Papà, ma tu che lavoro fai?
Io? ,il navighetor, perché?
Navichè!?...
Spero per lui e per il suo bambino che il nome del  solerte inventore di questo vocabolo non si venga a sapere, coperto dalla gran folla di onesti scrivani della pubblica amministrazione:  così me lo posso figurare come uno di quei ragazzi che hanno marinato la scuola per andare a mettere i baffi alla Gioconda riprodotta in un manifesto sui muri. Perciò questo non può che essere uno scherzo, sia pure di gusto discutibile . Mettiamola così: uno sgarbo sgradevole fatto al vocabolario della nostra bellissima lingua invidiata nel mondo. Navighetor: deve aver dormito male colui per inventare al risveglio questo strafalcione. Come non ha pensato alla faccia del suo bambino che gli chiederà il nome del suo mestiere. E poi  per fare  uno sgarbo ai naviganti veri, che conoscono il coraggio necessario a prendere il mare, e la nostalgia, “nell’ora che volge il disìo” , e l’orrore del naufragio. E uno sgarbo ai colleghi funzionari, che con quel nome addosso dovranno incontrare cittadini sgomenti e scalare complicate costruzioni burocratiche, scontenti d’essere stati imprevedibilmente imbarcati  in acque confuse.

E l’ultimo sgarbo è fatto anche alla sorella lingua inglese, che non ha mai autorizzato per i suoi navigators altra funzione che quella marinara. Et de hoc satis.

G. Zucchini

Maggio 2019

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