La vicenda ha come sfondo la seconda guerra mondiale e la cittadina fortificata di Saint-Malo, caposaldo germanico sulla costa Bretone. Che l’autore la definisca in exergo come una “splendida gemma” ci affaccia al cuore della storia, ricca di scrigni e tesori, e del “gemmare” dei suoi protagonisti, giovani che sbocciano nel tempo degli stenti di vita.
Marie Laure, divenuta cieca a 6 anni, vive con il padre, talentuoso fabbro di serrature del Museo di storia naturale, che le ha costruito un plastico in miniatura della cittadina perché possa impararne la topografia, muovercisi e ritrovare la strada di casa. Una mappa per i suoi polpastrelli, per orientarsi nell’invisibile, per avventurarsi nel mondo “senza che il terrore invada le viscere”.
Werner, cresciuto in orfanotrofio con la sorellina, scampa alle miniere di carbone cui sarebbe stato destinato ai suoi 15 anni, grazie a un’istintiva attitudine per i segreti dell’elettromagnetica: curioso del mondo, ne scopre le voci e la musica attraverso la radio, che diventa la sua passione. Arruolato nella gioventù hitleriana, viene addestrato per scovare i nascondigli dei partigiani attraverso il rilevamento delle loro postazioni di comunicazione.
Le loro storie si intrecciano sullo sfondo del conflitto: lui giovane soldato con un compito da spia, che va facendosi una sua idea delle ragioni della violenza; lei sfollata, una buccina nella resistenza, custode di un talismano che un ufficiale nazista bracca accanitamente. Messa in salvo dal museo, una gemma preziosa che ha fama di poter dare la vita e la morte, viene nascosta dal padre di Maire Laure in una piccola cassaforte incastonata nel plastico che ha costruito per lei. Questa sorta di anello di Frodo, sembra entrare nella storia come snodo delle diverse possibilità, dall’oggetto transizionale al feticcio. Per Marie Laure quell’oggetto è un epicentro di presenza e consolazione quando il padre viene catturato dai tedeschi e lei rimane sola nel suo buio; la sua smaniosa ricerca da parte del nazista mostra invece i contorni del futile affannarsi dietro le illusioni di onnipotenza.
Non a caso sarà la bambina a potersi liberare della pietra, come accade quando si diventa grandi congedando le idealizzazioni e le illusioni che pure sono state necessarie, una volta giunta a maturazione la loro funzione.
È uno di quei romanzi che siamo soliti definire di formazione, una storia sull’amicizia e sulla scoperta del coraggio fuori dal buio delle proprie paure, sul crescere in quegli istanti in cui “le cose stanno per diventare qualcos’altro”. Un racconto delicato, dove sono gli adulti i più orbati, e sta nei giovani sguardi ancora ricchi di aperture la possibilità di incontrare la luce dell’invisibile.
Un’avventura costruita con questi ingredienti è destinata a diventare best seller nella letteratura per ragazzi. In realtà a Doerr è valso il Pulitzer per la letteratura, a segno che la sua piccola gemma sa conquistare ben oltre il cuore dei piccoli.
Mi ha ricordato un racconto di rara bellezza di Eric-Emmanuel Schmitt, “Oscar e la dama rosa” (Ed. e/o, 2015), che tratta il tema della morte, del dolore e della paura, con una intelligenza e una lievità commovente. Oscar è un bimbo affetto da leucemia che trascorre i suoi ultimi giorni in un reparto di oncologia pediatrica, e tra genitori in apnea d’angoscia e compagni di pena, tesse il presente del suo futuro grazie alla presenza maieutica della sua sensibile infermiera.
L’essenziale è invisibile agli occhi, diceva una volta una volpe.
Ci vuole l’immaginario per sbirciare il mistero e farne sogni abitabili.
Daniela Federici
Settembre 2017