“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a restringersi, e a prender corso e figura di fiume”…

Leggere è: guardare una grafica sequenza di segni in gruppi di varia grandezza, tutti debitamente in fila: eravamo in prima elementare e ne imparammo ventuno di questi segni, e che fatica ricopiarli per le nostre manine, ancora vogliose di scarabocchi, e metterle tra le due righe parallele una sopra e l’altra sotto: aeroplano a, bandiera b, cane c, ciliegie sempre c (?) dado d… E ci mettemmo a far suonare le nostre vocine, per tutta la vita: prima le sonore vocali e poi quelle lettere che facevano rumori secchi (con-sonanti, solo in compagnia di quelle altre): erano nate le parole scritte e noi non eravamo più analfabeti: e per volere, andare, venire, prendere eccetera potevamo usare sia la voce che la scrittura. In terza poi imparammo a leggere anche in silenzio, e si chiamò pensiero un modo di “vedere con gli occhi della mente”. Di lì ne conoscemmo anche il piacere; e mentre guardavamo le parole si accese l’immaginazione e ci figurammo Don Abbondio minacciato dai bravi e poi Renzo e Lucia e l’Innominato (un capomafia) e Fracristoforo eccetera…

A guardare son buoni tutti: non tutti sono capaci di vedere…

Ragazzi, non smettete mai di leggere: chi ama la lettura non è mai solo. E non vi fate imbrogliare da tutti questi tele-fono-foto-grafi: questi non vi fanno veramente leggere: vi fanno solo guardare ed essere guardati: e può conseguirne un’ubriacatura di percezione in atto e cioè di solo presente a danno del passato (la memoria) e del futuro (la speranza) e la presentazione percettuale di centinaia di foto e di scene e di voci in partenza e in arrivo, praticamente a costo zero, rischia di mortificare la rappresentazione immaginativa. Sparisce l’attesa e con essa l’esercizio della pazienza. E di lì potrebbe venire anche la trappola del “o tutto subito o niente mai più“: angoscia abbandonica o attacco di panico che dir si voglia, la cui frequenza statistica ai pronti soccorsi degli ospedali sembra crescere in parallelo con la spettacolare diffusione dei telefonini a partire dai primi anni del Duemila.

G. Zucchini

Febbraio 2019

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