AMERICA NON TORNA PIU’ alla prova del gruppo
Rosanna Rulli
Un padre e un figlio. Un confronto complicato, sempre.
Specie se è “è un rapporto dinamico di botta e risposta e discussioni accese, di giornate passate a incontrarci spesso tangenzialmente”, un rapporto dove non è previsto indugiare sui sentimenti, gli orizzonti e le paure.
Specie quando tuo padre sembra disapprovare tutto di te, la voglia di divertirti, l'impegno che non riesce a superare una certa soglia: “se prendi un impegno è quello”, i sogni che non sono supportati dalla vocazione al sacrificio.
Specie quando hai vent’anni e ancora tanto bisogno di litigare con lui per poterti differenziare. Ed invece ti tocca assistere alla sua lenta agonia, vederlo ogni giorno diventare più fragile, più lento e “i suoi occhi, in cui l’azzurro si era dilatato al punto da mangiarsi quasi le pupille, sembravano attraversarmi” e non vedermi, e odiare tutto il peso di aiutarlo a morire, tuo padre che era sempre stato una roccia e non aveva mai voluto l’aiuto di nessuno e non potergli urlare “e tu stammi ad un palmo dal culo testa di cazzo“ In nome del padre dei Maneskin). E “poi con chi ti incazzi? Dove la metti la rabbia e il risentimento?”
Giulio Perrone riesce a parlare di tutto ciò vent’anni dopo la morte del padre. Scrive “Non trovavo le parole per andare a fondo di quella che era divenuta un’ossessione, il rapporto con mio padre. Ci ho provato e riprovato… finchè è scattata la molla e la storia è venuta fuori così come ero in grado di sentirla e di raccontarla. Un tentativo di liberazione ma soprattutto di restituzione per tutto quello che rimasto e rimarrà sempre in sospeso tra me e lui”.
Il gruppo impatta quasi all’unanimità qualcosa di indigesto.
“Bello, onesto, coraggioso, scritto bene ma non so se mi è piaciuto”,
“Ma di cosa si lamenta? Del brodo grasso?”
“Mi sta antipatico”
“Non sono entrata dentro”
“Troppo concentrato sul suo ombelico”
“Ma è questo il suo dolore: il rammarico per le parole dette e quelle non dette”.
“Non ha superato il conflitto edipico”.
“Ma ha vent’anni e sogni che puntano al cielo e un padre che sta morendo, lo sta abbandonando per sempre”.
Forse, come nella struggente copertina, è persa per sempre la possibilità di un padre che ti prenda sulle spalle nell’affrontare il “mare dell’avvenire”. L’America appunto! America è poter vivere la propria originalità senza aver paura di perdersi. America è la possibilità di liberarsi da per poter essere liberi di.
Liberarsi anche dalle ansie di un padre che vorrebbe per te quello che non ha avuto: stabilità, sicurezza e il calore di una famiglia in cui fare tana. Suo padre, il nonno di Giulio, andò a cercar fortuna in America e non tornò più, lasciandolo solo riparare i cocci della sua assenza.
Mi chiedo se nel gruppo non stia andando in scena un conflitto: un’istanza che pretende “un percorso sano” a conferma delle proprie teorie, rischia di saturare il campo e non accogliere il nucleo sofferente di Giulio che da vent’anni sta cercando di parlare a suo padre.
Un laboratorio di lettura è anche questo.
ROSSANA CAMPO: EFFETTO KUSTURICA
Violet Pietrantonio
Ritrovarsi in gruppo dopo un mese a parlare del libro “Dove troverete un altro padre come il mio” di R.Campo è stato un po’ come ritrovarsi a intrecciare una trama di fili di tessuti e colori variegati su una più secca rete di corda e canapa lasciata dalle riflessioni sulla lettura di Perrone.
