“ Non so perché soccombo e annego/
prima di entrare nell’eterna dimora./
Non so di chi sono la preda./
Non so di chi sono l’amore”
Catherine Pozzi


Un libro audace, intenso, narcisistico e in gran parte autobiografico, ma anche doloroso e bizzarro, come la vita.
Voleva essere un libro sulla meditazione e sullo yoga, e in parte lo è, se pensiamo al senso etimologico che ha questa parola, cioè aggiogare, tenere al giogo due animali, fuor di metafora due parti di sé che vorrebbero andarsene in direzioni diverse, lacerando l’io.
Carrère si prende la libertà di usare la parola “yoga” e “meditazione” come fossero sinonimi, ricordando che Pataňjali (a cui sono attribuiti gli antichi e famosi Yoga Sutra) “si interessa a un'unica questione: c'è una via di uscita da questo grande casino che chiamiamo mondo, condizione umana, samsara? E' possibile un decondizionamento? Ogni altra questione è vana”.
La risposta è che un'uscita è possibile grazie a “una tecnica di superamento della coscienza attraverso l'osservazione della coscienza stessa”.
Dopo essere passato da un lettino di uno psicoanalista a un altro “senza risultati apprezzabili”, Carrère sostiene che i suoi progressi siano dipesi “molto semplicemente, dall'amore. E forse dalla meditazione”.
Inizia così, tra profondità e ironia, un viaggio interiore nella spiritualità e nella conoscenza, nel mondo della meditazione Vipassana, dell'attenzione al respiro come ancoraggio neutrale al corpo: si tratta di una disciplina, lenta e paziente, che gradualmente permette di “accettare le cose come sono”.
Spetta ad un personaggio femminile dal destino doloroso l'umanissima dichiarazione della lontananza dall'Ideale dell'Io quando, appunto, si vogliano innanzitutto vedere le cose come sono: “Sai, quel CD di meditazione non è male, un poco funziona, c'è la meditazione del lago, della montagna (…) e se lo fai tutti i giorni dicono che diventerai solido e incrollabile come la montagna, e al tempo stesso pieno di dolcezza e di compassione e di benevolenza per i tuoi pensieri di merda e per la tua vita di merda e per la tua casa di merda in quest'isola di merda, e per quello stronzo che ha mandato a puttane la tua vita, e soprattutto per l'Ombra..
L'Ombra, Emmanuel, che vuoi che ne faccia? Non puoi sapere quanto è orribile quest'ombra che sta là tutto il tempo e che non vedo”.

Ma il libro racconta anche l’esperienza traumatica dello scrittore quando il pacificante mondo della meditazione, dell’attenzione al respiro e dell’osservazione si infrange traumaticamente contro la realtà.
Sono i giorni della tragedia di Charlie Hebdo, muore un caro amico assassinato, e il tempo grande della storia si incontra con quello minuto delle vite private.
Il seminario di Vipassana, sapientemente descritto, si interrompe così.
Un’altra separazione, dalla sorgente della vitalità, dall’eros, prelude ad una violenta frana del mondo interno.
L’amante è una donna di cui lo scrittore non sa nulla, con cui si trova unicamente negli alberghi per condividere una passione che arriva a bucare l’anima, al punto che entrambi vivono il terrore sia che una tale esperienza continui sia che finisca.
La sessualità, vissuta come un'intesa travolgente di natura preverbale, la sensorialità condivisa e intensa, rappresentano la massima potenza di unione rispetto alle forze interiori che agitano il protagonista, divergenti e conflittuali (quando non si voglia parlare qui di dissociazione o scissione).
Ma, come tutto, anche questa relazione finisce. Eros cede il posto a Thanatos, e lo scrittore non regge l'urto del lutto, ha un crollo depressivo, finisce ricoverato: l’unico desiderio rimasto è quello di morire. Diagnosi di bipolarismo. Nonostante tutti i tentativi, dopo avere implorato e avviato le pratiche per l’eutanasia, ne esce solo con l’elettroshock e con una ingente dose di farmaci (e questo è realmente successo a Carrère). Ma, nonostante tutto, ne esce.
E la vita riprende, da un’isola deserta della Grecia, attraverso la musica, la poesia, il dolore dei rifugiati con cui lavora, specchio contenitivo del proprio e dell'universale dolore.
Un dettaglio rappresenta un nuovo inizio: la pancia di una ragazza che felicemente si scopre, mentre fa una asana di Yoga, ragazza a cui “di Pataňjali non importa niente” e che non ha “nessuna voglia di uscire dal samsara perche il samsara altro non è che la vita e, contrariamente a quello che dicono Pataňjali e i suoi, la vita è bella. Non solo bella, certo, ma bella”. Finchè puoi, continui a non morire. E, di nuovo, le radici affondano in quella gioia risorgente di sentirsi maledettamente vivi…

Una scrittura brillante, ritmata, ironicamente lucida e colta tiene avvinti nella lettura di questo strano romanzo.
Sono pagine in cui il talentuoso “ego smisurato” di un abilissimo scrittore incontra la ricerca profonda di verità, di un senso e dei sensi.
Se l’operazione sia riuscita può deciderlo solo il lettore, in compagnia dei propri fantasmi e delle proprie segrete risonanze.

We use cookies
Il nostro sito utilizza i cookie, ma solo cookie tecnici e di sessione che sono essenziali per il funzionamento del sito stesso. Non usiamo nessun cookie di profilazione.