“Non divenire avida di futuro senza più ricordare.
Tu e io veniamo dalla stessa povertà.
Siamo come i pettirossi che hanno imparato a volare
senza una bussola,
senz’altro che un verme in pancia
e la forza delle ali e degli occhi.”
Pellegrino, Se mi tornassi questa sera accanto
“Cade la terra” tratta di vicende tristissime di emarginati, ultimi degli ultimi, gli abitanti di un paese dell'entroterra di un indeterminato Sud italiano, in varie epoche del secolo scorso. Persone inaridite dalla miseria, dalla fame e dalla fatica, tra cui non è inconsueto che i mariti stuprino le mogli, i padri picchino i figli, le donne partoriscono per strada, le madri impongano mariti brutali alle figlie, mentre rare sono le parole gentili e più ancora gli abbracci.
Qualcuno ci prova ad ascoltare chi ha bisogno, o a sperare in una esistenza migliore, magari sostenendo il figlio a studiare lontano, ma con scarsi risultati.
Ho avuto all'inizio una sensazione di malessere che mi ricorda quello provato nella prima scena de Il profumo di Suskind (quella della pescivendola che partorisce mentre pulisce il pesce e butta il bambino in mezzo agli scarti che si accumulano a terra).
Tutta la narrazione è permeata da tristezza e desolazione.
Un paese abitato da contadini poverissimi, che lentamente si sgretola franando a valle e diroccandosi, come si sgretolano le loro vite disperate e violente.
Ho in mente qualche villaggio dell'Aspromonte di cui ho visitato le rovine (Roghudi, Africo), abbandonati per rischio di frana, o altri anche qui sul nostro Appennino, disabitati per l'urbanizzazione feroce iniziata negli anni '50. È stato abbastanza straniante leggere questa storia mentre ascoltavo le notizie di questi giorni sulla frana che ha colpito un paese a Ischia... la sensazione di incuria e irresponsabilità colpevole sembra analoga. A Ischia si trattava anche di seconde case di vacanzieri, qui nel romanzo sono poveretti, tuttavia anche là ci sono i morti. La narrazione infatti nel romanzo inizia quando i personaggi sono tutti morti, a parte i due disturbati protagonisti e la relazione malsana che li lega da tempo: da quando lui era un benestante ragazzo con tratti schizoidi e lei la sua giovane e poverissima governante, ancora più traumatizzata e allucinata, ora entrambi invecchiati.
La governante, e l'autrice con lei, si sforza di trovare in quelle passate esistenze così afflitte e brutali, gli aspetti di umanità sopravvissuta in mezzo a tanta desolazione e sconforto. Cerca di recuperare in queste esistenze tracce di un'umanità che sembrano sconosciute agli stessi soggetti che le incarnano, e allucina le loro presenze che invita a cena e con le quali discorre.
Ho letto che è il primo romanzo scritto da Carmen Pellegrino e mi ha fatto pensare a quale livello di struggimento possa provare per le rovine dei paesi abbandonati, anch'esse tracce di questa disperata umanità.
Questo non le impedisce un uso ricercato dei vocaboli, degli aggettivi (ad es. la tuta di un operaio viene definita di un blu intricato) e dei sostantivi (chi di voi sa che cos'è la patifacula? in vernacolo cilentano: la gattamorta, come spiega su Twitter la stessa autrice). Penso anzi che questo stile sia proprio la sua cifra, forse sollecitata anche qui dal desiderio di non perdere vecchie parole o accostamenti bizzarri che richiamano un’epoca?
Un passo abbastanza lieve ripreso più volte è la similitudine della morte come i pistilli di un soffione che il vento disperde.
Tutto sommato una lettura che fa sentire profondamente il clima dolente e faticoso dei suoi protagonisti.
Chiara Ghetti
“A mia madre che cercherò per sempre in tutte le donne del mondo"
Con questa dedica Carmen Pellegrino ci introduce al tema del libro: l'amore materno che in questo romanzo è, però, uno straziante mancato incontro. Lulù, in modo emblematico infatti, in un momento di profondo sconforto, assocerà tre parole a mamma: muro, macigno, morte.
“Se mi tornassi questa sera accanto” è un romanzo che ci fa entrare con delicatezza, poesia e con uno stile più semplice e immediato di quello che troveremo nei libri successivi, nel dolore in una famiglia in cui i personaggi si rincorrono senza mai incontrarsi.
Lulù, figlia unica, dice che "la mano amorevole che avrebbe dovuto trovare per patto di nascita era (invece) una mano chiusa". Alla perenne ricerca di un abbraccio mai ricevuto, Lulù è una bimba che "ha smesso a un'età imprecisata" di essere tale, sempre impegnata a far da genitore ai propri genitori, alla ricerca di espedienti per non farli litigare o per non farli precipitare in abissi di tristezza. Abissi di tristezza profondissimi come quelli materni per i quali si continuerà sempre a chiedere quanto lei ne sia colpevole, e solitudini paterne, anch'esse inquietanti, al punto che, per esempio, per non lasciare il papà solo nell'attesa cerca di coinvolgerlo nelle sue letture di Huckleberry Finn. Lulù che fa promesse al papà pur di consolarlo per l’assenza della moglie dall'espressione marmorea, ma che le impediranno di crescere nel tentativo impossibile di soddisfarle. Rinuncerà a Franz che le offriva un inedito "amore gratuito" felicemente "oltraggioso e scandaloso". Così come a studi che l’avrebbero potuta far diventare "una pensatrice che aggiusta i pensieri rotti" - in una fantasia infantile che pare quasi alludere a un successivo, più maturo, progetto di diventare psicoterapeuta-, per accontentare il padre nel suo velleitario e inconsistente progetto dell"'Ignoto Ideale", per il quale era invece necessario che lei studiasse agraria.
Elena Arigoni
“Se mi tornassi questa sera accanto / lungo la via dove scende l’ombra /azzurra già che sembra primavera, / per dirti quanto è buio il mondo e come / ai nostri sogni in libertà s’accenda / di speranze di poveri di cielo, / io troverei un pianto da bambino / e gli occhi aperti di sorriso, neri / neri come le rondini del mare.”
Questa la poesia “A mio padre” di Alfonso Gatto che fa da incipit del libro della Pellegrino e gliene consegna il titolo. Se mi tornassi questa sera accanto nomina il desiderio dei protagonisti divisi da distanze abissali, di potersi ritrovare ricomponendo ferite e mancanze.
Quando alla fine Lulù trova la sua strada per separarsi, il padre le scrive lunghe lettere che riattraversano i sogni di riscatto della povera gente e le speranze perdute, gli errori e il destino dentato della sua esistenza con quella moglie interrotta e malata. Messaggi in bottiglia affidati al fiume, perché le parole possono riparare e cambiare il corso delle cose.
La ricerca della vita fra le rovine che l’Autrice ci regala è un’attitudine che risuona molto con il nostro mestiere. Il suo racconto è cura dei ‘resti’, di ciò che resiste. Per lo psichico diremmo ciò che insiste e per definizione si sottrae all’oblio e alla possibilità di scrivere altrimenti la propria storia e l’a-venire.