Il film ci presenta una breve sequenza temporale, forse due giorni, nel corso della quale assistiamo ad una serie di eventi esterni che solo nell'ultimissima parte della pellicola sembrano venire interiorizzati divenendo eventi psichici, acquistando cioè uno spessore psicologico e affettivo, qualcosa che ha trovato uno spazio psichico in cui essere contenuto ed elaborato.
Accanto a questa ipotesi, che è quella che vorremmo vedere trionfare, si insinua per tutta la pellicola quella più disperata, che non vi sia alcuna catarsi e che assistiamo solo ad un commercio, in cui non conta il prezzo terribile che qualcuno ha pagato, un ragazzino di 14 anni ucciso in uno stupido incidente automobilistico, il dolore della sua famiglia, ma solo il risultato spendibile a livello sociale, ottenuto da un'altra madre, che vuole scagionare il proprio figlio e cancellare ogni sua responsabilità legale ed etica.
Il film ha il merito di mostrarci e farci vivere il dispendio di energie e la resistenza alla presa di coscienza di quanto è accaduto. La fatica e la sofferenza che comporta per il ristretto gruppo dei familiari del figlio-colpevole tollerare il peso della colpa e della responsabilità per ciò che è accaduto e quindi arrivare a cambiare il loro stile di vita e di relazione. Si potrebbe obiettare che la sequenza è troppo rapida rispetto ai tempi di elaborazione della colpa e del dolore, ma questa è la libertà che il cinema si prende, condensando in un racconto di meno di due ore qualcosa che nella vita vera richiede tempi ben più lunghi, talora un'intera vita.
La posta in gioco nel film è altissima da un punto di vista etico e, per quello che interessa a noi, psichico: è la possibilità di ritrovare una dimensione etica per la propria esistenza, una dimensione in cui la legge sia al di sopra dei singoli interessi ed egoismi e rifondi un vivere civile in cui i più deboli sono protetti e la funzione paterna è ripristinata e riaffermata, a fondamento del consorzio umano.
Quello che ci viene presentato è un mondo in cui tutte le istanze psichiche sono manipolate, manipolabili o corrotte. Penso alla polizia che non c'è quando e dove occorre, che arriva tardi, a cose fatte, in un luogo che non è stato adeguatamente protetto, perché chi doveva occuparsi della segnaletica stradale non lo ha fatto. Vediamo poi, o meglio sentiamo, il racconto del padre del ragazzino ucciso che dice che anche la poliziotta piangeva a vedere quel corpo straziato ( ha fatto un volo di 26 metri), ma il suo collega, pur percependo la tragedia, non perde l'occasione di chiedere all'architetto potente, un favore per la cognata che non riesce ad avere i permessi per una qualche costruzione abusiva.
Le pulsioni aggressive si scatenano e chi è preposto a contenerle a livello individuale e sociale non lo fa, strizza l'occhio ad un Es sempre più prepotente e indomito nel raggiungimento delle sue mete: avere tutto e subito, il che equivale al successo sociale, all'affermazione di privilegi, al denaro facile, essendo stata svuotata, esautorata la legge del padre e chi la incarna, a cominciare dal padre dell'assassino preterintenzionale. Il tessuto sociale sembra regredito ad uno scambio corrotto, dove tutti inseguono un ideale basato sull' immagine: il successo, il denaro, il potere, la visibilità e niente altro.
All'inizio del film vediamo una cerchia di persone privilegiate dal punto di vista economico e di potere, la classe dirigente del paese, gli intellettuali, architetti, medici, in una dimensione socio-culturale di vita e di relazioni patinate, ma sostanzialmente esecrabili, vacue, superficiali, corrotte. Sono tutti disposti a corrompere e a corrompersi a vicenda, perché così va il loro mondo e temo anche il nostro per varie somiglianze che ritroviamo: come per esempio la canzone di Gianna Nannini.
Siamo però subito informati che in quella dimensione dorata e privilegiata, si è insinuato qualcosa di terribile, capace di lacerare la comunicazione apparentemente facile e frivola del gruppo: un trauma, un incidente terribile, nel quale è stato ucciso un ragazzino di 14 anni.
E subito assistiamo alla opposizione al dolore, alla resistenza che i tre protagonisti, padre, madre e figlio, colpevole dell'incidente, mettono in atto. Anche l'altro gruppo familiare, quello del ragazzino morto, si oppone inizialmente all'accaduto: il padre ha inseguito con una mazza l'assassino, lo ha picchiato. E' la tipica reazione dell'elaborazione paranoica del lutto: non posso tollerare tanto dolore, devo trovare il colpevole di tutto ciò e prendermela con lui!
Ognuno dei tre componenti della famiglia dell'investitore maniacalmente si affanna a manipolare i dati: della madre dell'investitore si potrebbe parlare male molto a lungo, accusandola di ogni tipo di nefandezza, prima di tutto nei confronti di quel figlio, unica sua ragione di vita. A ben vedere traspare subito che cosa quel figlio deve essere stato per lei fin dalla nascita: non un essere distinto da lei e riconosciuto nella sua individualità, ma il suo oggetto idealizzato, investito di ogni perfezione.
