In primo luogo grazie di avermi invitato qui oggi, a centosessant'anni dalla nascita di Freud e in collegamento con la ricorrenza della dedica di un vostro giardino a Freud stesso. Il giardino è tipicamente un luogo dove si possono compiere esperienze di vario tipo ma, salvo che per una ristretta minoranza - i giardinieri - è un luogo dove appunto non si lavora. Dove si pensa, si desidera, si scambiano affetti e idee. Un luogo, comunque, di sosta. Perciò non vi tratterrò a lungo, spero che anche questo incontro sia una sosta, dove si possano scambiare affetti e pensieri liberamente.

Il titolo che ho dato a questa mia comunicazione è "Freud e il mito di Freud" e dipende dal fatto che spesso mi sono imbattuto in alcuni Freud che secondo me avevano pochissimo a che fare con la realtà storica.

Beninteso Freud è un personaggio storico reale: ne abbiamo numerosissime prove e dunque ne sono certo, anche se personalmente non ho fatto in tempo a conoscerlo perché è morto prima che io nascessi, dunque tanto tempo fa visto che, come si può costatare, non sono, come si dice, di primo pelo. Però, come sappiamo, si vive sulla fiducia: nessuno di noi ha modo di verificare le basi del nostro sapere tramite un'esperienza personale. Dunque anche circa l'esistenza concreta di un tizio chiamato Sigmund Freud non posso avvalermi di un'esperienza personale ma mi fido. Poi bisogna aggiungere che ci sono numerosi volumi di scritti che sono intestati "Sigmund Freud". Quest'ultimo argomento, come sapete, è debole, perché ad esempio di Shakespeare esistono molti volumi ma ce ne sono altrettanti che mettono in discussione perfino la sua esistenza: Shakespeare era uno pseudonimo? Sembra che se ne possa ancora discutere. Tuttavia per Freud sembra, appunto, che questo problema non si ponga. Non solo ci sono infinite testimonianze della sua esistenza ma ci sono stati perfino i suoi figli e i suoi nipoti, tra i quali spicca un pittore famosissimo. Giustamente voi potreste chiedermi a questo punto perché diavolo io insista a dichiarare che Freud è esistito davvero, quando anche voi, immagino, siete convinti come me che davvero Freud sia un tizio che è nato a Freiberg in Moravia nel 1856 (il 6 maggio, per l'esattezza) ed è morto a Londra nel 1939 e che ha fondato una scienza che si chiama psicoanalisi.

Beh, ve lo dico subito: ho bisogno di riaffermarlo perché ogni tanto mi viene il dubbio di essermi sbagliato e di dover ammettere, viceversa, che sono esistiti diversi individui con lo stesso nome e cognome. Ad esempio un Sigmund Freud geniale, che ha capito tutto dell'animo umano e anzi che ha costruito anche un metodo e una teoria perfetti, una sorta di Mosé che alle tribù disperate degli psicologi e degli psichiatri (che vagavano per il deserto delle idee) ha portato delle tavole inamovibili e immutabili della Legge. Oppure un altro Sigmund Freud manipolatore e imbroglione, che forse perfino falsificava i suoi dati e i suoi casi clinici, che cambiava idea ogni tanto e costruiva un'altra teoria in modo da rimanere sempre à la page e da obbligare gli altri a inseguirlo nelle sue idee bislacche, insomma uno alla ricerca continua di visibilità. Per non dire del Freud e dei pettegolezzi circa la sua vita privata, le sue amicizie, i rapporti in casa con moglie e figli e cognata, della sua passione per i tarocchi e anche per i sigari, della sua tecnica psicoanalitica - poco freudiana a dir poco, ad esempio uno che, quando un paziente lamentò di aver fame, gli offrì subito una mela per calmare l'impulso più forte. Ancor oggi c'è gente che gli rimprovera quel gesto - quasi che invece di Freud si fosse trattato di Eva - oppure che, viceversa, utilizza il racconto di quel gesto per sostenere che in fondo neanche lui credeva in quel che scriveva.

