Cosa non devo fare
Per togliermi di torno
La mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.
Patrizia Cavalli, Vita meravigliosa
Anche il fatto che ogni tanto mia madre cerca di uccidersi è diventato un’abitudine, come più o meno tutto il resto.
Bianca aveva 7 anni quando muore Stella, la sorella maggiore, e la famiglia precipita nel vuoto.
Mi sentii ancora più sola, e capii che questa, per me, sarebbe stata sempre l’unica condizione possibile.
Un libro che si legge d’un fiato eppure fa fare fatica; una protagonista che tiene a distanza per la sua freddezza o accende le vascolarizzazioni identificatorie. Colpo, vuoto di pensiero, latenza, distanza e prossimità risonante: siamo nel traumatico.
Si confluisce entro un libro ben scritto, fra personaggi egregiamente rappresentati, lungo le traiettorie che hanno al centro la lista mentale dei rifiuti che Bianca applica su ogni cosa.
…una fatica smisurata che però mi dona la sensazione più vicina alla pace, quasi all’amore, che oggi riesca a immaginare…
L’ordine come unico modo per governare l’indicibile.
Si fanno ogni giorno le stesse cose, tutto è sotto stretto controllo, nessun imprevisto, sorpresa, emozione.
Il controllo ossessivo come difesa per arginare la frana dell’irreparabilità.
Vorrei che nella vita tutto fosse così certo e stabile, senza il pensiero che possa frantumarsi da un momento all’altro.
Il possesso degli oggetti come surrogato della loro mancata costanza.
L’immagine più nitida della morte sono gli oggetti che le persone lasciano, con quello che chiamano valore affettivo.
La lista dei rifiuti di quello che c’era e adesso non c’è più…
I resti sono scarti, ciò che si vorrebbe eliminare, ma anche – come in archeologia – ciò che resiste. Vestigia. Nello psichismo ciò che insiste è in cerca di un luogo in cui avvenire, di un’integrazione, di riavviare nuove possibilità rappresentative fuori dal sequestro della ripetizione.
I rifiuti del romanzo sono anche quelli di una madre morta, occlusa da un lutto che fa sfumare Bianca dal suo orizzonte visivo.
L’inossidabile silenzio di mia madre...
Avevo paura anche di muovermi, come se fossi precipitata in un fragile mondo di cristallo dove appena qualcuno si sposta rompe qualcosa.
Gli sguardi su di lei si spengono, anche il padre abdica a contrastare l’incuria, tutto si svuota di vita e si deteriora, la casa si riempie di rifiuti. E Bianca si mette a sistemare il dissesto, come può.
Non è che fossi triste: quello che sentivo non era il contrario della felicità, era il contrario della vita.
… ne provavo pochissime di emozioni. Era, se mai, la cognizione dell’assenza.
In presenza di rotture del legame primario, carenze dell’esperienza speculare, frangenti devitalizzati e devitalizzanti, il ritiro degli investimenti è una soluzione disperata ma a suo modo protettiva, l’abbandono del desiderio è pur sempre un tentativo di circoscrivere i bordi di un abisso che è seduzione al niente (Lambotte, 1993). Può installarsi un corpo estraneo interno che non si può espellere: l’imago, monumento commemorativo di uno sguardo che allude a un ‘altrove’ irraggiungibile, dispotico nel suo negarsi quanto necessario per vivere, impoverisce la vita psichica e condiziona (con le sue predizioni) il destino delle relazioni del soggetto (Green, 1983).
La mia pelle è una cortina impermeabile, il mio cuore è una fortezza diroccata su un baratro che nessuno può espugnare. Posso sopportare tutto, se sto sopportando da anni la colpa di avere distrutto la mia famiglia.
Bianca si carica del peso del mondo, perché può essere più facile sentirsi colpevole del riconoscersi impotente, del sapersi solo come i fili d’erba, evocando Zerocalcare di “Strappare lungo i bordi”.
Non è accettabile di essere solo così ‘poco’ se non si è stati prima – e sufficientemente a lungo – molto speciali per qualcuno.
Unforgettable. Si pensa che il termine “indimenticabile” si riferisca per forza a qualcosa di bello, invece no. Tutte le cose indimenticabili della mia vita sono tremende…
Quando pensare ai ricordi diventa incompatibile con l’idea di vivere, quando ci si sente in colpa per il fatto di essere ancora viva, quando tutti i tentativi di rivitalizzare uno sguardo su di sé vanno falliti, insieme alla perdita dell’oggetto può esserci la perdita di soggetto. La catastrofe può rendere difficile e angoscioso tenere in vita dei legami fra parti di sé, aprirsi a ciò che alimenta lo psichismo, tessere un senso e istituire confini.
Quando incontra Carlo, Bianca pensa: è come me, è uguale a me. Fragile, frangibile, impreparato a sopportare la colpa. La sorprende di come lui somigli a Stella - che sappiamo essere identica a lei, che ne ha assorbito la bellezza crescendo, a parte quel piccolo dente scheggiato.
