Tratto da un lavoro teatrale di Harold Pinter (1978), Tradimenti è il racconto fatto attraverso sette flash-back di un tradimento coniugale durato sette anni.
Il film è del 1983 e, va detto per i più giovani, può colpire il tipo di filmografia, la lentezza del racconto, gli stessi flash back che sono diversi da quelli del cinema attuale, più lenti, quasi scene teatrali montate secondo un registro che va all'indietro, in un gioco a ritroso della memoria. Lo stesso uso del flash back, spesso esasperato nel cinema contemporaneo, è in questo film più di tipo teatrale, meno veloce, quasi si trattasse più di quadri ricostruiti nel ricordo che di immagini che emergono dal passato..
La singolare ricostruzione che si snoda davanti allo spettatore è fatta a ritroso, seguendo l'espediente della memoria, che comincia dal qui ed ora, per riavvolgersi all'indietro; è dunque una rilettura basata sulla rielaborazione posteriore (Nacktraglikeit), nella quale la memoria si dipana secondo la logica dell'affettività, guidando il ricordo in base a libere associazioni, come nel corso dell'analisi, per condurre alla ricostruzione/costruzione della scena iniziale, che ha accomunato le tre vite tormentate in cui il film scava.
Ma di quale affettività si tratta? I protagonisti, impersonati da attori di grande bravura, Ben Kingsley il marito, Patricia Hodge la moglie, Jeremy Irons l'amante, sono rappresentanti di una società colta, ricca, occidentale, molto formale, quasi ipocrita, ci appaiono molto presi da sè, narcisisticamente preoccupati di difendere i loro privilegi, piuttosto che le loro relazioni.
I tre personaggi hanno attraversato per sette anni una storia fatta di sentimenti così forti da far loro oltrepassare la fiducia, la lealtà, l'amicizia, la fedeltà, l'amore; si sono amati e traditi, hanno avuto figli, hanno vissuto vite apparentemente normali, covando dei segreti e dei tradimenti, ma non sembrano essere in grado di chiedersi perchè tutto ciò è accaduto loro, perchè Emma ha tradito il marito, perchè Jerry ha rubato la moglie al suo migliore amico, perchè quel marito dice di avere saputo tutto fin dall'inizio. Nessuno sembra voler comprendere cosa li abbia portati a quegli estremi, e in sostanza non sembrano veramente interessati a chiarire e a capire, ma piuttosto a coprirsi, a difendersi. Più una posizione difensiva che un' apertura alla comprensione e al cambiamento.
Ci si aspetta passione in una storia di tradimenti coniugali, invece ci si trova di fronte a personaggi dai sentimenti controllati, che non perdono quasi mai il loro aplomb, e quando lo perdono si tratta piuttosto di un livore sordo covato per anni, dove sembra più importante non mostrare il bisogno, la sofferenza, il desiderio, che cercare il contatto affettivo con l'altro.
Il guardare indietro per ricostruire la storia è dunque davvero un guardare indietro con rabbia “Look back in anger” che è stata la formula del teatro della rabbia di Pinter.
Dalla freddezza formale dell'ultimo incontro dei due amanti, alla pienezza affettiva del primo, lo spettatore è condotto attraverso un percorso affascinante, che mostra le illusioni della memoria, ben note a chi lavora nella stanza d'analisi e la dolorosa ricerca della propria verità affettiva, attraverso i meandri selettivi della memoria stessa.
Da un punto di vista identificatorio Jerry, l’amante, incarna il desiderio inconscio dello spettatore, di ogni essere umano, di ciascuno di noi, di realizzare il proprio trionfo edipico, la rivalità e il possesso esclusivo della madre, facendogli rivivere le angosce di castrazione, e la svalutazione che ne consegue.
Fin dalla scena iniziale del film, che si apre sull’ultimo incontro dei due amanti, Jerry cerca di condividere con Emma gli stessi ricordi, cerca di trascinarla verso un ricordo uguale al suo, piuttosto che ritrovare dei ricordi condivisi. Lui vi è rimasto ostinatamente attaccato e li ripropone coattivamente per mantenere la relazione nella dimensione atemporale del desiderio.
La differenza tra uomini e donne appare profonda: per lei la casa è il loro nido, che arreda e cerca di rendere un luogo di cambiamento, per lui è solo un pied a terre.
Dice A. Green (1974) che il ricordo è perduto quando è recuperato l’affetto ed è ciò che accade a Emma, la quale cambia nel momento in cui rielabora affettivamente, disinveste e ritrascrive i suoi ricordi, allontanandosi progressivamente dall’amante.
Per Jerry invece l’amante rimane fino alla fine un suo possesso, in quanto madre edipica a cui non rinuncerà mai.