Il Freud che conosco io, poi, è un signore con uno sguardo ironico, continuamente disposto a mettere in discussione le sue idee, anzi che continua a mettersele in discussione anche da solo, sicché ha scritto moltissimi articoli che, anziché arrivare a conclusioni certe, concludono aprendo una serie di interrogativi. Uno, insomma, che ha tratto dall'esperienza con i pazienti la consapevolezza di avere afferrato per le corna un toro e però di dovere ogni volta ripensarci su, di doversi ogni volta confrontare con altre idee. O con altri tori. Ed è anche uno che ha cercato davvero di costruire - a volte anche disperandosi per il fallimento o altre volte appunto ironizzando su se stesso - una teoria generale dell'essere umano.

Il tutto per dire che ci sono molti "Freud" tra virgolette.

Non pretendo certo che il 'mio' Freud sia quello giusto e, anzi, per quanto mi riguarda, debbo ammettere che nella mia visione di Freud sono alquanto influenzato in questa mia conoscenza dalla mia storia familiare e personale. I miei antenati vivevano nell'impero austroungarico e dunque certi modi di fare e anche di dire li sento familiari. Ma questo può favorire delle proiezioni o delle identificazioni.

L'impero era una strana cosa o una strana casa, nella quale vivevano - spesso detestandosi - popoli diversi che difendevano con le unghie e con i denti le loro supposte identità ma che poi a livello personale, sociale, economico, culturale, si mescolavano inestricabilmente. Eppure era frequentissimo che difendessero anche contro ogni evidenza la loro 'purezza' nazionale. I miei ad esempio erano italiani-italiani ma mi accorsi ad un certo punto che già i nonni avevano cognomi strani e, quando vidi le carte dei bisnonni, scoprii la bisnonna ungherese, il cugino cecoslovacco, un'altra bisnonna italiana ma sposata ad uno con cognome serbo che però poi era stato slovenizzato e ad un certo punto perfino francesizzato, perché anche le anagrafi, sotto l'Impero, cambiavano le carte. E gli stati che ne sono derivati continuano a farlo. Del resto non solo l'Impero faceva così: il mio stesso cognome ha avuto trascorsi ungheresi e poi sloveni ma è stato italianizzato nel '28, per decreto prefettizio, anche se, appunto, i miei si dichiaravano ed erano strettissimamente italiani. Conservo una carta di un mio lontano parente che, all'atto dell'Anschluss, della annessione dell'Austria alla Germania ad opera del regime nazista, dunque nel 1938, poiché stava a Vienna, veniva espropriato dai nazisti e dichiarava nel modulo di "accettazione" dell'esproprio il proprio cognome ancora nella forma slovena ma alla voce 'nazionalità' scriveva 'italiana'.

Perciò debbo dire che la questione varie volte sollevata dell'identità etno-culturale di Freud è mal posta: certamente era un ebreo ashkenazita, certamente era un viennese, certamente di cultura tedesca ma nessuna di queste definizioni rende il mix tipico e inestricabile dell'Austria-Ungheria. Tuttavia questa mescolanza serve a volte per poterne isolare un pezzo e assolutizzarlo. Anche, talvolta, non in senso denigratorio: gli scritti di David Banon su Freud e la Kabbalah, oppure quelli di Yerushalmi sul rapporto tra Freud e l'ebraismo certamente non sono finalizzati a sminuire Freud eppure ne assolutizzano a volte ridicolmente - benché siano ottimi studiosi - certi aspetti, sicché magari Freud, che era totalmente laico, sembra un seguace della Qabbalah oppure sembra essere il fondatore dell'ultima versione possibile di una grande religione monoteistica.

Quel che sembra difficile è avere una immagine complessa e complessiva di Freud.

