All’incontro di mercoledì 22 giugno la parte iniziale è stata dedicata ad uno spontaneo scambio di impressioni e notizie sulle esperienze che i membri del gruppo avevano effettuato nell’ultimo periodo e che volevano condividere. Impressioni su convegni, libri letti o da leggere si sono piacevolmente prolungati lasciando forse intuire un’esitazione, una cautela nell’affrontare il commento del libro “Yoga” di Emmanuel Carrère.
Le prime impressioni condivise riguardavano un apprezzamento per lo stile e la cristallina capacità di scrittura dell’autore. Però, a differenza di quello che era successo con altri suoi libri, ad. es.” Vite che non sono le mie” o “Limonov”, il libro non aveva “preso”. Forse condizionati dalla lettura dell’intervista di una delle ex mogli dell’autore che tra le altre cose ricordava che non tutto quello che era stato scritto su di lei era vero, ad alcuni sembrava che il libro mancasse di una autenticità profonda. Che anche quando l’autore descriveva episodi molto dolorosi che lo avevano riguardato, lo facesse con un distacco e una venatura narcisistica che infastidiva; sembrava voler dire: guardate quanto sono bravo anche quando soffro.
Nel gruppo spesso succedono cose che non succedono nella lettura individuale. Quando uno legge un libro può piacere non piacere, appassionare, annoiare. Nell’ultimo caso si lascia lì, non si prosegue nella lettura, magari sperando in momenti migliori. Nel gruppo di discussione si verificano dinamiche più accese, nascono schieramenti, i sentimenti si esacerbano, si verifica un’emozione che spesso nella lettura individuale non emerge, l’irritazione. Anche almeno in una delle nostre discussioni sembrava che fossimo arrabbiati con un autore che non sembrava esprimere una vera sofferenza ma anzi che con la scrittura cercasse di giustificare il suo prendere le distanze o il suo evitarla.
È successo anche con Carrère, con una parte del gruppo che sottolineava una sospetta inautenticità anche nelle esperienze di sofferenza che venivano raccontate, un’altra parte del gruppo metteva in evidenza come il non riuscire a stare in contatto con il proprio dolore e raccontarlo con una certa distanza facesse parte della realtà traumatica che l’individuo stava vivendo. Quasi che una qualità della sofferenza depressiva consistesse nel non potere stare in contatto con il proprio dolore.
Un’altra critica riguardava l’utilizzo di aspetti personali e intimi delle persone che nella loro vita si erano imbattute in Emmanuel Carrère e di come, negano la realtà dell’altro mentre si appropriano della sua esperienza, anche il nostro autore si fosse appropriato della loro e fosse stato molto abile a descriverla, molto più abile e in contatto di quando descriveva la propria.
Franco D’Alberton
Il laboratorio di lettura del Centro Psicoanalitico di Bologna non è solo un gruppo di psicoanalisti che discutono di libri, è uno spazio ricco e intenso, alimentato da curiosità, confronto, condivisione, differenza. Tra le sue peculiarità, proprio il fatto di essere un gruppo e, dunque, come scrive Franco D’Alberton: “spesso succedono cose che non succedono nella lettura individuale. Nel gruppo di discussione si verificano dinamiche più accese, nascono schieramenti, i sentimenti si esacerbano, si verifica un’emozione che spesso nella lettura individuale non emerge, l’irritazione.”
In una sera di giugno, il laboratorio di lettura incontra “Yoga”, libro pubblicato nel 2020 da Emmanuel Carrère, scrittore brillante e multi premiato che certo non ha bisogno di presentazioni, anche perché, con le sue stesse parole: “quando scrivi di qualcun altro passi, o puoi passare, dalla parte del torturatore, perché chi scrive ha pieni poteri e la persona di cui scrive è alla sua mercè”.
E’ un incontro particolare quello con “Yoga”. Ne parliamo in una sera di inizio estate, preludio dell’imminente pausa estiva di questo nostro strano mestiere, fatto di incontri e separazioni, come scrive lo stesso autore, “la vita è uno strumento congegnato per separare”. La discussione stenta a cominciare. Il gruppo temporeggia, rimanda, parla d’altro. E’ Rosanna che richiama l’attenzione: “allora, vogliamo parlare del libro?”. E’ la prima volta che succede.
Carrère non fa mistero dei suoi venti anni passati in analisi “senza risultati apprezzabili”, prima di fare il suo “debutto nel mondo dell’alta chimica psichiatrica”: quattro mesi di degenza al Sainte-Anne di Parigi, somministrazioni di Ketamina e Terapia Elettroconvulsivante. E noi, che siamo tutti psicoanalisti, indugiamo alla discussione. Forse perché la sua storia ci mette a confronto con i limiti del nostro mestiere?
