“Il nazismo aveva estirpato dalle persone ogni traccia di umanità.”

Avvincente romanzo basato su una storia vera, scritto dal giornalista Giovanni Grasso, consigliere per la stampa e la comunicazione del presidente della Repubblica, Il caso Kaufmann ci porta a Norimberga al tempo (1935) dei mutamenti imposti dai decreti promulgati proprio nella città bavarese dal regime nazista: legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco, legge sulla cittadinanza, legge sulla bandiera del Reich. Incombente è la presenza di Adolf Hitler con l’incalzante propaganda antisemita: “La contaminazione del nostro sangue … è oggi premeditatamente perseguita dagli ebrei. Questi … violano di proposito le nostre ingenue, giovani, bionde ragazze …”.

Norimberga è non solo il fondale in cui la vicenda si ambienta, ma anche la radice da cui prende sostanza, seguendo la parabola di un ambivalente destino: dagli imponenti raduni di regime negli anni ‘30 fino al celebre processo (1947) contro i criminali nazisti. La grande storia incrocia la vita dei personaggi, in particolare di Lehmann Kaufmann, sessantenne agiato commerciante, presidente della locale comunità ebraica. Vedovo da tempo, accetta di ospitare Irene Seidel, ventenne figlia di un suo vecchio compagno di studi. La ragazza, allontanatasi dalla città natale, dopo la traumatica rottura del fidanzamento con un giovane nazista, cerca a Norimberga il luogo ove proseguire gli studi in campo fotografico e impiantare un’attività indipendente. Accolta e sostenuta con affetto da Kaufmann, Irene manifesta, senza renderla palese, attrazione verso l’amico di suo padre.

Di fatto, tra Lehmann e la giovane si stabilisce una frequentazione venata di profonda amicizia vista, tuttavia, di malocchio dagli abitanti del quartiere. Compaiono figure grette, intente a ordire accuse verso il commerciante, mentre le ostilità antisemite esplodono in violenze efferate durante la Notte dei cristalli (9 novembre 1938), trapassando successivamente nell’obbligo imposto agli ebrei di cedere a prezzi bassissimi le loro proprietà a favore di personaggi sostenuti dal regime. La rovina di Kaufmann accresce l’attrazione di Irene che si offre a lui. Kaufmann, pur coinvolto, non cede; anzi, convince la giovane a sposarsi con un ariano per mettersi al riparo dalle maldicenze.

La tregua è di breve durata perché lo sposo è inviato al fronte della Seconda guerra mondiale. Gli incontri amichevoli dei due protagonisti si fanno cauti e rari, ma le maldicenze non si arrestano tanto da giungere alle orecchie dei capi del partito locale, che promuovono l’arresto di Kaufmann per “lordura razziale”. Inizialmente prosciolto dal giudice Gross, l’ebreo viene indagato da Rothenberger, “fervente nazista e uomo ambizioso e senza scrupoli”. Il caso, affidato alla Corte speciale, dà modo all’astuto magistrato di seguire le linee di un nuovo diritto ispirato al credo nazista: “ogni criminale … è innanzitutto un traditore … della Patria, della rivoluzione, del suo popolo”.

Entro la concezione dinamica della legge, la giustizia si adatta, perciò, di volta in volta alle situazioni, per cui “le prove diventano secondarie rispetto all’obiettivo principale che rimane la condanna dell’ebreo, macchiato di uno dei reati più spregevoli e più gravi per il futuro del Reich”. Il processo contro Kaufmann, condotto dal presidente Rothenberger nel 1941, è un palcoscenico per il trionfo del pregiudizio contro il giudaismo. Kaufmann, in quanto ebreo, non può non essere colpevole di aver inquinato il sangue ariano attraverso i rapporti sessuali con la giovane tedesca. Non importa che manchino testimonianze e prove sulla consistenza di ciò che le leggi naziste indicano come reato; nemmeno è rilevante che il fatto realmente non sia accaduto: il popolo tedesco reclama giustizia per fatti che appaiono, invece, semplici rappresentazioni formatesi nella mente dei cittadini di Norimberga. Lo stesso Hitler attende impaziente la sentenza.

Il finale drammatico contiene le riflessioni di Kaufmann, che compie una pacata rielaborazione della vicenda. La narrazione fa poi un salto in avanti: al processo di Norimberga, dove Rothenberger viene giudicato dal tribunale alleato proprio per avere ingiustamente condannato Kaufmann. Non giova a suscitare catarsi nel lettore la sentenza che destina il magistrato nazista al carcere perpetuo. Il rimando che viene alla mente è, invece, alle pagine che aprono il libro; qui un immaginario intervistatore rivolge (siamo nel 1965) alcune domande all’ormai anziana governante di Kaufmann, accesa sostenitrice delle accuse a carico del proprio datore di lavoro. Nelle frasi della donna risuona la visione dal basso della vicenda: “Nel quartiere volevano, sì, vabbè, insomma, volevamo dare una lezione a tutti e due […] Se erano leggi ingiuste, io non lo so. Di certo non le ho fatte io … Ieri era diverso, comandavano i nazisti e tutti erano nazisti, ma per noi non cambiava granché […] il signor Leo era ebreo, e un ebreo a quei tempi una brutta fine, prima o poi, l’avrebbe fatta comunque”.

Il qualunquismo della pubblica opinione, l’invidia verso sentimenti puri e condivisi, l’incapacità di rappresentare e di concepire un punto di vista diverso dall’opinione dominante: il caso Kaufmann descrive come l’appiattimento del pensiero finisca per sopprimere la critica e la possibilità di opporsi all’abolizione delle libertà democratiche, alle perverse distorsioni di un esame di realtà che alle menti di pochi illuminati avrebbe continuato  a risuonare come un monito inascoltato.

Il problema delle responsabilità individuali emerge con forza durante lo svolgimento del processo, ma resta un frammento di verità che non riesce a produrre appagamento della giustizia. Il caso Kaufmann porta in scena una delicata storia d’amore sublimato, che ancor di più risalta sullo sfondo di un tragico periodo della storia. La simpatia per i due protagonisti resta a confortare la mente dopo la lettura del romanzo che si consuma tutto d’un fiato.

Pierluigi Moressa

l nazismo aveva estirpato dalle persone ogni traccia di umanità.

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