L’algoritmo non è un ritmo doloroso, come potrebbero fraintenderlo attempati ex-liceali nostalgici del greco antico. In realtà vuol dire, molto semplicemente, regola di calcolo tra terra e cielo: raggio per raggio per tre e quattordici per l’area del cerchio; un mezzo A T quadrato per la velocità di caduta dei gravi, perimetro della sfera lunare entro il diametro del sole… Ma se è tutto qui perché non chiamarlo semplicemente calcolo? Il fatto è che anche tra le parole del discorso comune vige la lotta di classe: calcolo è parola povera, che sa di sassolini (dolorosissimi quelli del fegato e dei reni) di calcio e di calcina, povere cose. E allora molti oratori, e non da oggi, per apparire più ricercati, disdegnano le parole comuni: così il nobile algoritmo risulta un po’ sprecato entro contesti incongrui. Naturalmente è cosa che accade da sempre; ma negli ultimi tempi, complice l’alta velocità audio-visiva e la connessa tachilalìa, la cosa appare più frequente.

Così, recentemente, ho ascoltato in TV un noto uomo politico che si accalorava a difendere i nostri porti e i nostri confini dalla temuta invasione degli extracomunitari, in particolare arabi (?): niente di nuovo, discorsi risaputi. Se non che, con il proposito di arricchire il suo dire con una parola nuova, disse che un algoritmo poteva servire a chiarire il suo pensiero, un algoritmo… Alto là, avrei volentieri interrotto l’oratore: questa è una gaffe, un incidente del discorso, meritevole di pronto-soccorso. Sì, perché il prediletto “algoritmo” deriva proprio da uno strafalcione, una storpiatura (ce né tante, e in tutte le lingue) di un nome arabo nobilissimo: Al-Khuwarizmi, grandissimo matematico del nono secolo, inventore dell’algebra (Al-jabr) e del valore posizionale (unità, decine, centinaia…) dei numeri, d’allora in poi arabi. Con una cifratura accolta anche dalla Santa Romana Chiesa, ad opera di un papa, Silvestro II, amante della matematica, che così si sbarazzò dell’ingombrante, e scomoda, numerazione latina: e siamo precisamente nell’anno Mille. La Storia, anche quella della matematica, non autorizza mai alcun razzismo.

G. Zucchini
Gennaio 2019

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