E’ un libro denso, molto denso, c’è davvero tanto dentro.
C’è lo yoga, la meditazione, i vritti (chissà, si domanda qualcuno di noi, chissà se questi vritti sono come le libere associazioni). C’è l’attentato alla sede di Charlie Hebdo del 2015, e quella frase di buon senso pronunciata dall’autista del taxi a Carrère, ignaro dell’accaduto: “Se lo avesse saputo sarebbe cambiato qualche cosa?” Buon senso, certo. Ma siamo esseri umani capaci di passione e compassione, non siamo, per fortuna, come l’asceta Sangamaji, “libero da tutti i legami”. Ci sono gli incontri sessuali con una donna romanzata, perché “la sola posta in gioco della vita è senz’altro la capacità di amare”. Ci sono i rifugiati, i ragazzi che Carrère incontra a Leros, verso i quali, per sua stessa ammissione, è osceno paragonare “la storia di uno che ha tutto, assolutamente tutto per essere felice, e che fa in modo di sabotare la propria felicità”. C’è, soprattutto, la storia di un uomo che cerca un posto dove stare, un uomo mosso dall’inquietudine della malattia mentale, nel tentativo di “imparare ad abitare un sè non abitabile”.
Yoga è un libro complesso, più che mai unisce e divide la nostra discussione.
Per alcuni aspetti il gruppo è unanime: scrittore brillante, arguto, stimolante, profondo, intelligente. La sofferenza di Carrère è dura, “non puoi fidarti di te stesso perché sei due persone in una e queste due persone si fanno la guerra”, ed è proprio su questa sofferenza che il gruppo si accende, si confronta, si divide.
E’ una sofferenza raccontata, certo. Perché è vero che “per vivere c’è bisogno di una storia”, e anche il nostro lavoro, in fondo, è un tentativo di trovare, ritrovare, una storia per i nostri pazienti. Ma alla maggior parte del gruppo questa storia, la storia di “Yoga”, sembra esibita, mostrata, poco elaborata. Qualcuno non è d’accordo, tra le pagine legge e trova la sofferenza, vera e sincera; altri no, tra le righe respirano soprattutto un certo autocopiacimento che, ne sono certi, attraversa tutte le diverse parti del libro. Su un punto tutti sono d’accordo: l’Io dello scrittore sembra essere l’unico vero collante di questo libro fatto di parti non sempre ben connesse tra loro.
La scrittura è schietta, la lettura richiede un’attenzione totalizzante. E’ continuo il confronto con “un ego ingombrante, dispotico”, quello di Carrère appunto, e, per una buona parte del gruppo, l’irrtiazione che si prova in alcune pagine è quasi palpabile. Tutto sembra troppo: troppi gli anni di analisi, troppa la Ketamina, troppe le TEC. Viene da chiedersi se proprio questi aspetti narcisistici siano stati, in fondo, un modo per uscire dalla profonda depressione, bipolare di tipo II recita la sua cartella clinica, dalla nube nera che ha attanagliato lo scrittore.
Non un romanzo, quindi. Sembra più una sorta di autoterapia intorno ad un Ego nutrito narcisisticamente: “Forse non posso guarire dal male da cui sono affetto, ma posso raccontarlo. E’ il mio mestiere. E’ quello che mi ha sempre salvato, malgrado tutto (…) le cose che scrivo forse sono narcisistiche e vane, ma non sono false”
Poi, nell’ultima parte del libro, compare l’Ombra di Erica, quel suo “cercare l’Ombra da qualche parte alla sua sinistra (…) al limite del suo campo visivo, vicinissima e per sempre fuori portata”. Questa idea narrativa dell’Ombra è una genialità, un dettaglio che mescola all’irritazione suscitata dalla lettura un moto di ammirazione. Perché, e su questo siamo d’accordo tutti, l’Ombra non è solo di Erica: “Probabilmente tutti ne hanno una, solo che con la maggior parte delle persone se ne sta buona buona alle loro spalle, mentre altri, come me ed Erica, li minaccia più da vicino”.
Incontro particolare quello con “Yoga”, molto particolare. Nessun libro, prima di questo, aveva così infuocato il gruppo. Ma la forza della lettura è anche questo.
E tutti siamo d’accordo con la madre di Carrère: “Se è per un libro, ok, a mia madre sta bene. Un libro giustifica tutto. Quando io e le mie sorelle eravamo piccoli ci diceva con la più totale serenità che se andavamo male a scuola non era grave purchè leggessimo dei libri”.
Barbara Giorgi