazione del dott. Pellizzari: analista interessato al funzionamento della mente adolescente, disposto a prendere privatamente in cura ragazzi provenienti da nuclei familiari multiproblematici o accolti presso comunità residenziali. Già dal 1992, il dott. Pellizzari aveva condiviso con altri psicoanalisti, ricordiamo il dott. De Vito e il dott. Senise, l’esperienza del Progetto A, primo centro pubblico dedicato alla cura degli adolescenti. In quegli anni si era andata generando l’attitudine e la curiosità rispetto al lavoro clinico definito “alla periferia dell’analizzabile” e ci si chiedeva cosa non funzionasse e perché il tasso di fallimento nella presa in carico con gli adolescenti fosse cosi alto.
Così è nato un lavoro clinico e teorico a partire dal setting. Il modello di lavoro del centro milanese si può definire “modello a cascata” e prevede un lavoro di gruppo in cui si uniscono le esperienze di colleghi esperti e colleghi in erba. In particolare ritroviamo due momenti. Un primo momento in cui un piccolo gruppo, che chiameremo gruppo ristretto, si riunisce con una frequenza settimanale focalizzandosi sulla tecnica clinica. Un altro momento è quello in cui un gruppo più ampio, che include il gruppo ristretto, che chiameremo gruppo intero, s’incontra ad una frequenza mensile e lavora sulla teoria della clinica. Presentando questo modello di lavoro viene sottolineato l’importanza della mente gruppale come contenitore trasformativo, soprattutto di fronte alle storie di ragazzi portatori di un mondo oggettuale instabile che, per deficit di mentalizzazione, tendono a scaricare sul corpo un disagio poco simbolizzabile. Inoltre si ritrova anche una disposizione cognitivo-affettiva simile all’attenzione liberamente fluttuante, in un assetto mentale di gioco, che richiama quasi “il perdere tempo” dell’adolescente. Questi elementi gruppali e cognitivi-affettivi diventano la cornice in cui poter esercitare una curiosità autentica e non invasiva nei confronti dei vissuti dei ragazzi. Lo psicoanalista al lavoro non è un entomologo, ma mette in gioco un investimento affettivo, all’interno di una cornice di gruppo corale.

Angelo Moroni sottolinea che proprio il lavoro di gruppo ha consentito di arrivare nel tempo alla costruzione di un manuale. Come punto di partenza per la teorizzazione, evidenzia l’importanza degli elementi derivati dalla clinica, dalla fenomenologia e dalla relazione con il paziente, in modo analogo al procedere freudiano, fedele ad un continuo intreccio tra teoria e clinica. Moroni illustra l'articolazione del manuale in tre macro aree teoriche-cliniche: la prima dedicata al setting nella psicoterapia con gli adolescenti; la seconda che abbraccia la complessità dei setting allargati, considerando i vertici del lavoro di rete, del gruppo e delle comunità terapeutiche; la terza che si declina attraverso le aree problematiche nell'incontro con i ragazzi. Queste variazioni nel setting spingono il terapeuta a rivedere elementi importanti presenti nel “paziente classico”, per esempio spesso con gli adolescenti non ci troviamo di fronte ad un paziente con un Io stabile, autonomo e una richiesta esplicita d’analisi. L’adolescenza viene intesa come una funzione della mente, non solo una fase di sviluppo, ogni momento di passaggio implica una crisi, dei cambiamenti esistenziali e a volte questi possono essere vissuti come catastrofici. L’adolescenza rappresenta un cambiamento catastrofico, umano ed esistenziale. Pellizzari intravede un passaggio nella storia della psicoanalisi da un paradigma storico-ricostruttivo (o indiziario) ad un terzo paradigma narcisistico-esperienziale che trova le sue basi nel lavoro fatto dalla psicoanalisi infantile, in cui i bambini portano elementi beta, di corporeità e di sensorialità. Il terapeuta è un traghettatore nella relazione con l’adolescente aprendolo verso territori nuovi prima non conosciuti, questo ha ricadute sul concetto di Se. Il setting non è un punto di partenza, è un traguardo, è una co-costruzione, per questo è necessario che gli adolescenti vadano incontrati nel luogo in cui vivono (aspetti intrapsichici si intrecciano ad elementi esterni). Inoltre il setting è un luogo fisico (corporeità), un territorio percepito dai sensi; in questo si avvicina ad Ogden, attento alle sfumature dello stare con il paziente.