Ma tutte queste considerazioni potrebbero costituire note di colore e alla fin fine servire solo ad una considerazione finale di modestia dei vari interpreti di Freud, cosa tutto sommato poco utile. Invece, vi dico tutto questo perché penso che Freud, forse proprio per la sua grandezza, è stato specificamente l'oggetto di una attività psichica particolare, è servito cioè a consentire a molti (e potremmo dire che la sua figura è servita a tutti, anche a tutti noi psicoanalisti) di fantasticare e di creare dei prototipi fantastici che potremmo vedere come elaborazioni e versioni attualizzate, storicizzate, di miti che, viceversa, in quanto tali sono eterni.

Beninteso: ogni soggetto particolarmente esposto, particolarmente visibile, ha la possibilità di funzionare come schermo sul quale proiettare qualcos'altro e certamente oggi - in un clima nel quale la cosiddetta visibilità è una caratteristica molto ricercata - possiamo accorgerci quanto questa attività sia interessante. Per una proprietà innanzitutto: perché trasforma un soggetto in oggetto (della nostra attività mitopoietica) al prezzo di farlo sparire. Per noi psicoanalisti questo fenomeno è di grande interesse non tanto per il rischio di falsificazione implicito - questo è un rischio che preoccupa gli storici - quanto perché ci mette di fronte nella quotidianità ad una differenza fondamentale tra verità e realtà.

Il Freud reale, lo studioso che ha scoperto cose importanti ma che ha anche fatto i suoi sbagli e che ha modificato o ampliato molto le sue teorie man mano che andava avanti con la ricerca, il Freud che ha avuto una grande famiglia e anche tutte le traversie legate al razzismo, ma anche tutte le sue piccole manie e le sue simpatie e antipatie - come tutti, insomma - tende a sparire. Al suo posto, ad esempio, può comparire come dicevo all'inizio un genio molto particolare, uno che non ha mai sbagliato e che ha sempre e solo usato le parole soppesandole a tal punto da autorizzare i suoi lettori a leggerlo come si legge(va) un testo biblico. Dal punto di vista della realtà, si tratta di un'immagine falsa. Ma dal punto di vista della verità, ci dobbiamo chiedere quanta verità psichica ci sia in queste affermazioni. Ad esempio, ci possiamo chiedere quanto quel tipo di lettori - laici - di Freud non abbiano a volte, sotto le mentite spoglie dell'accuratezza filologica, la tendenza a trasformare Freud in un "Freud" tra virgolette che serva loro a rappresentare il desiderio se non di un'onnipotenza, almeno di una onniscienza. Quanto questo "Freud" non sia allora anche l'espressione della impossibilità inconscia - narcisistica - di rinunciare ad un ideale irrealistico, della necessità di raffigurarci questo ideale come possibile, attraverso un'immagine di un uomo-onnisciente, dunque un uomo-dio. E l'uomo-Dio è, come tutti sappiamo, alla base della religione più diffusa nel nostro mondo. Con una implicazione evidente che va però ricordata: infatti tutti sappiamo già che quell'altro uomo-dio, povero, è finito male. E dunque anche Freud rischia, per così dire, di essere messo in croce, per fortuna solo metaforicamente. Come dire - e come sappiamo bene dall'esperienza clinica - che ogni idealizzazione positiva nasconde una idealizzazione negativa. Certo, ci dobbiamo chiedere a questo punto anche se questo movimento di idealizzazione non sia necessario. Se non lo sia stato ma se non lo sia ancor oggi e magari ancor più oggi.

Perché le idealizzazioni servono, come dicevo, anche a raffigurare degli ideali e, oggi, gli ideali, anche quelli realistici, navigano in cattive acque. Tanto che a volte oggi abbiamo il rovesciamento del fenomeno che descrivevo prima: compare cioè una idealizzazione negativa coscientemente tollerabile e questa nasconde una idealizzazione positiva che deve invece rimanere rimossa, inconscia. È un fenomeno psichico interessante e - benché sappiamo da sempre che chi disprezza compra - siccome è diventato abbastanza frequente ce ne dobbiamo chiedere la ragione, appunto chiedendoci se ci sia uno stretto collegamento tra la questione della idealizzazione e quella degli ideali.