Carlo lo ha scelto per la sua certezza che sia possibile salvare le persone, sollevarle dalla disperazione, rendergli la speranza di sopravvivere, placare ogni loro paura. Scorgere la macchia che hanno nel cuore e cancellarla. Così Carlo è anche come la madre, che nella sua lavanderia smacchiava tracce d’umanità e stirava le pieghe che lascia il vivere.
Viene da chiedersi se sia possibile essere umani imperfetti o soffrire.
Carlo il cardiochirurgo, per il quale il cuore è quello da cui tutto comincia e finisce… il centro vitale da cui non si può prescindere. Ed è certo un ‘male al cuore’ quello di quasi tutti i personaggi, lo è certamente l’esangue bianco della protagonista, la colpa di Rodolfo, l’amico che nascostamente condivide la responsabilità che Bianca avocava a sé, perfino Carlo cova in cuore i suoi torti dolenti.
Quando lo conosce, Bianca smette di sognare di uccidere Stella e concepisce un altro progetto per liberarsi di ciò che si è incriptato in lei.
Il futuro poteva avere un senso, una ragione per essere affrontato… Il mio piano era ritrovare Stella, restituirla ai miei genitori… espiare la mia colpa…
Una fantasia delirante dai connotati grandiosi: riportare indietro il tempo, renderlo non avvenuto.
Se Stella era la parte migliore delle nostre vite… ci rassicurava sul fatto di poter essere felici a nostra volta… allora non si tratta solo di generare una figlia-sorella dall’identico di loro due anche per restituire la vita alla madre, ma si tratta anche del lutto che non può compiersi dell’illusione di integrità antecedente ai colpi della vita, di un ideale irrinunciabile di purezza e perfezione per non riconoscere miserie e meschinità. Un’idealizzazione forse a copertura di esistenze mancate che erano già tali prima di perdere Stella.
De-siderare, togliere dallo spettacolo delle stelle e agognare tornarvi per quanto sono belle.
Forse l’astiosità di Bianca verso la piccola Sofia, è ostilità per la sua spensieratezza, per la sicurezza di chi si affida ignara della durezza della vita e delle sue disillusioni. Nell’episodio in cui, dopo la morte del nonno, Carlo la porta al Luna Park e la perde, si evidenzia quanto anche lui faccia fatica a sostenere la sofferenza. Mentre la bimba aveva il diritto di essere triste, gli dice Nicola, un padre che sa come aver cura.
Respiravo l’ossigeno appena sufficiente per non morire, in una nicchia di costrizioni e privazioni e compromessi che a suo modo stava diventando confortevole.
Bianca ha organizzato la sua vita su questa fine operazione di pulizia dalle emozioni, sostenuta da un progetto onnipotente.
Ma la finzione crolla.
Scopri di essere infertile… una ghigliottina che recide per sempre il movimento ondivago delle tue speranze, una bestia feroce che azzanna i tuoi giorni e li dilania, e li rende inutili.
Cade l’ultima illusione.
Annuso i rifiuti… è l’odore della vita quando la spogliamo dal maquillage che le spalmiamo addosso per edulcorarla.
L’ossessione di Bianca espande i suoi aspetti di abiezione, forse la punizione dei rigurgiti della colpa, forse la sfida ai limiti delle proprie barriere al sentire, per mettere nella lista dei rifiuti una volta per tutte anche me stessa. L’affacciarsi al baratro profila una minaccia di frammentazione.
Un momento fondamentale.. quello in cui si inizia a intravedere il disagio che c’è dietro la parvenza di normalità di ogni vita umana.
L’incontro con lo psicologo non sembra determinante, ma in qualche modo l’aiuta a ricentrarsi.
È la bonifica emotiva che attua con ognuno dei suoi gesti a farmi proseguire. So che niente di quanto gli dico può scalfirlo o fargli male…. Sono un’entità astratta da analizzare… un niente con un’anima, un semplice essere da guarire..
Una sconosciuta che gli si denuda davanti così… senza nessuna speranza di esser salvata…
Sento un treno passarmi addosso, fracassarmi le ossa ma lasciarmi viva, come sempre. Sopravvivere alle tragedie è la peggiore tragedia della mia vita.
Credevo che la delusione fosse un’onda che ti si infrange addosso e tutto intorno si infrange con lei, mentre non è che una piccola lametta infilata fra le tue convinzioni, che bene o male trova il suo posto e smette quasi subito di fare male.
Non so se è peggiore l’idea del mio piano naufragato per sempre o il fatto che, nell’unico attimo in cui era sembrato possibile, io stavo per morire.
Le emozioni molto lentamente si fanno strada.
Il finale è sospeso in bilico sulla tragedia. La storia non scioglie la domanda di quanto pesa la colpa, anche quando ci si scopre innocenti. Perché della vera colpa, quella di non essere onnipotenti, si può solo riuscire a fare il lutto o cadere giù.
Balsamo (2018) Editoriale e “Costellazioni psicoanalitiche: Una rilettura di Costruzioni”, Psiche, n.2.
Green, A. (1983) Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla 1985
Lambotte, M-C. (1993) Il discorso melanconico, Borla 1999