“Un’altra parte del mondo” tesse la storia, ricostruita e immaginata, della vita di Aldo Togliatti, scomparso dalle cronache dopo i funerali del padre e “scoperto” molti anni dopo a Villa Igea, la casa di cura privata di Modena.
Massimo Cirri, giornalista, autore e psicologo che lavora da anni nei servizi di salute mentale, maneggia con garbo e delicata maestria la vicenda privata di un disagio.
Incrociando testimonianze, lettere, biografie, ripercorre le vicende di un’esistenza passata attraverso gli anni nell’istituto per i figli dei dirigenti comunisti a Mosca, la lontananza dai genitori in clandestinità, lo sradicamento del ritorno in Italia, il tentativo di riprendere gli studi di ingegneria a Torino. Compone la figura di un giovane timido e schivo, ce ne fa immaginare stati d’animo e pensieri, il subbuglio di “tante cose dentro e la fatica di pensarle”, il progressivo chiudersi in un isolamento che difende e si fa prigione, la sofferenza che impedisce di gettare ponti di parole oltre lo sguardo e può creare un mondo diverso per sopravvivere a quell’esilio.

“Un’altra parte del mondo” diventa allora una sorta di titolo palindromo: il mondo di chi resta indietro nella corsa di una Storia di cui non regge la tensione o l’altra vita possibile verso cui “Aldino” avrebbe forse voluto salpare quando lo ritrovarono a vagabondare nel porto di Le Havre, lo stesso da cui erano passate anche le fughe dei suoi genitori. L’altrove di un approdo mai raggiunto da chi era rimasto a riva, mancando la presa con la possibilità di oltrepassare.

Sullo sfondo, una minuta ricostruzione del contesto storico di quegli anni e di una famiglia importante della lotta rivoluzionaria.
Come sarà stato per Palmiro Togliatti tornare in Italia dopo il lungo esilio fra paesi e lingue diverse, sotto false identità, uscire dalle macerie dello stalinismo per rifondare la fede nel partito, farlo da leader politico, un po’ come essere padre di tanti, con l’affanno del presente e la responsabilità di costruire un futuro migliore a una patria martoriata dalla guerra. E come sarà stato per Rita Montagnana, anche lei figura di spicco del partito comunista, separarsi dal figlio per tanto tempo o vedersi poi estromessa dalla coniugalità e lentamente anche dalla vita istituzionale.
E come sarà stato essere il figlio del Migliore, “un figlio che non riesce a distendersi sui propri passi”, fra imbarazzi e deferenze, lui che la vita ordinata e scandita di Russia non la voleva proprio lasciare, cui ogni trasferimento costava di aprirsi da capo a un mondo troppo alieno. Dalle lettere scritte dal collegio russo affiora una grande nostalgia: “je me porte bien”, faccio il bravo, scrive nel francese che gli è lingua dell’interiorità. “Viens plus vite si tu peux”: dovevano tornare a prenderlo dopo pochi giorni, ma quel distacco si protrae per due anni. Cosa si spezza sul tessuto liso del senso di abbandono, quanto sfinimento inacidisce in rancore o degrada in disperazione quando un ritorno tanto atteso si pospone di settimana in settimana? Quali parole e quanto tempo occorrono a far spazio e ricucire quel penoso ricongiungimento?
La preoccupazione, i tentativi di metterlo in contatto, di costruirgli possibilità. Come ci si sente da genitori con un figlio recintato in se stesso, di fronte a inciampi che non si è in grado di alleviare e che ti fanno chiedere se hai fallito in qualcosa. Le lettere testimoniano il lento inaridirsi del rapporto, una difficoltà di raggiungere ed essere raggiunti che, rassegnandosi, poco alla volta si fa lontananza.

Cirri immagina anche un commovente incontro con la ragazzina che divenne sua sorella, quando Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, cui il partito aveva imposto di non avere figli loro, adottarono la sorella più  piccola di un operaio morto durante l’eccidio di Modena. “C’è un silenzio con dentro dolore, un incaglio di cose, un non sapere dove mettere le mani, un sentirsi messo da parte, un sentirsi adesso che c’è lei, un figlio meno amato.”
Aldo rimane a vivere con la madre fino alla sua morte. Ha ormai superato i cinquant’anni ed è un uomo sperso. Ritrovato in quel porto di Francia, derubato e malmenato, la famiglia cerca un modo per tutelarlo e l’elegante Villa Igea, con i suoi viali di tigli, è la soluzione. Viene affidato a un militante del Pci che fa da ufficiale di collegamento con il mondo esterno e che gli si affeziona, vegliando per anni sulle sue abitudini alle sigarette e ai giochi enigmistici.
Sulle prime si cerca “uno stare dentro che non tagli completamente fuori”, qualche gita, la trattoria della domenica, ma dietro quei cancelli Aldo Togliatti rimane impigliato per più di trent’anni, fino alla sua morte. Forse, si domanda Cirri, in quell’istituzione totale ritrova un contenitore ordinante e protettivo che custodisce e regola il tempo come nel collegio russo della sua fanciullezza? Era possibile accostare con risposte diverse quel “dolore che rende miopi, che cerca la solitudine ormai priva di conforto”?

In questa figura mite di grande umanità possiamo leggere una storia esemplare di tanti, dei guasti di quando viene a mancare qualcosa di vitale allo psichico, della necessità di una cura – specialistica o semplicemente umana che sia – a tener viva la possibilità di un altrove. Quel dopoguerra, a rileggerlo, non è poi così distante da questo nostro tempo, se pensiamo a come il crollo di un progresso garantito e il senso di precarietà infiltrano oggi una dilagante paura del futuro e come resti fondamentale la funzione di metabolizzare le angosce e mantenere aperta, per il Sé, una prospettiva sull’a-venire.


Gennaio 2018

 

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