L’intervento di Monica Bomba si concentra sulla terza parte del libro, lei privilegia un approccio tassonomico, ma coglie la concezione della sofferenza al contempo come rottura del percorso di crescita ed occasione di riorganizzazione attiva, attraverso l'emergere di un'esigenza di cambiamento. In questo risiede la natura paradossale del sintomo: laddove incontriamo la proiezione del disagio si cela al contempo il tentativo di stabilire un contatto con l’altro ed una drammatica richiesta di aiuto. Hanno qui risalto le varie tessiture relazionali nell’ascolto dell’adolescente. In particolare, Monica Bomba approfondisce l'ambito delle difficoltà e dei disturbi alimentari. Questi possono riferirsi a diversi funzionamenti: da situazioni di crisi evolutiva, gestibili in consultazione, a forme più gravi sostenute da disturbi di personalità fino quadri ancora più preoccupanti, in cui il disturbo alimentare protegge il Sè da un rischio allucinatorio e psicotico. Nel manuale, viene poi dedicato uno spazio alla cura della dissociazione tra psiche e soma, che si snoda attraverso la possibilità di ripercepire aspetti corporei che risalgono ad un trauma molto precoce.

Angela Gesuè - che ha curato con Sabucco una sezione dedicata agli approfondimenti sulla sessualità in adolescenza, incluso il tema della disforia di genere - ricorre al racconto di un caso clinico incentrato su alcuni aspetti della condotta sessuale della paziente. Viene citato il concetto dei Laufer di fantasia masturbatoria centrale, ancorata ad un substrato fantasmatico a sfondo regressivo e vengono dedicate alcune riflessioni alla sessualità, che bersaglia in maniera invasiva i bambini e i ragazzi, facendo saltare le tappe fisiologiche di sviluppo.

Oltre a dare voce a ricordi personali dei presenti sulla figura di Pellizzari, il vivace dibattito che segue raccoglie domande rispetto alla peculiarità dell’esperienza con adolescenti portatori di diversità culturale e vissuti di sradicamento, legati alla migrazione e riflessioni in merito al lavoro con i genitori nella presa in carico degli adolescenti. Quest’ultima questione incontra punti di vista differenti, corrispondenti a scelte teorico- tecniche diverse, su cui si apre un interessante confronto, si ribadisce l’opportunità di valutare le situazioni cliniche singolarmente e nella loro specificità.

Nella seconda parte della mattinata, gli interventi di Silvia Lepore e Francesca Codignola permettono di esplorare la dimensione della complessità nel lavoro con gli adolescenti, all'interno di contesti allargati.
Silvia Lepore si concentra sul lavoro nella crisi familiare, come crisi d'identità del gruppo familiare. In alcune situazioni, emerge la necessità di intervenire non solo su un piano interno, salvaguardando la relazione con l'adolescente e prendendosi cura del proprio setting interno, ma anche su un piano esterno, prevedendo un setting allargato, in cui il terapeuta possa prendere contatto, oltre che con la famiglia, con consulenti tecnici, avvocati, assistenti sociali. Lepore suggerisce di predisporre un progetto, se necessario anche scritto, concordato con l'adolescente. Il lavoro allargato consente così di intervenire sulla matrice ambientale del disagio, ma soprattutto di intercettare ed utilizzare il potenziale transfert dell'intero gruppo, formato da adulti che si occupano dell'adolescente.
Il contributo di Francesca Codignola si focalizza, infine, sul dispositivo dell'Intervento Clinico di Rete: quest'ultimo si riferisce ad uno strumento psicoterapeutico per il trattamento di adolescenti, per i quali l'intervento psicoterapeutico strictu sensu, anche se necessario, risulta impraticabile. L'intervento clinico di rete prevede l'incontro all’incirca mensile degli operatori coinvolti a vario titolo con lo stesso adolescente, alla presenza di un collega esperto ed estraneo all’equipe dei curanti. In tale contesto vengono discussi diversi aspetti delle relazioni fra i singoli operatori e l’adolescente, così da poter sintonizzare meglio le scelte operative quotidiane con una comprensione profonda del suo Sé. Si possono qui ritrovare analogie con il setting dello psicodramma: sebbene il paziente sia presente solo in effigie, si assiste ad una sorta di messa in scena teatrale, in cui gli operatori portano frammenti di relazione con l’adolescente che corrispondono, spesso, ad aspetti scissi del ragazzo, evacuati o depositati negli operatori. La ricomposizione di queste differenti immagini offre la possibilità di processi di risignificazione, che funzionano come antidoto alla coazione a ripetere.

una stanza 2

una stanza 1

 

 

 

 

 

 

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