In “Al di là del principio di piacere” (OSF 9, pag.199 e segg.) Freud si interroga sulla natura contradditoria dei sogni nella nevrosi traumatica dei reduci di guerra: “Se non vogliamo che i sogni di coloro che soffrono di nevrosi traumatica turbino il nostro convincimento che il sogno tende all’appagamento di un desiderio, non ci resta che una via d’uscita: ammettere che in questa situazione anche la funzione del sogno, come molte altre cose, viene disturbata e deviata dai suoi scopi…” E su questa “deviazione” non dice altro. Poche righe più avanti si sfoga con uno scatto d’impazienza:  “ A questo punto mi propongo di abbandonare l’oscuro e tetro argomento della nevrosi traumatica e di studiare il modo in cui opera l’apparato psichico in una delle sue prime attività normali: mi riferisco al gioco dei bambini.”

È il famoso gioco del rocchetto: un argomento ameno, tanto più che il bambino di cui si accinge a parlare è, come poi si saprà, un suo nipotino di un anno e mezzo. Il bambino mostra di trarre un gran piacere da due gesti alterni in successione: con un <fort!> ( via! ) lancia un rocchetto legato ad un filo lontano da sé; poi, con un <da!> ( qui! ) lo richiama a sé tirando il filo. Entrambi i gesti sono fonte di vivo piacere.  Il nonno crede di poter interpretare che quel gioco, in tutte due le sue componenti altro non sia che il capovolgimento all’attivo di un’esperienza dolorosa sofferta al passivo dal bambino: il temporaneo allontanamento della madre: “Non sei tu che te ne vai, sono io che ti caccio e sono sempre io che ti faccio tornare”. ( Poco oltre veniamo a sapere che un anno dopo il padre del bambino, militare al fronte, riceve da lui un trattamento edipico adeguato: < Vai in guella!”>…)

Nipotini di tanto nonno, e col favore d’essergli posteri d’un secolo, possiamo anche noi giocare a superare il maestro? Proviamo…

Anche il sogno traumatico, come il gioco del rocchetto, si articola in due tempi: una scena onirica terribile, come fu nella trincea, poniamo, lo scoppio d’una mina a pochi passi… e, subito dopo, il risveglio del sognatore, obbligato dalla stessa insostenibilità della scena: da cui la sospirata rassicurazione d’essere in salvo, nel proprio letto, nella propria casa, ecc…: non dunque il sogno di per sè con il suo terribile contenuto, ma il fatto stesso di sognare e di risvegliarsi realizza l’antico, universale desiderio di camminare in avanti e in addietro nel tempo, rubando a Crono la sua immortalità: forse la più antica delle aspirazioni umane. <Se mi fossi allontanato, come dovevo, da quel posto…se avessi ubbidito all’ordine <tutti a terra!>…se…se…se…: La grammatica registra questa modalità come periodo ipotetico di terzo tipo, o dell’irrealtà. Così accade di attardarsi con l’inutile rammarico come se fosse ancora possibile praticare nel presente quella certa scelta, irrimediabilmente caduta nel passato: l’inconscio non riconosce la sequenza irreversibile del tempo.

Non revocabile, il tempo può ben essere rievocato, con tutta la famiglia dei ricordi, finchè ci sarà filo nel rocchetto della memoria… Così nonno e nipote possono stare tranquilli: il sogno mantiene intatta tutta la sua dignità di servitore del desiderio, ben sapendo che questo è da sempre collocato al sicuro,  molto, molto in alto: de sideris

Novembre ’18.   Z.

We use cookies
Il nostro sito utilizza i cookie, ma solo cookie tecnici e di sessione che sono essenziali per il funzionamento del sito stesso. Non usiamo nessun cookie di profilazione.