Il libro di Rossana Campo sembra aver toccato, commosso, sollevato pollini e polveri di emozioni, associazioni, immagini, fantasie…
Un’atmosfera di festa Gitana è sembrata quella portata da questo testo nel campo gruppale:
forse l’origine zingara di questo padre,
forse la natura così vulcanica del suo essere uomo e padre, allo stesso tempo così vitale e vitalizzante ma anche sofferente e generatore di angoscia e livelli di intollerabile sofferenza,
forse la particolare costituzione di questo legame padre figlia, così stretto, intenso, appassionato in tutte le sfumature e tinte delle passioni, viscerale, incestuale, intrecciato e incestato di “diadiche multiple identificazioni”,
forse la durata del legame con un padre vissuto molto più a lungo di quello di Perrone, che permette di narrarlo e salutarlo in un modo più vivido e digeribile.
Certo è che nel gruppo tanti stati d’animo e sensazioni hanno preso immagine e voce: dalla paura tremenda patita nell’infanzia da Rossana, immaginata bambina terrorizzata a contatto con la violenza incontenibile del padre alcolista,
dal fastidio e dall’odio che può far sentire da lettori la visione di un genitore tossicomane che non può, non riesce a tenere in mente neanche i bisogni emotivi essenziali dell’infanzia,
al sentire che nonostante tutto forse, quando muore, possiamo anche sentire, scoprire con Rossana Campo, che anche un genitore “folle” può averci lasciato qualcosa di buono e vitale e che forse questo ci può permettere, come alla scrittrice, di poterne elaborare il lutto,
forse accettando anche l’eredità di zone dark di oscuro malessere che continua a fermentare dentro,
come mostra Rossana sola, adulta, in preda all’angoscia, nella sua stanza di Parigi…
…ma, e qui sta forse il particolare effetto Kusturica di questo testo, le menti continuano a danzare e sognare, e sbucano pensieri e congetture su arte, follia e psicoanalisi, sui possibili diversi effetti mentali della follia nel padre e nella madre…
Da Rossana si arriva al fratello di Rossana e agli interrogativi sui suoi vissuti e la sua esperienza dello stesso padre… “sarà diventato psichiatra?”,
per poi lambire i territori narrativi di Simona Vinci cresciuta in compagnia delle allucinazioni materne, quelli cinematografici della “Storia di Piera” degli Esposti e le vicende delle figlie
di Alda Merini affidate ai servizi sociali… Servizi Sociali che per tanti anni si ricorda essere intervenuti con recisioni e allontanamenti forzati tra bambini e genitori come quelli di questi scrittori e artisti…Interventi che forse ora, anche dopo aver letto questo libro, ci si chiede se non possano esitare in esperienze ancora più traumatiche e mortifere che l’esperienza di essere e vivere bambini a contatto con genitori colonizzati dalla sofferenza mentale acuta…
… forse ancora dei bambini e di come possano soffrire, devitalizzarsi, impazzire ma anche forse crescere vivi e creativi con un genitore “psicotico” sappiamo, se non “niente”, molto poco.
Ma alla fine della serata affiora la considerazione di Orson Welles (che a memoria ricordo così): “Durante il Rinascimento in Italia ci furono moltissime guerre ma anche grandissimi artisti. In svizzera regnò la pace, ma l’unica cosa che gli svizzeri inventarono fu l’orologio a cucù…”
Un sogno del gruppo sulle ßermuda della Psicosi e βiomi di matrice più normopatico-Asperger?
Un libro che come un sogno riesce a trasformare anche quote incandescenti di dolore mentale patito… e come un sogno permette di continuare a sognare?
GIAMPIERO E RENATO: DUE PADRI TANTO DIVERSI?
Barbara Giorgi
Due storie molto diverse quelle di Perrone e Campo, diversi percorsi per arrivare a scrivere del proprio padre.
Dopo venti anni dalla sua morte Perrone scrive questo libro, come “un tentativo di liberazione ma soprattutto di restituzione per tutto quello che è rimasto e rimarrà sempre in sospeso tra me e lui”. Ci offre un racconto che da più parti trasuda rabbia e aggressività, che ci fa pensare che no, questo padre sembra proprio non averlo ancora digerito, resta qualche cosa di lui che ostruisce il suo sé. E’ un rapporto di scontri il loro, di continui urti, perché con un padre così “ogni dettaglio si cristalizza, rimane nell’aria per poi riaccendersi quando respiri anche solo un briciolo di quel ricordo”.
