Freud:  “Il primo essere umano che scagliò un insulto al posto di una pietra, è stato il fondatore della civiltà”. La civiltà è perciò costruita su pietre non scagliate: e da queste pulsioni inibite nella meta sono nate le parole. Delle quali fu già scritto: “In principio erat verbum, et verbum erat apud Deum et Deus erat verbum”. Anche una lettura laica dell’incipit del Vangelo di Giovanni non può disconoscerne la stupefacente indicazione: le parole sono alla radice della civiltà della coscienza, sia dell’in/fante (= non ancora  parlante) che inizia ad appropriarsene tra lo stupore degli adulti amorevoli, che dell’in/fanzia (idem) dell’umanità intera. L’inconscio perciò ne è la pre-istoria, abitata da pietre ancora in attesa di incontrare quel divieto di gittata da cui nasceranno le parole per tutte le lingue del mondo.

Il saggio freudiano “Le pulsioni e i loro destini” (OSF.8 pagg.13-35) è una lettura faticosa e poco remunerativa: a ben vedere si tratta di una sequenza di definizioni: che nome dare a questa e a quella o poco più… E ce lo dice lo stesso Freud: “Lo studio delle pulsioni presenta difficoltà quasi insormontabili dal punto di vista della coscienza “ (ivi, pag.21) e dell’inconscio, potremmo aggiungere. Radicate nella biologia, le pulsioni non hanno propriamente destino perché non hanno storia: fanno e fanno fare, ma non sanno dire: ancora pietre: sorde e mute, hanno peso ma non hanno propriamente senso. La significazione spetta al fato: che è, letteralmente, una parola, pronunciata dall’oracolo e carica di molto futuro.

Le pulsioni sessuali  abitano le zone erogene, luoghi di fattualità; le parole – Res loquens – sono ospitate nelle aree pudende, territorio di poiesis. All’Io il non facile compito di propiziare mediazioni atte a procurare eloquenza alle prime e carnalità alle seconde: questa è propriamente la funzione della parola (“parabula”) psicoanalitica.

In un breve scritto sul significato opposto delle parole primordiali, Freud prende in considerazione certe analogie tra i meccanismi del sogno e la primitiva formazione della logica degli opposti nelle lingue primitive. Lo scritto (Osf.6, pagg.185-191) si conclude con un sorprendente appello: “E a noi psichiatri s’impone, come congettura irrecusabile, il fatto che la nostra comprensione e traduzione del linguaggio onirico sarebbe migliore se fossimo più informati sull’evoluzione della lingua. Ora, l’informazione sull’evoluzione delle parole e delle lingue ha un nome greco-antico: etimo-logìa, garante del significato originario delle parole.

Le parole e i loro destini”: parafrasando, questo potrebbe essere il titolo del programma di ricerca auspicato da Freud. Proviamo, fidando nelle libere associazioni: l’inconscio, oscuro, in attesa di parole chiare, è strano, estraneo, straniero, barbaro. Ci siamo: “barbaròi” chiamavano in Grecia i non-parlanti greco; ma “barbaròs” voleva anche dire “balbo-balbuziente”… Il sarcasmo verso i non-parlanti la lingua dei signori è molto antico… E però molti di questi forestieri, venendo da foreste-di-fuori, o da selve (selvatici), potevano talora essere più robusti, come querce (robur, rovere) anche più forti dei locali: e fu così che furono assoldati dai signori potenti come guardie del corpo o come sgherri sempre pronti alla violenza.

I parlanti sono spesso frettolosi: e tra barbari e bravi non c’è gran differenza di suoni. Due di questi galantuomini aspettavano Don Abbondio lungo il viottolo che si affacciava su “quel braccio del lago di Como”… E però i pensieri e le parole del mondo sono spesso mutevoli e capricciosi: e fu così che alcuni  di costoro, magari ravveduti, misero la loro forza al servizio di qualche buona azione e fu bravura: purchè non tornino costoro a far bravate

G.Zucchini

Gennaio 2019

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