Lei è disposta a corrompere l'intero universo pur di continuare a tenerlo legato a sé in una simbiosi mortifera, per uscire dalla quale, si potrebbe dire, lui è stato costretto a diventare un assassino preterintenzionale. Tale egli è anche per la sequenza delinquenziale di imbecille rivalità che ha portato all'incidente mortale e che viene descritta da un altro campione di delinquenza, corruzione e degrado mentale, cioè il testimone, che non parla in nome della verità, ma per ricattare, corrompere egli stesso.
Una parola va detta anche del padre dell'investitore, marito della protagonista, declassato, mortificato, castrato dalla moglie, lui che non ha saputo fungere da oggetto separante tra madre e figlio. Così insieme marito e moglie hanno colluso nel bloccare, nell' interrompere la maturazione del figlio, che da quel bambino stupendo che era ( a detta della madre) è diventato un uomo a metà, interrotto, chiuso in una visione fobica di sé e degli altri, distante, semi-impotente. Veniamo informati dalla compagna che non vuole figli, anzi aborre l'idea di concepirne uno, rivelando in ciò l'orrore incestuoso che lo pervade, riconfermato dal fatto che si è scelto una compagna già madre. La compagna lo ama, ma medita di lasciarlo, perché non ne sopporta più le fobie, la mortifera affettività che sprigiona e in cui è imprigionato.
Lui sembra odiare tutti e tutto: odia il padre perché si è ridotto ad uno zerbino della madre, cioè non ha saputo dargli un modello maschile separato dalla madre e quindi lo ha condannato ad essere anch'egli succube e dipendente dalla madre; la madre perché non gli ha mai permesso di vivere la sua esistenza, ma solo quell'esistenza che lei aveva preconfezionato per lui; il resto del mondo perché è popolato o da nemici che lo vogliono aggredire o da rivali che deve sconfiggere a qualunque costo, anche se ciò comporta una guida sconsiderata che provoca la morte di un innocente ragazzino. In tal modo ha però ucciso la sua potenzialità: a questo punto l'adolescente ucciso stupidamente diventa lui stesso che ha lasciato uccidere le sue potenzialità di vita. C'è in questa versione dell'accaduto una potenzialità di cambiamento dell'investitore. Non ci viene però fornito neppure al termine della pellicola un chiaro indizio che lui sia in grado di utilizzarla per iniziare una trasformazione profonda della sua esistenza.
Assistiamo impotenti, come i protagonisti del film, a tutti i tentativi di corruzione della coscienza etica e della consapevolezza di sé che vediamo mettere in atto dalla famiglia dell'omicida. Essi corrispondono al diniego di prendere atto di una realtà che non si può manipolare, cioè quella di avere commesso un atto irreparabile, che ha provocato la morte di un innocente: tali sono il confronto con la famiglia dell'ucciso, ferita a morte, invocato dalla madre come atto opportunistico per ottenere uno sconto di pena o addirittura una cancellazione, non certo un riconoscimento di colpa e una richiesta di perdono; la falsificazione dell'accaduto e delle prove di responsabilità ad esso connesse; il pianto della madre del ragazzino ucciso e il dolore, il contatto con il quale forse, solo un po' alla volta, trasmetteranno autenticità anche agli altri. Ognuno resiste fino ad un certo punto, poi è come se la tragedia autentica prendesse la scena e tutti crollassero. O per lo meno amiamo pensare che crollino, come testimonianza della loro residua umanità.
Il figlio, che si è opposto con tutte le sue forze fino a quel momento, ritroverà un contatto con il padre cui ha ucciso il figlio adolescente; la stretta di mano che gli propone e che l'altro prima rifiuta poi gli restituisce, ha per lui il senso di un contatto ritrovato con il codice paterno, con la legge del padre, con l'altro, fuori dalle fobie di contatto di cui lo abbiamo visto sofferente, e dunque appunto, con la parte del suo vero sé da cui forse potrà ripartire per diventare un uomo intero e non più un uomo a metà, interrotto, irrisolto.
Il padre privato del figlio, dopo la furia omicida, che lo ha visto armarsi di una mazza per colpire l'investitore, ammettendo la sua colpa di non avere fatto meglio il suo ruolo di padre protettivo ( non gli ho detto di guardare prima di attraversare ) si confronta con il dolore vero, autentico, profondo per quella vita troncata, per quel figlio che non vedrà crescere.
Il gesto finale di darsi la mano è l'affermazione di un patto di solidarietà e di condivisione umana, il ritrovamento di un tessuto affettivo e sociale più autentico, non più negato dalla rabbia, dalla paura della morte e della punizione, del carcere, di fronte ad un evento estremo finalmente riconosciuto come tale, senza mascheramenti e finzioni pagate a suon di corruzione e di denaro. La punizione che per il figlio assassino può essere il carcere, per i genitori può essere la perdita dell'immagine sociale, forse dello status sociale e di quell'oggetto idealizzato-figlio perfetto al quale hanno sacrificato la loro pienezza affettiva e la loro autenticità.
Il regista con grande abilità ci lascia nel dubbio, non ci permette mai di schierarci per una ipotesi o per l'altra: resta possibile fino alla fine pensare che anche l'ultimo gesto della madre dell'investitore, non sia un atto di pentimento e di riparazione, ma al contrario la conclusione per lei favorevole di un negoziato, di un commercio dal quale è uscita vincitrice, portandosi a casa il risultato che forse perseguiva fin dall'inizio.
Se così fosse avremmo assistito ad una vera tragedia, senza catarsi.