Bisogna seguire con attenzione Teresa Ciabatti, leggere i romanzi, le interviste, i suoi interventi mai banali.
Ho letto tre suoi romanzi: “La più amata”, “Matrigna”, “Sembrava Bellezza”. Folgoranti.
Una prosa essenziale ed avvincente per raccontare quanto di noi andrebbe comunemente nascosto, salvo allʼanalista: i pensieri meschini, la vanità, lʼarroganza, la desolazione per la fortuna altrui, lʼinvidia feroce, i desideri di morte verso quei parenti che ci impicciano.
Donne protagoniste, antipatiche e nude, presuntuose ed imbarazzanti, arroganti, piene di sé, bugiarde, insomma odiose. Madri masochisticamente fragili o disinteressate, padri distratti o distrattamente innamorati delle figlie in quanto proprietà privata. Talvolta compaiono ex compagni, forse corteggiatori - poi si scoprono finti, era tutto un equivoco. Amiche che tornano dal passato per accollare sorelle disturbate e disturbantemente rimaste di una bellezza giovane, da ninfa, intatta.
E poi, ad un certo punto della narrazione, la folgorazione: tutta la forza, la principesca sicurezza è finzione, disperata finzione per negare il trauma, esperienze dolorose, violente, improvvise come un fulmine o, come ne “La più amata”, esperienza continua di insignificanza, di essere dimenticata, sola, abbandonata, inesistente, mai pensata, se non come propaggine narcisistica.
Ciabatti è la nostra Oates, forse a lei si ispira, senzʼaltro la ama, come del resto non si può che amare questa straordinaria scrittrice americana dello smarrimento.
Nel profilo Instagram Ciabatti si presenta con la foto di Joyce Carol Oates, e allʼinterno immagini che rimandano alle narrazioni della scrittrice: una bella bimba bionda che ci ricorda “Sorella, mio unico amore”, in una libera associazione con il fratello di “Matrigna”, ugualmente scomparso, biondo, bellissimo, destinato ad una carriera nella pubblicità. Bambino perfetto questo fratello, nella sua bellezza mai cresciuta, bionda, gli occhioni azzurri sgranati, orgoglio e compiacimento di una mamma con la mente distrutta, si pensa, dalla scomparsa. Madre che poi via via, in unʼinquietudine crescente, si scopre artigiana precisa di un piano di successo per questo figlio: i capelli tinti, il book fotografico, il belletto forse. E così la scomparsa fisica ci appare come lʼovvio epilogo del non essere mai comparso nella mente della madre, se non come protesi narcisistica.
Molto intense, spiritose, argute anche le interviste di e a Ciabatti e i suoi interventi: cercate in rete i suoi articoli e i momenti di confronto con i colleghi.
Come le sue protagoniste, inizialmente antipatica e riottosa, unʼespressione altera e una fatica a concedersi, poi irresistibile. Irresistibile nel dipanare con apparente noncuranza la propria fragilità assieme al mondo parallelo della sua immaginazione grandiosa.
“Se mi è dispiaciuto non essere nella cinquina dello Strega? Ma tutti mi davano per vincitrice! E io lʼho detto ad Agata, mia figlia di nove anni! Mamma ha vinto...Lei a scuola: Mamma ha vinto un premio importante. Complimenti Signora, la maestra. Grazie grazie. Cosa mi metto? Ho immaginato decine di vestiti. Meglio in lungo? In rosso? I fiori? Poi no, non ho vinto, non sono entrata nemmeno nella cinquina. Ma io lo avevo già ritirato tantissime volte quel premio e ogni volta con un vestito diverso, ogni volta un discorso diverso: grazie, grazie. Anche vestita così, come oggi. Che io mi vesto sempre così che sembro in pigiama.” Irresistibile.
Una maestra nel vivere attraverso lʼimmaginazione, il sogno ad occhi aperti, nel descrivere la complessità oscena e straniera del nostro animo e nellʼaccompagnarci a volere bene a questa complessità che quanto più è nascosta tanto più trauma contiene.
La voce narrante, odiosa nella sua mediocrità, nella piccineria, nellʼimbarazzante inadeguatezza nascosta da manifestazioni di impudica grandiosità, voce protagonista de “La più amata”, che poi continua in “Sembrava Bellezza”, ha i dati anagrafici e sociali della scrittrice.
È unʼautofiction: Teresa Ciabatti che parla di sé, della sua famiglia di origine (vera, tanto non possono più protestare, sono tutti morti), della professione, del rapporto distratto con la figlia. E parlando inventa, costruisce, immagina.
Immagina un alter ego megalomane e insopportabile, evidentemente in gran parte lontano dalla esperienza della scrittrice, che ciononostante le ha portato numerosi insulti nella vita recente. Non esiste la realtà ci dice Ciabatti. Esiste la realtà dellʼimmaginazione.
Anche la memoria non è reale, è quello che possiamo, siamo in grado, vogliamo, non possiamo fare a meno, di ricordare.
Ed in questo quanto è vicina al pensiero e allʼesperienza psicoanalitica Ciabatti, a partire dallo sgomento del giovane Freud, accoratamente dedito alla sofferenza delle Sue pazienti, quando si accorge come non sempre quello che veniva detto corrispondesse a fatti ma che cionondimeno fosse vero.
“Quel che stavo dicendo è che costa molto essere autentiche, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una è più autentica quanto più assomiglia allʼidea che ha di sè stessa”, dice il travestito Agrado in “Tutto su mia madre” di Almodovar, nel 1999, dopo lʼelenco dei costi chirurgici delle varie parti del corpo rifatte, anticipando profeticamente una abitudine della contemporaneità.
E assieme ad Agrado, Ciabatti ci insegna che siamo tanto più autentici quanto più esprimiamo tutta la nostra complessità: quello che abbiamo sognato e poi risognato di noi, quello che siamo, che siamo nostro malgrado, che vorremmo essere, che non saremo mai.
Infine una piccola nota terapeutica: la protagonista de “La più amata”, nella parte di narrazione dove è ancora bambina insopportabile e viziata, ha in dono un enorme cigno di plastica gonfiabile per la piscina, uno di quegli oggetti che attualmente non si possono vedere quanto sono trash, ma che allora era unʼautentica novità esotica. Poi la rovina, lʼabbandono della villa, della piscina, della grandiosità paterna, un Eden apparente. Rimane alla protagonista un grido di doloroso esilio quando non ne può più della quotidianità frustrante: “un cigno! Datemi un cigno!”.
Ecco, provateci, come ho fatto io: quando siete di corsa e non trovate le chiavi, quando avete appoggiato gli occhiali non si sa dove e frugate smarrite per casa, oppure quando al ritorno dopo il lavoro pestate la pipì del cane allʼingresso: “un cigno! Datemi un cigno!”, vedrete, funziona!
Immediatamente il buonumore. Perché tutti noi abbiamo lʼillusione della perfezione, di un Eden da cui siamo stati cacciati ma che meriteremmo e la fantasia di poterci tornare: forse un cigno di plastica potrebbe essere il viatico...

Almodovar, P. Tutto su mia madre, 1999
Ciabatti, T. Matrigna, 2018, Solferino
Ciabatti, T. La più amata, Mondadori, 2017
Ciabatti, T. Sembrava Bellezza, Mondadori, 2021
Oates, J.O. Sorella, mio unico amore, Mondadori, 2008

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