Diverso il suono delle parole della Campo, che scrive per portare fuori la verità delle cose, perché “di guardare alla nuda verità delle nostre vite, non ce la facciamo. Abbiamo paura che la nuda verità possa farci schiantare, possa farci uscire di testa”. E noi, che siamo psicoanalisti, sappiamo che può essere proprio così. Il suo è un tentativo di fare andare d’accordo il padre buono con il padre cattivo, di integrare la parte distruttiva di quest’uomo con la sua parte buona per arrivare a qualche cosa che, alla fine, sa quasi di tenerezza.
Eppure il “padre reale” di Perrone tutto sommato non sembra malaccio. E’ un padre normativo, questo si, però è capace di spronarlo a fare sempre meglio e quando si rifugia nella bottiglia lo fa proteggendo il figlio, in segreto, con un suo amico, e sempre come risposta a qualche insuccesso del figlio. Come dire, sembra che a lui ci tenga molto.
Molto diverso il padre della Campo, la cui unica e vera passione è la bottiglia, sopra ogni cosa e decisamente prima della propria figlia. Un padre che cammina lontano dai bisogni della Campo bambina, seguendo un percorso tracciato, la dipendenza dall’alcool, capace solo di avvicinarsi alla figlia in rare, rarissime occasioni. Ma sono le occasioni fondamentali però, quelle che fanno la differenza.
Così, a noi lettori, resta da chiederci come mai Giampiero, con la sua condotta così sensata, raccoglie rabbia dal proprio figlio mentre Renato, la cui stella polare è sempre stata solo la bottiglia, ci appare quasi come un padre affettuoso.
Già l’incipt dei due libri sprigiona atmosfere relazionali molto diverse.
“Se tutte le storie che mi ha raccontato mio padre fossero vere, sarei il figlio di Hemingway”. Così Perrone apre il suo racconto, con un alito di risentimento che mette quasi in allerta il lettore.
Ironico e quasi dolce è invece l’inizo del libro della Campo: “Mio padre una volta mi ha detto: Rossanì, tu non devi avere mai paura di niente nella vita, perché ricordati sempre che sei stata concepita sopra un tavolo da biliardo!”
Forse con Perrone ci troviamo alle prese con un rapporto padre figlio fatto di troppi confronti e rivalità? Con la Campo si tratta di idealizzazione del padre da parte della figlia, come dire il solito complesso edipico?
Oppure la vera differenza la troviamo nei due padri reali? Giampiero, con le sue poche parole e il suo fermarsi alla superficialità quando parla con il figlio. E’ la sua passione per la barca, passione non condivisa ma subita da Perrone, che ci può fare pensare ad un padre troppo preso dalle proprie cose e poco capace di sintonizzarsi con i bisogni del figlio?
Diverso è Renato che, prima ancora di essere un padre, è un uomo distrutto dal bere. Tuttavia, in un paio di occasioni è capace di dare alla propria figlia “la sensazione di potere contare su qualcuno che c’è e che ti può pure proteggere”. E queste occasioni possono giustificare una vita di assenze paterne?
Chissà! Trovare una risposta non è semplice. Sicuramente dai due racconti emerge una diversa, diversissima elaborazione del lutto. Per Perrone tutto sembra passare dal fare, dall’agito. Fa l’amore con la fidanzata mentre il padre sta morendo, sente rabbia, molta rabbia come unica risposta di fronte all’impotenza che suscita la morte. Ma, anni dopo, darà a suo figlio lo stesso nome del padre.
La Campo attraversa giorni cupi nei quali perde i colori delle cose, si chiude in casa e sente affiorare il dolore, sente sciogliere il magone che ha dentro e riesce a piangere.
Vissuti diversi, come diverso è il momento nel quale la perdita del padre ha toccato la vita dei due scrittori, a vent’anni per Perrone, in età adulta per la Campo.
Comunque due libri onesti e coraggiosi, non è facile riuscire a fare entrare il lettore così a fondo nell’intimità di chi scrive.
E non possiamo neppure pensare che entrambi gli scrittori se la raccontino, perchè, citando Emmanuel Carrère, sappiamo che quando si scrive “si dice solo la verità”.