Tra le tante suggestioni che questo film ci ha suscitato molte si addensano intorno alla figura paterna e al tema della paternità, che si annuncia con uno scambio di battute fra il commissario ed un’ispettore, a proposito del padre del ragazzo della vittima:
“E il padre?”chiede il commissario
“Il padre non c’è mai stato.”
“Non c’è mai stato... un padre ci sta sempre.” Come a dire che all’origine della storia di ognuno c’è sempre una figura paterna, anche solo fantasticata, immaginata, ricettacolo di idealizzazioni e proiezioni.
Il commissario interpretato da Toni Servillo, per alcuni aspetti si avvicina al Maigret di Simenon: come lui si lascia permeare dall’atmosfera dei luoghi, si identifica con “i personaggi del dramma”, in modo che anche il suo essere padre di una figlia adolescente come la vittima, con tutte le sue inquietudini e i suoi misteri, diviene un elemento in cui indagine e introspezione si intersecano.
D’altra parte anche Simenon in diversi suoi racconti ci mostra un Maigret che fantastica sulla paternità e accoglie i transfert dei giovani (delinquenti e non) con cui si trova ad avere a che fare.
Il commissario, all’opera nell’ indagine con gli strumenti del suo mestiere (capacità di ascolto, intuizione, ecc...) è al contempo coinvolto come essere umano e, in particolare, come padre di una figlia adolescente. Osserva il padre della vittima e si interroga sui misteri del rapporto padre-figlia, sui non detti, sui dialoghi difficili, sull’illusione/convinzione di sapere tutto l’uno dell’altra.
Come il padre della ragazza uccisa si ritrova ad un certo punto a ripetere tra sé e sè con aria pensosa “la mia bambina, la mia bambina...”, a metà fra l’invocazione e la riproposizione ossessiva di un enigma.
Difficoltà a capirsi, a separarsi e a ritrovarsi, ad accettare e a condividere i dolori della vita, come l’Alzheimer della moglie del commissario, rispetto alla cui evidenza straziante egli vuole proteggere la figlia, perchè è portato a pensarla ancora come “la sua bambina”, mentre quest’ultima gli getta in faccia la sua consapevolezza.
Il commissario dorme poco, rientra tardi e la figlia spesso salta la scuola e se ne va in giro senza dire dove e con chi: le loro esistenze sembrano a volte solo sfiorarsi e la “minestra riscaldata” che una sera egli non riesce a mangiare assurge a tratti a metafora del loro rapporto.
La sua dermatite atipica, sintomo somatico, esprime attraverso il corpo una sofferenza che non può essere pensata, che pertiene ad un ’area del legame paterno-filiale che non è verbalizzabile, ha una qualità per così dire extra-verbale, sfugge agli usuali canali comunicativi, e di essa il commissario dice “nessuno sa come si cura”.
Tuttavia si avverte per tutto il dipanarsi della storia una tensione fra padre e figlia che allude ad un cercarsi reciproco, ad un bisogno comunicativo che permane e che qualifica la relazione come vitale, al contrario delle altre descritte nel film.
Per esempio, il “paralitic” e il “mat”, come il padre di Mario (ragazzo ipodotato e strambo) definisce se stesso e il figlio, sono uniti da un rapporto fondato su un’estenuante, ambivalente e reciproca dipendenza.
Ne fa le spese il povero coniglio Maciste, verosimilmente ucciso dal padre di Mario. Maciste è l’ alter- ego di Mario, o meglio potremmo dire suo oggetto-sé e, come lui, grande, grosso e inoffensivo (ma la brace dell’odio per il padre non cova anche per Mario sotto la cenere?).
Il padre di Anna, poi, così innamorato della figlia, così certo di conoscerla attraverso l’occhio insistente della telecamera con cui riprende le sue fattezze e le sue movenze, (tanto da far sospettare al magistrato un legame incestuoso) è l’oggetto principale dell’osservazione e delle riflessioni del commissario, che sembra chiedersi se quel che un padre crede di capire della propria figlia non abbia piuttosto origine dalle sue stesse fantasie.
“Non lo sa lei quel che passa nella testa di sua figlia?” gli chiede il padre di Anna e l’espressione pensosa e triste del commissario è più che mai eloquente.
Anche il magistrato si interroga sul tema della paternità: in attesa di un figlio, soffre per il rifiuto del marito ad essere presente al parto e si rivolge al commissario per interrogarlo sulla sua esperienza di padre e infine per chiedergli aiuto in modo diretto, invitandolo a parlare con suo marito e a spiegargli come si sia poi pentito di non aver assistito, a suo tempo, alla nascita di sua figlia. Il commissario, quindi, sembra avere anche una funzione maieutica e costituirsi come figura di identificazione.
Infine un altro padre si rivela nel film duplice assassino, per cercare prima la liberazione da un figlio malato, che con la sua stessa esistenza e sofferenza gli rammenta in ogni istante la colpa di averlo generato e gli rimanda un’immagine di sé narcisisticamente intollerabile, poi per eliminare la sua Erinni, testimone oculare del figlicidio.
E’ Silvia, sorellastra di Anna, poco vista e poco amata dal suo deludente patrigno, che in una frase riassume la rabbia e la rassegnazione per tante relazioni padre-figlio/a impossibili, segnate dall’ineluttabilità:
“Mica te li puoi scegliere i padri: quel che ti tocca ti tocca.”
In questo commissario-interprete di storie e capace di empatia sotto la scorza burbera, sembra anche addensarsi per certi versi una metafora dello psicoanalista al lavoro, che si muove nel gioco di identificazioni e proiezioni che nel film, come in ogni vicenda analitica, si ripropone.
La funzione paterna si esprime in quella normativa (il protagonista del film è un poliziotto), ma anche in quella contenitiva e rassicurante (l’esperienza rende saggio il commissario, che la può trasmettere al marito del magistrato) e infine assume valore catartico, attraverso l’accoglimento della confessione liberatoria dell’assassino.
Così come lo psicoanalista utilizza le proprie emozioni e le proprie fantasie attraverso l’analisi del controtransfert e comprende il proprio transfert mediante l’autoanalisi, per migliorare la propria funzione analitica, così il commissario incrementa la sua capacità intuitiva ed investigativa facendo riferimento alle proprie esperienze personali.