Che la malattia, qualsiasi malattia, possa procurare al sofferente adulto più vergogna che paura, è questione affidata anche alla lingua del discorso comune, territorio dell’inconscio collettivo. L’etimologia (le parole e i loro destini) ne consente un processo indiziario. “Malattia” cosa dice? Dice “malo abito”, come per mostrare una persona mal vestita e “mal abitìa” è il suo aspetto. Ora togliamo la “i” tra la “b” e la “t” e abbiamo “malabtia”: e qui la labiale “b” cede il posto alla dentale “t” che così si raddoppia; ecco detto: “malattia”: infelice aspetto, “brutta cera”, cattivo stato

Dove si dimostra che l’avere e l’essere – dai quali l’abito e lo stato – oltre che in sé e per sé sovrani, sono anche ausiliari di tutti gli altri verbi, fattori autorevoli della significazione. Così la malattia parla male di noi come un vestito stracciato (gli adolescenti del nostro tempo si illudono di sfidare la vergogna degli antenati volutamente esibendo quei vistosi strappi dell’abito che in tutti i tempi andati si cercava di occultare con laboriosi rammendi). L’abito è la forma (morfè, bellezza) dell’essere nel suo immediato esporsi alla pubblica visibilità, dove praticare significazione. Non possiamo non significare: il dramma della malattia mentale è tutto in questa lacerante contraddizione: il bisogno di significare e l’angoscia della brutta figura.

(Ricordo un giovane paziente che, per sfidare la propria angoscia, si denudava in piazza Maggiore per farsi portare in manicomio, dove sapeva che lì, solo lì, sarebbe stato nascosto alla vista di tutta la città.)

Il rammendo psicoanalitico – l’interpretazione – partendo dai lembi stappati del tessuto dei pensieri (deliri, fobie, allucinazioni, eccitamenti, angosce) propone, col filo del discorso, una ri-tessitura istocompatibile con l’obiettivo di offrire significazione nei luoghi del convivere dove questa appare compromessa, minacciata o minacciosa. Dal peso al senso: il peso è solitaria angoscia, paura, violenza, oscurità; la significazione - eloquenza del pensiero espresso – è organizzata per la condivisione. E il pensare-ponderare, soppesare - conferma la sua funzione: sollevare pesi; e un peso condiviso si alleggerisce.

Figlia del bene, la bellezza (benelezza) e sorella della grazia (gratuità), propizia leggerezza e desiderabilità incondizionata; ora la Madre del Salvatore, icona comunque indimenticabile della nostra cultura, credenti o no, unifica le due qualità alle quali aggiunge la bontà: “La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre.” Così Dante ( Paradiso, XXXIII, 14-16), facendo eco a Virgilio di due millenni prima. (Ultimi versi dell’Ecloga IV: “Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem”…: Comincia, fanciullino, a riconoscere col sorriso tua madre (che ha sopportato per dieci mesi il lungo peso di te): chi non sorrise alla genitrice non avrà mai, costui, un dio alla sua tavola, né alcuna dea lo riterrà degno del proprio talamo.” In quattro esametri un trattato di psicopatologia.

E quando accadde che questo speculare e gratuito rifornimento di bellezza non ci fosse in misura adeguata, questo bambino, poi adolescente, poi giovane adulto, si sforzò di conquistare l’indispensabile quota d’amore ricorrendo a crescenti quote di bravura (virtù lodevole, ma non gratuita e poco adatta a compensare l’antica carenza di bellezza). Così non basta mai, non basta mai… Attenzione agli studenti che rinviano tanto spesso gli esami, pur avendo ricevuto voti eccellenti in quei pochi che furono affrontati. Solo la buona analisi, per via di interpretazione e di transfert - autentica macchina del tempo - potrà cambiare nel presente un passato che non passa mai: e un futuro migliore non sarà più vietato.

Gino Zucchini, Ottobre 2019

 

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