La vita, come consapevole lotta contro il tempo, dev’essere stata concepita in quell’alba della coscienza umana quando, già scimmioni quadrumani, ci siamo alzati in piedi e abbiamo visto le stelle, esse sì eterne.
I greci, che tanta lingua, scrittura e pensiero hanno regalato al mondo, chiamarono, e ancora chiamano, “crono” il tempo: e noi con loro. E anche dissero “Crono” un dio crudele che divorava i suoi figli appena nati, quando non messi in salvo fortunosamente da Rea, la loro madre.
Qualche tempo fa, casualmente consultando il mitico Rocci, dizionario enciclopedico del greco antico, mi sono imbattuto nella “scoperta” che segue. D’accordo: il tempo è un dio crudele; ma proviamo a far finta che non lo sia: proviamo allora a scrivere i due significanti con due lettere iniziali differenti: con la “kappa” il nome del dio e con la “chi” (una grande “ics” maiuscola) le stagioni dell’umano vivere; ecco fatto: la somiglianza rimane, ma si vede un po’ meno: rimozione ortografica.
Un amico carissimo, ahimè perduto ormai dieci anni fa (appunto: pare ieri, come passa il tempo…) pittore incantevole e colto studioso di estetica, ci regalò – e li abbiamo alle nostre pareti - alcuni suoi quadri molto belli, ai quali aggiunse scherzosamente un disegnino a lapis, quindici per dieci, per rappresentare Diogene che, com’è noto, abitava in una botte. Il personaggio si affaccia dall’orlo superiore della sua bizzarra abitazione, evidentemente attratto da un “cric-krac” ai piedi della stessa: un tarlo, disegnato come un vermetto, allo scoperto. La testa del filosofo è ripiegata in basso a spiare l’incomodo coinquilino, e noi ne vediamo la pelata, la circonferenza dei capelli residui, gli occhiali, il nasone, i baffi…Caro, caro Romano! Diogene dunque sei tu!...
Ma quale sarà mai il tarlo che rodeva il mitico filosofo?
Dioghènes , “o Kunikòs, il cinico”, (ma “kunikòs” significava anche “ironico”) ci aveva il suo tarlo: quale? Lo rivela un celebre aneddoto (sono passati troppi anni da quel compito in classe: impossibile garantire la traduzione esatta…)
Dunque: Alessandro il grande fa visita al celebre filosofo e gli si colloca di fronte, dall’alto del suo cavallo, Bucefalo:
“Io sono Alessandro, il re più potente e ricco al mondo: posso accontentare ogni tuo desiderio: dimmi, cosa posso fare per te?”
Risposta:
“Metàsteti apò tou elìou” (giuro: questo pezzettino si è salvato..): “toglimiti dal sole!”
Il gran re, con tutto il suo cavallo, si era interposto tra il sole e il filosofo, facendogli ombra: “toglimiti dal sole…”
Ma il sole è luce, il sole è la vita stessa, di cui il pensatore evidentemente non voleva andasse sprecato nemmeno un tempuscolo: dato che il sole, prima o poi tramonta.
Luglio 2018
Gino Zucchini