“La vita deve essere vissuta guardando avanti,
ma la si può capire solo guardando indietro.”
S. Kierkegaard

Nell’appuntamento “Freud’s Books” alla Feltrinelli di Parma (organizzato dai Soci e candidati SPI insieme a colleghi di formazione psicodinamica: SIPRe, il Ruolo Terapeutico, Psicoform) è stata presentata l’autobiografia del neurologo e scrittore di origini britanniche recentemente scomparso.
Difficilmente un altro titolo avrebbe reso meglio la vita ricca e spesso inquieta, l’irresoluta ricerca esistenziale e professionale, le passioni, gli incontri, il “delicato empirismo” della sua “scienza romantica”. Lo stile riconoscibile di una scrittura che intreccia le annotazioni di un’intera esistenza, da quelle dei diari a quelle cliniche dei suoi pazienti, dalle quali Sacks emerge come “il più romanzesco di tutti i personaggi romanzeschi di cui ha scritto”, attento osservatore e diagnosta di sé non meno che del mondo intorno.
Una vita la sua, in movimento, appunto, dalla fuga da Londra, dalla famiglia di medici e dal fratello schizofrenico, attraverso i viaggi on the road così tipici di quell’epoca, la passione per le moto, l’omosessualità e le sue ghettizzazioni, gli studi di medicina in America, i fallimenti da ricercatore e la dipendenza da anfetamine, fino alla decisione di dedicarsi alla clinica. Sacks racconta i giochi di potere del mondo accademico con le sue compartimentazioni, del suo spingersi oltre i limiti della neurologia dell’epoca per incontrare la vita dei suoi pazienti, disseppellendola se necessario, come fece perfino in quel cronicario di anime congelate da decenni dalla pandemia di encefalite letargica che imperversò negli anni Venti. Quei “risvegli” clamorosi contraddissero la neuroanatomia degli anni Sessanta e quando la loro festosità fu seguita dalle tribolazioni e dagli effetti bizzarri in cui precipitarono i pazienti, revocò in dubbio l’idea stessa di prevedibilità di cui la novella farmacopea avrebbe voluto fregiarsi.
La tenace volontà di apprendere, l’occhio della cinepresa puntata sui suoi pazienti, richiamano lo sguardo del dodicenne che ascoltava i deliri del fratello, cercando di capire le avvisaglie delle crisi, fra i vissuti di paura e d’imbarazzo, lo stigma e la segretezza della famiglia. Quella tragica esperienza gli fa intendere i risvolti disperanti di quelle liberazioni: “È come essere uccisi con delicatezza” gli raccontava il fratello, quando la sedazione dei sintomi positivi spegneva il sentimento mistico che dava profondità e significato alle costruzioni deliranti e con esso il nitore e la chiarezza con cui percepiva un mondo divenuto “smorzato”.
Il suo interesse per gli stati del cervello e della mente, per la fisiologia dei sensi, per comprendere come ci facciamo un’idea del mondo sul piano visivo, come vediamo il colore, la profondità, il movimento, come funzionano i sistemi cerebrali implicati nella percezione del significato, del senso della meraviglia e del mistero, dell’apprezzamento della bellezza, in quella combinazione di scienza e narrazione delle storie appresa in famiglia, fanno di lui un osservatore che studia anche su di sé gli effetti delle droghe e le allucinazioni, le aure emicraniche o la sindrome dell’arto fantasma dopo un intervento alla gamba.
Il senso di prigionia e l’ebbrezza della libertà, il medico e il centauro, Oliver e Wolf, una duplicità che a un certo punto percepì come “oscura e pericolosa”, eccessi di baldanza e intemperanze fino agli agiti auto-lesivi, un controllo “precario e trionfante” che lo portano a cercare un’analisi, un viaggio durato più di quarant’anni, sviluppo esistenziale che gli conferma il valore di un’assoluta libertà di comunicazione, l’attenzione a ciò che sta al di là della coscienza e delle parole, di come i disturbi e la loro cura non si possa astrarli dalle persone e dai loro contesti. “A volte sentivo di precipitare, quasi del tutto indifeso, nell’identificazione con i pazienti.” Un’empatia, la sua, che racconta maturata nel tempo, facendo breccia nelle sue difficoltà a stabilire legami, a fidarsi, a provare un senso di appartenenza: “A volte mi è sembrato di aver vissuto a una certa distanza dalla vita.
I suoi libri sono viaggi antropologici condotti fuori e dentro di sé, trasportato dalle proprie vicissitudini di vita e dalla curiosità per come i deficit trovano compensazione, una neurologia personologica e uno spirito letterario, poetico, romantico: “A me sembra di scoprire i miei pensieri attraverso la scrittura, nell’atto di scrivere.” Quel processo creativo, che a volte sgorga di getto e a volte si arena, fra illuminazioni e momenti di oscurità, lo accompagna sempre: “Noi pensiamo alla scienza come scoperta e all’arte come invenzione, ma esiste forse un terzo mondo (...) che è entrambe le cose?”.
Questa autobiografia è la cronaca di una ricerca, di una vita goduta e al tempo stesso resa un inesausto campo di indagine. Wolf e Oliver e il loro andare avanti.

“Al peggio, si è in movimento; al meglio,
non raggiungendo un assoluto in cui fermarsi,
gli si è sempre più vicini non restando immoti.”
T. Gunn On the move

novembre 2015

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