Perché siamo in un periodo storico - e forse in particolare nel nostro Paese - in cui un certo clima cinico sembra favorire un conformismo culturale che privilegia il badare ai fatti propri, il diffidare delle imprese collettive, anche l'irridere chi si fa - appunto, così si dice - delle 'illusioni' di poter davvero cambiare qualcosa, che si tratti dello Stato o dei rapporti tra amici o tra colleghi di lavoro. A volte ci possiamo chiedere : con le ideologie sono caduti anche gli ideali? O sono diventati qualcosa di socialmente impresentabile?

Ora l'ideale rappresentato da Freud - e uso il termine 'rappresentato' sia nel senso parlamentare del termine sia nel senso di 'raffigurato' da Freud e qui naturalmente c'è lo zampino della proiezione cui accennavo sopra - l'ideale rappresentato da Freud è quello della conoscibilità e della dinamicità dell'essere umano. Pensate ai luoghi comuni su Freud o sugli psicoanalisti: una battuta frequente quando vengo presentato ad una persona nuova è "ah, è psicoanalista, allora devo stare attento a quel che dico", oppure 'chissà cosa penserà di me, con quel che ho detto finora'. Per non dire di quando mi si chiede 'Ma è proprio uno psicoanalista freudiano?' quasi col tono di dire 'è uno di quelli fissati sull'inconscio?'

Intendo dire che Freud e la psicoanalisi risvegliano subito l'idea che l'essere umano sia conoscibile - e conoscibile anche quando non vuole esserlo. Ma ci dobbiamo chiedere se questo della conoscibilità non sia anche un ideale perduto, quel che resta di una possibilità di comunicare con l'altro senza schermi e senza paure e senza vergogne e se allora non resti anche una meta temuta ma molto desiderata.

Oltre a quello della conoscibilità, l'altro ideale è quello della dinamicità, della possibilità di cambiare restando se stessi, di essere e sentirsi vivi, mobili, pieni di desideri e in cerca di strategie che consentano di attuarli. In particolare, l'immagine di Freud è stata collegata - anche giustamente - alla psicosessualità, al come le vicissitudini del desiderio si declinino anche in forma simbolica ravvivando eventualità della vita apparentemente assai lontane dalla sessualità solo fisica. Ma anche questo non è un ideale perduto, attualmente? C'è stata davvero una liberazione sessuale o invece molto spesso la sessualità viene vissuta come una occasione necessaria di scarica di una tensione anziché come un vettore potente verso la realtà degli altri?

Se pensiamo a questi due ideali nascosti, non ci stupiamo allora della utilizzabilità della figura di Freud per farli tornare in forma dissimulata, magari caricaturale, o in forma negativa alla coscienza. E in fondo poter conoscere davvero se stessi e poter conoscere davvero gli altri è anche il prerequisito per poter avere rapporti buoni con se stessi e con gli altri. Cioè la conoscibilità e la psicosessualità sono strettamente collegate.

Certo, per andare al di là di una idealizzazione sia negativa sia positiva, è importante allora non buttare il bambino con l'acqua sporca, riconoscere dunque quanto di vitale e potenzialmente evolutivo c'è in queste modalità di pensiero. Ritorno dunque al giardino dal quale siamo partiti: occorrono luoghi di sosta, in cui riflettere su noi stessi, sui nostri rapporti con gli altri, sugli altri stessi, in cui insomma riconoscere quanto ci difendiamo dalla possibilità di pensarci come persone vivaci, vive davvero. Se la costruzione di immagini mitiche di Freud può servire - appunto con opportune soste e riflessioni - a recuperare desideri e ideali realisticamente perseguibili, non buttiamole via ma guardiamole con affetto, espressione come sono delle nostre paure ma anche appunto dei nostri desideri.

Grazie.

 

 

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