Odi et amo Quare id faciam, Fortsse requiris? Nescio, Sed fieri sentio et excrucior. |
Odio e amo Perchè lo faccia forse mi chiedi? Non lo so ma sento che accade e ne sono crocifisso. |
In estrema sintesi, della quale solo i poeti sono capaci, una cartella clinica di psicopatologia.
In condizioni di sufficiente sanità di mente l’odio e l’amore, ancorchè adiacenti come l’ombra e la luce, si distinguono grazie alla coscienza dalla quale sono utilizzabili.
L’Io sa – o crede di sapere – chi o che cosa e come amare e, all’opposto, chi o che cosa e come odiare: sano è colui che sa distinguere senza scindere, e collegare senza confondere, Eros e Thànatos.
Il Poeta no: sente, ma non sa: e questa non-coscienza non può proteggerlo dai tormenti (anche perché spesso ne è essa stessa la fonte…)
Potremmo rubare al più grande poeta “romantico” della classicità latina questa definizione dell’inconscio: una cosa che si sente accadere ma di cui non si sa e da questo nescio discende l’angoscia dell’excrucior.
E noi? Dopo duemila e passa anni, che sappiamo?
Intanto, socraticamente, sappiamo di non sapere:”unum scio: nihil scire”...ma questo “non sapere”non è più maledetto dal divieto di cercare…
Osserviamo: nessun bambino ama entrare da solo in una stanza buia: gli occorre la manona rassicurante di un adulto amorevole. Perché? La ragione adulta, “scientificamente neutrale”, dice: se non vedo non so, e se non so saprò quando vedrò.
Ma il bambino protesta, lui non è socratico: se non vede vede il non, il negativo, il brutto, il cattivo. Nel buio c’è il lupo… La cosa cominciò per lui, per tutti noi, quando, aprendo gli occhietti nel buio, non trovammo, non sentimmo, non vedemmo, la mammella…e gridammo di paura e di rabbia.
(Melanie Klein: la madre assente, per il bambino ancora schizoparanoide, è una strega presente. Siamo fatti così… Occorrerà attendere la fase impropriamente denominata depressiva e che preferirei chiamare riparativa, per sovrapporre alla strega l’immagine infine beatificante della fata)
Anche il Poeta è al buio: sente e non sa e grida di dolore e di rabbia: dichiarando di non sapere sembra intuire che gli eventi reali intorno a lui sono, più che cause, occasioni del suo soffrire: forse la vita non gli ha insegnato propriamente ad amare e nemmeno a odiare, secondo un uso consapevole degli appassionati investimenti affettivi…
Il pensiero, fedele al proprio nome, è ponderazione, soppesamento: ora immaginiamo una bilancia il cui braccio oscillante venga spezzato: ciascun piatto ospitante l’Io, non più contrappesato dall’opposto, indicherà infinito: di qua una eccitazione maniacale grandiosa, di là un odio ferocemente amaro.
E Lesbia dai mille baci, “Da mihi basia mille, dein altera centum, dein altera mille” (Carme 5) si rivelerà l’odiata e disprezzata prostituta che “intrattiene (glubit) nei quadrivii e negli angiporti i nipoti di Remo” (Carme 58a). Così si sfoga con l’amico Celio.
Possono l’amore e l’odio convivere con la sanità di mente? E’ lecito affermarlo: ché anzi la salute mentale può ben definirsi come competenza a unificare senza confondere e distinguere senza scindere la libido e l’istinto di morte…
La psicopatologia più vistosa che mette in scena la scissione amore/odio è indubbiamente la malattia bipolare. Ieri il nostro paziente era e si mostrava oppresso da un cupo odio di sé e del mondo; oggi si conduce esibendo grandiosamente un’ipertrofica stima di sé e degli altri: eccitato a dismisura, spende e spande con una prodigalità irrealistica. (La storia dice che Catullo dissipò un sontuoso patrimonio...)
Lo smodato ottimismo e il tragico pessimismo in quanto scissi non sono utilizzabili dall’Io per moderarsi vicendevolmente: ugualmente sterile è la mescolanza confusiva degli affetti opposti: è la zona grigia, mortificante indifferenza di potenziale tra bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso, bello e brutto ecc. (Rileggere Primo Levi, I sommersi e i salvati)
Nel gran tumulto, solo la poesia si salva.
Febbraio 2018
G. Zucchini.