Un’immagine, come un filo di continuità della memoria, attraversa tutta la storia dei due amanti: è quella di Sara, la bambina di Emma, che Jerry, per gioco, lancia in aria. In quella scena egli vive un momento di trionfo e di pienezza narcisistica: è un attimo prima del tradimento, sono tutti presenti, mariti, mogli, bambini, ancora tutti innocenti, all’alba della conflittualità edipica e della triangolazione, nella dimensione preedipica, onnipotente e trionfante, grandiosa, del bambino fallico narcisistico che Jerry è rimasto dentro di sé e che rivive nel lanciare in aria la piccola Sara, lui ammirato da tutti, insieme uomo adulto e bambino.
Il ricordo di questo episodio diverge ogni volta per alcuni particolari: ad esempio, lui insiste che erano nella cucina di lei e lei puntualizza che erano in quella di lui, ma per Jerry non poteva essere che la cucina di lei, luogo materno per eccellenza e comunque era una cucina, un luogo legato al materno, alla funzione nutritiva.
Allo stesso modo, non ricorda che hanno comprato insieme il letto, che per lui è e rimane il letto che c’è sempre stato, cioè quello di cui in fantasia deve impossessarsi, scalzandone il padre. Emma, pur sedotta dal desiderio di lui, cerca invece di uscire dal ruolo incestuoso di madre edipica e di trasformare la loro in una relazione adulta.
Lei ha trovato una casa in cui incontrare l’amante, l’ha arredata, ha comprato una tovaglia a Venezia, dove ha coraggiosamente rivelato al marito la sua relazione adulterina, perché vuole iniziare una nuova relazione, non continuare a vivere una ripetizione coatta.
Dunque, pur partendo da identiche tracce rappresentative, i loro ricordi vanno a costruire due narrazioni diverse sulla base dei loro differenti fantasmi relazionali.
Anche Emma rappresenta un elemento di identificazione per lo spettatore: é la parte più adulta, quella che, dopo essere stata sedotta e avere partecipato alla passione, essersi concessa di viverla, avere condiviso l’ambivalenza del suo affetto coniugale e l’antipatia verso il marito/padre castrante, soffre con lei la fine del rapporto d’amore adulterino, di cui lei sola sembra pagare da adulta i costi, primo tra tutti la catastrofe del suo matrimonio.
La nostalgia, che forse ha spinto Emma a chiedere a Jerry un ultimo incontro, è un sentimento adeguato e maturo che, permette di aprire uno spazio all'elaborazione della fine della passione amorosa e quindi permette di affrontare il dolore della separazione e della perdita e quindi anche di recuperare i ricordi belli, unici della loro relazione.
Nell’andamento a ritroso e nella circolarità della narrazione che ricomincia là dove la storia finisce, il film rappresenta l’irriducibilità del desiderio edipico e la forza con cui si ripropone nell’immaginario umano, il potere di un mito personale, essenziale alla vita mentale, come la rappresentazione cinematografica, il sogno, l’arte e il transfert.
La memoria è un'enciclopedia in divenire, secondo la definizione del semiologo U. Eco (1975). Per gli psicoanalisti come per neuropsicologi e neuroscienziati è un processo in continua modificazione e costruzione, connesso alle vicende affettive e relazionali. Dice il neuroscienziato Kandel (2000) «... ci rendiamo conto che ricordare è più complicato che accendere una semplice lampadina nell’archivio del cervello: è un processo creativo. Alcuni aspetti della memoria possono emergere chiaramente, e altri rimanere in parte mascherati, a seconda dei sentimenti che il ricordo suscita. Ogni volta che ricordiamo è un po’ come se imparassimo di nuovo”. I ricordi non vengono quindi mai fissati una volta per tutte e la memoria è imprecisa ed è sempre un processo di ricostruzione (Freud 1937b).
Anche per noi analisti, la memoria non è il luogo di una realtà psichica depositata e sedimentata da indagare con gli strumenti dell’archeologia psicoanalitica, bensì un luogo di costruzione semantica e simbolica. L’analista e il paziente sono dei ri-costruttori, che operano insieme. Nella loro interazione memoria e ri-costruzione assumono però un peso molto diverso, a seconda che la capacità simbolico rappresentativa della psiche sia maggiore o che prevalga un legame fortemente connotato in senso corporeo/sensoriale con l’oggetto.
Una memoria affettivamente ricca, che attinge a capacità simbolico rappresentative, può snodarsi creativamente tra passato, presente e futuro, una memoria condivisibile chiamata per questo semantica dai neurocognitivisti; al contrario una memoria deprivata affettivamente, si blocca nella ripetizione compulsiva della coazione, perché esperienze relazionali connotate da una sensorialità che satura e iperstimola anziché facilitare l'accesso al pensiero, la vincolano nel registro del traumatico, della sfera narcisistica. E’ interessante notare come questo tipo di memoria “somatica”, la “fantasia nel corpo” di E.Gaddini (1982, pag.568) trovi riscontro anche nelle neuroscienze sotto forma di memoria inconsapevole procedurale o implicita, evidente nel comportamento piuttosto che nel ricordo. Gli psicoanalisti si confrontano con questo tipo di memoria, quando analizzano processi narcisistici precoci e nuclei psicosomatici.